Bambini, ossa e fratture: i rischi a ogni età

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Uno scivolone dalle scale, una brutta caduta dal triciclo, uno scontro facendo sport: gli incidenti e i piccoli traumi sono abbastanza comuni nei bambini. Che però, a differenza di quanto si dica, non sono davvero “fatti di gomma”. Risultato? L’osso si frattura e occorre intervenire.

A invitare i genitori a prestare attenzione sono gli ortopedici pediatrici. “I bambini si fratturano, ma subiscono dei traumi che sono totalmente diversi da quelli dell’adulto. A seconda dell’età del bambino abbiamo tipi di fratture diverse sia come frequenza, sia come quadro anatomo-patologico e a questo ci dobbiamo adattare per il trattamento”, spiega Renato Maria Toniolo, presidente incoming della Società italiana di ortopedia e traumatologia pediatrica (Sitop), dal Congresso in corso a Roma.

Una frattura diversa per ogni età

“Tra 0 e 3 anni le fratture più frequenti sono quelle della clavicola, del polso e, in maniera abbastanza inaspettata, quella del femore. Quest’ultima, però, ha caratteristiche diverse rispetto all’adulto: negli adulti, infatti, le fratture si basano su un meccanismo di trauma minore dovuto alla fragilità del collo del femore, quindi è interessata una zona ben specifica, vicina all’articolazione dell’anca. Nei bambini più piccoli, invece, si tratta di fratture diafisarie che riguardano la parte centrale dell’osso, la zona tubolare, e hanno un meccanismo di torsione anche per traumi banali. Quindi-  continua Toniolo – basta un piccolo movimento torsionale o un inciampo a casa per poter produrre delle fratture scomposte della diafisi del femore”.

Il trattamento di queste fratture “deve essere incruento ossia con gesso. La prognosi è favorevole perché i bambini hanno una grande capacità rigenerativa e proprio per questa capacità non è infrequente avere una differenza di lunghezza con l’altro arto che, però, generalmente non disturba né la deambulazione né l’attività sportiva successiva”.

“Dai 3 ai 7 anni le fratture più frequenti sono quelle di tibia, polso, femore e un po’ tutte le altre ossa- continua l’esperto Sitop – Negli adolescenti sono frequenti le fratture collegate sia all’attività ricreativa che a quella sportiva, e all’uso di tutta una serie di veicoli che li portano ad avere fratture simili a quelle dei giovani adulti”.

Se la schiena si curva

A insidiare le ossa non sono solo le fratture: la scoliosi è una patologia dell’età evolutiva ma dura tutta la vita. “La colonna vertebrale invece di crescere dritta crea una piccola curva sul piano frontale, spesso accompagnata da una rotazione sul piano assiale. E’ una patologia che colpisce maggiormente le donne con un rapporto femmine/maschi, nella scoliosi evolutiva, di 9 a 1″, spiega Angelo Gabriele Aulisa, docente di Malattie dell’apparato locomotore presso l’università di Cassino e ortopedico dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù, intervenuto al XXIV Congresso Sitop.

Ma quando si manifesta? Quasi sempre la scoliosi arriva nell’età puberale, ossia dai 10 ai 15 anni. “Lo screening ideale sarebbe nella fase prepuberale, ossia l’anno prima del menarca e fino a 1 anno dopo. E’ una patologia per cui non si ha una vera e propria cura ma che viene sottoposta a trattamento per bloccarne l’evoluzione, quindi evitare che progredendo possa creare danni alla qualità della vita”

Proprio per capire quanto il trattamento si riveli efficace a distanza di anni, Aulisa ha presentato uno studio inedito che indaga l’andamento delle curve della scoliosi a distanza di 10 e 20 anni. “Abbiamo cercato di capire come si comportano le scoliosi una volta finito l’accrescimento – spiega l’ortopedico – e per questo abbiamo chiesto ai genitori dei ragazzi che venivano portati a visita, e che a loro volta erano stati trattati per la scoliosi da giovani, di poter fare una lastra per vedere l’andamento della loro curva”.

Dallo studio arrivano buone notizie.  “Attualmente sappiamo che a 20 anni dal trattamento la curva tende a perdere poco, più o meno 3-4 gradi e questo permette una qualità della vita buona. C’è, però, un limite – spiega Aulisa – perché i pazienti che abbiamo rivisto sono comunque giovani, quindi la loro colonna non è andata incontro a processi degenerativi che potrebbero portare a un peggioramento più rapido”.

Non si conosce la causa della scoliosi, ma è importante la familiarità: se una mamma ha avuto la scoliosi, il figlio potrebbe averla. “Quello che si è visto in molti studi è che questa familiarità è molto più importante, però, se la scoliosi è nel ramo paterno, ossia se una zia o una nonna ce l’ha avuta, il rischio che il papà possa averla trasmessa alla figlia è un po’ più elevato”.

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