Aleotti (Menarini): ‘Sogno che l’Italia diventi il granaio farmaceutico d’Europa’

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Per la crescita di un settore strategico del Paese vanno fatte uscire dall’ombra le migliori professionalità. A colloquio con Lucia Aleotti, azionista e membro del Cda Menarini. Una donna del pharma che guarda all’Europa, e al mondo, senza dimenticare le proprie radici 

Un gioiello della farmaceutica italiana dalle radici antiche, che intende mantenere tutte le promesse delle origini: la Farmacia Internazionale fondata a Napoli da Archimede Menarini è oggi un Gruppo presente in 140 Paesi, con una chiara vocazione all’internazionalizzazione. A guidare questo processo, tra Oriente e Occidente, la seconda generazione di una famiglia dal forte legame con Firenze e con l’Italia. Intervista a Lucia Aleotti, azionista e membro del Cda di Menarini che, fedele al mantra paterno, continua a circondarsi di persone in grado di “dare luce” a un’azienda da 4,1 mld di euro (è il fatturato 2022). E un’idea ambiziosa: far diventare l’Italia il granaio farmaceutico d’Europa.

Il Pharma è sempre più rosa, anche nella stanza dei bottoni, come mai?

Le donne nelle imprese farmaceutiche rappresentano il 44% del personale e ricoprono sempre più frequentemente ruoli apicali. Siamo molto orgogliosi di poter affermare che in Menarini siamo vicini alla parità, con il 49,5% di dipendenti donne e con numeri addirittura superiori nella ricerca e sviluppo. Però va chiarita una cosa: nessuno viene assunto perché è donna. Viene assunto perché è il miglior candidato per quella posizione.

Quest’anno avete celebrato il centenario della nascita di suo padre, Alberto Sergio Aleotti. Questa visione aziendale è stato lui a trasmetterla, o è cambiata nel tempo?

Sebbene fosse nato nel 1923, in un’epoca in cui le donne avevano un peso politico e sociale diverso da oggi, nostro padre ha educato me e mio fratello allo stesso modo, spingendo entrambi a raggiungere i nostri obiettivi, senza distinzione tra maschio e femmina, ma cercando di valorizzare le caratteristiche di entrambi. È così per tutti i dipendenti. Una frase che ripeteva spesso e che ci guida ancora oggi è: “Circondatevi di persone migliori di voi perché non vi faranno ombra, ma vi daranno luce”. Questo è vero per tutte le imprese, e a maggior ragione per un’impresa che produce farmaci e deve dare ai pazienti la certezza che tutto il percorso del loro farmaco è stato seguito dalle persone più capaci, non da persone scelte perché maschi o femmine. Dobbiamo mirare sempre all’eccellenza.

La garanzia di qualità è quindi un aspetto importantissimo nel vostro lavoro, ma in termini di ‘quantità’, invece, che peso ha il comparto farmaceutico sull’economia italiana?

L’importanza del settore farmaceutico in Italia è evidente se si guarda ai numeri della sua produzione ed esportazione che, nel 2022, hanno sfiorato i 50 miliardi di euro. Tutto ciò è possibile grazie a una struttura variegata di tipologie produttive realizzate nel Paese, sia da parte di grandi aziende che piccole, a capitale italiano e a capitale multinazionale, che vanno dai farmaci di origine chimica ai vaccini, fino ai farmaci biotecnologici. Straordinario è poi il range di prodotti realizzati: da quelli ad alta innovazione magari per patologie rare, ai farmaci di uso consolidato destinati a decine di milioni di pazienti. Nonostante i costi crescenti, dobbiamo riuscire a tenere tutte queste imprese nel nostro Paese.

Quali sfide affronta quotidianamente l’industria farmaceutica italiana?

La sfida delle imprese che producono in Italia è affrontata con uno spirito straordinario di imprenditorialità e anche di caparbietà che è necessario valorizzare: è la sfida che molte imprese stanno sostenendo nel produrre ancora in Italia farmaci poi venduti al Servizio sanitario nazionale a prezzi più bassi di quelli di una scatola di caramelle, ma garantendo produzioni e personale di altissima qualità. Così come la sfida dei manager italiani di multinazionali che lavorano per far localizzare in Italia i nuovi investimenti globali. Si parla troppo poco del ruolo fondamentale di questo settore che, invece, viene purtroppo chiamato ogni anno a ripianare le spese eccessive dello Stato rispetto ai budget previsti.

Covid-19, crisi dell’energia e delle materie prime, guerra. Nell’epoca delle permacrisi che ruolo gioca questo comparto nel nostro Paese? 

