Pediatria e sindrome dei ‘medici a gettone’

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Anche la pediatria soffre della sindrome dei medici a gettone. Dopo la più nota vicenda degli specialisti in medicina di Emergenza-Urgenza che lasciano il Servizio sanitario nazionale (Ssn) alla volta della libera professione, che li ricolloca negli ospedali ma con stipendi più alti e condizioni di lavoro meno logoranti, anche i dottori dei bambini iniziano a dire basta al lavoro nelle trincee ospedaliere.

Risultato: è a serio rischio di tenuta la continuità assistenziale ospedale-territorio per i piccoli pazienti. E così la Società italiana di Pediatria (Sip) lancia un Sos al governo, affinchè si trovino delle misure tampone per scongiurare il rischio di assenza di pediatri negli ospedali e nei punti nascita, in attesa che l’aumento delle borse di studio in Pediatria dia i suoi frutti e introduca nuove leve. “Cosa che non avverrà prima del 2025-26”, precisa a Fortune Italia la presidente della Sip Annamaria Staiano. Evdenziando come occorra una “strategia d’uscita per gestire la situazione nel presente e nel prossimo futuro”.

La situazione però è complicata dal fatto che da un lato i pediatri lasciano il Ssn alla volta della libera professione che li reimpiega nella sanità pubblica, anche grazie alle cooperative “dove la remunerazione è fino a tre volte superiore a quella da dipendenti del Ssn”, dice Staiano.

Dall’altro ci sono sempre meno pediatri complessivamente, come conseguenza dei pensionamenti. Con uno sbilanciamento tra il livello territoriale più “ricco” di professionalità disponibili, ma a pagamento, e quello ospedaliero che va impoverendosi.
Al contempo il contesto subisce anche la stretta del governo, peraltro condivisa dalla Sip, proprio in tema di gettonisti. Il che rende ulteriormente difficile compensare lo stillicidio di pediatri ospedalieri.

Come sciogliere il bandolo di questa intricata matassa in cui anche la normativa non agevola le cose? La proposta della Sip è semplice quanto logica, almeno in teoria. Come illustra la presidente: “Il decreto Milleproproghe prevede già che i medici che stanno svolgendo gli ultimi due anni della specializzazione possano lavorare a contatto con i pazienti. Nel caso dei giovani specializzandi in pediatria, la nostra proposta è quella di rendere obbligatorio che coloro che vogliono lavorare abbiano un contratto che prevede un 50% della prestazione in ambito pubblico e il restante 50% sul territorio. Questa potrebbe essere un giusto compromesso tra le legittime aspirazioni di guadagno dei pediatri, che possono spuntare retribuzioni più elevate al di fuori del Ssn, e le necessità della sanità pubblica di garantire accesso a diagnosi e cure per i più piccoli e la continuità assistenziale ospedale-territorio”.

In altri termini, si tratterebbe di superare il vincolo di esclusività attualmente previsto per i pediatri che possono lavorare o solo per il Servizio sanitario nazionale o in libera professione. Come si legge in una nota diramata proprio dalla Sip: “Sarà necessario declinare meglio le modalità di strutturazione dei diversi contratti di lavoro e definire gli aspetti economici, ma il superamento del rapporto di esclusività appare il passaggio fondamentale sul quale costruire i nuovi modelli operativi dell’assistenza pediatrica e neonatologica nel nostro Paese”.

Semplice a dirsi un cambio di rotta di questo tipo. E nei fatti, sarà una progetto che suonerà bene alle orecchie dei decisori politici? Risponde speranzosa, ma al contempo realista Staiano: “La nostra proposta è molto chiara sia nei contenuti che nelle tempistiche. Deve essere attuata ora, subito. Perché l’età dei pediatri aumenta sempre più e le uscite dal Ssn per pensionamenti o dimissioni volontarie per turni massacranti, sempre maggiori aggressioni e remunerazioni non adeguate all’impegno richiesto stanno svuotando l’Ssn delle nostre professionalità. Il messaggio inviato al governo è chiaro. Attendiamo risposta. Che speriamo positiva”.

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