Social, selfie e percezione di sé. Il progetto

Non molto tempo fa è spopolato sui social il fenomeno ‘Lensa’: un app che sfruttando l’intelligenza artificiale è in grado di generare un ‘Magic Avatar’, un personaggio dall’aspetto epico basato sulle proprie immagini e dunque incredibilmente somigliante al soggetto. Tra i problemi legati a questo nuovo trend (oltre alla privacy delle fotografie fornite dagli utenti alla piattaforma), la questione che si è immediatamente imposta è stata quella relativa alla dispercezione.

Gli avatar sono una versione ‘migliorata’, in canoni estetici, delle persone. E un po’ come accade per i filtri su Instagram ci si è chiesti: quali sono i rischi della rivoluzione digitale sui giovani, che sono i maggiori fruitori di queste tecnologie?

La domanda resta aperta. Ed è la stessa da cui è partito il progetto SatisFACE di Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, che ha pensato di esplorare il tema dell’immagine digitale con una ricerca incentrata sul viso: protagonista delle interazioni virtuali ma finora raramente preso in considerazione dalla letteratura.

C’è stata un’altra generazione, non troppo lontana, abituata a confrontarsi soltanto con i cartelloni delle campagne pubblicitarie eccessivamente post-prodotte. In quelle immagini c’era altra gente: modelle e modelli bellissimi e talvolta considerati inarrivabili. Fisici statuari e volti perfetti.

Nessuno poteva disporre di una versione diversa – e magari più bella, secondo standard conformemente accettati – del proprio corpo o della propria faccia. Nessuno poteva sapere come sarebbe apparso con un naso più piccolo, labbra più carnose o capelli con un taglio diverso.

Oggi che le cose sono un po’ diverse, l’affermarsi della rivoluzione digitale sta provocando profonde trasformazioni nel rapporto che abbiamo con noi stessi. E chi con un semplice smartphone produce, memorizza, modifica e condivide migliaia di ritratti e autoritratti credendo di farlo a costo zero, a volte può pagarne le conseguenze in termini di salute mentale. Ragion per cui è importante ricercare un ‘digital wellbeing’, come si definisce il benessere digitale.

 “Ogni minuto milioni di visi sono fissati in fotografie digitali, soggette a un makeover virtuale praticato dagli utenti o incorporato negli stessi dispositivi fotografici. Un ritocco che riguarda, da una parte, la preparazione reale del viso (dal make up, al botox, fino alla chirurgia estetica), e dall’altra parte, la sua manipolazione virtuale (dai filtri, agli algoritmi di editing, fino ai software di modifica dell’immagine)”, spiegano gli ideatori del progetto SatisFACE.

“Tutti questi passaggi sono strettamente legati tra loro e si influenzano reciprocamente, con effetti amplificati dalla possibilità di condividere la propria immagine tramite i social media, che estendono il confronto dai modelli classici di bellezza (di stampa, cinema e tv) alla comparazione tra pari”.

I dati del progetto

Tanto per cominciare: nessuno creda a tutto ciò che vede. Di uno scatto, anche quello che sembra più casuale, non si sa nulla. E prima di uno scatto, c’è quasi sempre la preparazione ad esso. I ricercatori hanno realizzato un questionario online (proposto a 120 pre-adolescenti dai 12 ai 16 anni) per indagare l’uso dei social network, partendo dal selfie behaviour: il comportamento assunto nello scatto del selfie. Da lì si è analizzata l’attitudine rispetto all’editing e all’uso dei filtri, la consapevolezza delle funzioni predefinite di fotoritocco facciale, la gestione e percezione dell’immagine digitale e l’appearance anxiety (ansia legata all’aspetto).

I social più utilizzati per ‘promuovere’ la propria immagine dai ragazzi sono risultati, senza troppa sorpresa, WhatsApp (92.5%), Tiktok (88.3%), Instagram (76.7%) e YouTube (75%): il 65.9% dei partecipanti riporta di trascorrere su queste piattaforme fino a 4 ore (il 37.5%, da 2 a 4 ore).

Il 57.1% degli intervistati ha cominciato a utilizzare i social 2 o 4 anni fa: e considerato che il campione è costituito per il 71.7% da ragazzi/e di 12 e 13 anni, è allarmante come spesso si entri a far parte di questo mondo troppo presto.

Se poi si mette in relazione il dato sul tempo trascorso sui social media con il dato sulla media dei follower e con quello sulla media dei like (il 68.3% degli intervistati ha meno di 500 follower e il 53.5% riceve meno di 30 like in media), emerge che gli studenti che hanno partecipato all’indagine principalmente ‘seguono’ invece di ‘essere seguiti’. Il che vuol dire che possono sfruttare le varie piattaforme soprattutto per guardare e lasciarsi influenzare dai contenuti degli altri. 

Inoltre, il dato sul tempo trascorso sui social è interessante se letto in relazione ai punteggi ottenuti nelle scale relative alla manipolazione fotografica, al controllo dell’immagine nelle foto online/offline, all’ansia da aspetto, alla body-esteem (stima del proprio corpo): in particolare, rispetto ai compagni che passano meno tempo sui social, i ragazzi che affermano di usare i social per più di 4 ore (34.2%), registrano punteggi significativamente più alti nelle scale relative alla manipolazione fotografica e al controllo dell’immagine nelle foto online/offline e nella scala relativa all’ansia da aspetto, e significativamente più bassi in termini di autostima.

Solo il 25.4% dei partecipanti è soddisfatto al primo scatto e solo il 22.9% dei partecipanti è soddisfatto del primo scatto che pubblicherà sui social. Il 36.8% dei partecipanti dichiara di eliminare da 2 a 5 selfie tra quelli scattati. E sul fronte editing, il 49.2% dei partecipanti dichiara di editare le foto: la maggior parte di questi edita all’interno del social su cui vuole pubblicare, mentre in pochissimi dichiarano di utilizzare App dedicate (come le più famose Facetune, VSCO e YouCam Makeup).

Dalla cancellazione delle occhiaie alla rimozione di imperfezioni di varia natura: il controllo, talvolta ossessivo, esercitato sull’immagine corporea nelle fotografie scattate e selezionate per la pubblicazione sui social è motivato principalmente da preoccupazioni per il proprio aspetto fisico nel momento in cui ci si relaziona con gli altri.

Ma l’altra faccia inquietante della medaglia sta proprio qui: le preoccupazioni eccessive, rischiano di diventare patologiche nel momento in cui con gli altri ci si relaziona sul serio. E l’immagine non somiglia a quella che racconta lo schermo.

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