Quello farmaceutico è un settore strategico, che non solo contribuisce a creare salute nel Paese e a offrire straordinarie opportunità occupazionali di alto livello a giovani e donne, ma che svolge un ruolo fondamentale anche dal punto di vista della sicurezza nazionale. È doveroso, per tutti noi, fare una riflessione su cosa sta accadendo nel mondo. Abbiamo vissuto una pandemia che ci ha mostrato le enormi difficoltà nel reperire elementi basilari per la protezione delle persone. Oggi stiamo vivendo una guerra alle porte dell’Europa che si è dimostrata capace di impattare significativamente le catene di fornitura di molti beni. Pensiamo, ad esempio, alla necessità del Paese di riposizionarsi con le forniture di gas, oppure al rischio di una crisi del grano che impatterebbe interi continenti. In questo scenario, gli Stati Uniti si stanno preparando rispetto a molti elementi essenziali per la loro sicurezza nazionale cercando di controllarne interamente la supply chain. E lo stanno facendo in quattro aree fondamentali: una di queste è quella dei farmaci. Questo perché hanno compreso che è fondamentale avere la produzione farmaceutica all’interno dei confini statali: senza farmaci, in un’ipotetica crisi geopolitica, il sistema di salute pubblica crollerebbe in poche settimane e, con esso, la possibilità di far funzionare altri settori fondamentali come l’industria o l’agricoltura. Ecco, questo è un valore straordinario che deve spingere tutti ad aumentare gli investimenti in questo settore per farlo crescere e farlo diventare sempre più forte all’interno dei nostri territori.

In questo contesto, non sarebbe più importante avere una strategia europea comune?

È vero che l’impegno di un solo Paese non è sufficiente, servirebbe un’Europa sicuramente più strategica e capace di guardare anche a temi diversi dalla sola transizione digitale o green. Ma credo che sia un percorso che dobbiamo portare avanti in primis come cittadini italiani, con la consapevolezza di avere dalla nostra parte competenze, imprenditori e manager eccellenti in questo campo e che possiamo far diventare l’Italia il ‘granaio farmaceutico d’Europa’.

Il Gruppo Menarini è noto anche per le tante attività sociali che porta avanti. Quali sono le aree su cui si focalizza maggiormente?

Gran parte dell’impegno di Menarini nel sociale è costituito da progetti rivolti ai bambini e alla tutela delle persone più fragili. Portiamo avanti nei Paesi in cui siamo presenti tantissime iniziative con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita delle nostre comunità locali. A Firenze abbiamo particolarmente a cuore i ragazzi straordinari delle Volpi Rosse Menarini, la nostra squadra di basket in carrozzina che oggi gioca in Serie A e che ha esordito da poco anche a livello europeo. Vederli crescere sia dal punto di vista professionale che personale è una fortissima emozione e siamo fieri del percorso esponenziale che stanno portando avanti.

Di recente, invece, il think tank ON RADAR di Fondazione Internazionale Menarini ha organizzato un incontro in cui si è parlato di un tema molto discusso: quello della natalità. Cosa è emerso?

ON RADAR ha voluto affrontare il tema della natalità in una logica ‘politicamente scorretta’, cioè che analizzasse anche aspetti mai presi in considerazione fino ad ora dalle istituzioni, come la trasformazione del mondo della comunicazione e le aspettative dei giovani. Durante l’incontro, 15 studenti si sono confrontati con gli esperti del settore: è emerso che, prima ancora della precarietà economica, una delle cause della denatalità si deve rintracciare nelle ansie e nelle insicurezze psicologiche generate da una società che mostra modelli di perfezione irraggiungibili e che incidono fortemente sulle capacità dei ragazzi di assumersi responsabilità o di stringere relazioni stabili. Ci farebbe piacere che le istituzioni dessero voce anche ai giovani, in qualità di potenziali future madri e futuri padri, invece di far trattare questi temi solo a persone di cinquanta, sessant’anni o prossime alla pensione.

La famiglia Aleotti

Lucia e Giovanni Alberto, dagli inizi, alla crescita all’estero, fino alla scelta di un management internazionale per Menarini

Azionista e membro del consiglio di amministrazione di Menarini e vicepresidente di Farmindustria, Lucia Aleotti inizia la sua carriera subito dopo la laurea con lode in Economia, quando fa il suo ingresso in azienda. Nel 2001 entra nel Cda con il fratello Alberto Giovanni, per poi diventarne presidente nel 2013. Insieme i fratelli continuano il processo di crescita e di internazionalizzazione dell’azienda, acquisendo prima un gruppo farmaceutico presente in 13 Paesi dell’Asia Pacifico e poi Silicon Biosystems, azienda specializzata nella diagnostica di precisione in ambito oncologico e prenatale. Nel 2018, proseguendo un percorso di modernizzazione della governance, Lucia Aleotti cede la carica di presidente a Eric Cornut, aprendo la strada a un Cda sempre più internazionale che nel 2019 vede anche l’ingresso, come amministratrice delegata, di Elcin Barker Ergun. Nel 2020, la crescita di Menarini continua con l’acquisizione dell’azienda biofarmaceutica Stemline Therapeutics che segna l’ingresso di Menarini nel mercato farmaceutico oncologico statunitense.

Lucia e Giovanni Alberto Aleotti

Menarini nel mondo

Dal fatturato record del 2022 alla produzione: i numeri

A Firenze dal 1915, il Gruppo Menarini è presente oggi in 140 Paesi e dà lavoro a più di 17.000 dipendenti. Ha chiuso il 2022 registrando un fatturato record pari a 4,15 mld di euro. Con 9 centri di Ricerca e Sviluppo è presente nelle più importanti aree terapeutiche tra cui cardiologia, oncologia, gastroenterologia, pneumologia, malattie infettive, diabetologia, infiammazione e analgesia. La produzione farmaceutica è realizzata in 18 stabilimenti produttivi, principalmente in Europa, dove sono prodotte e distribuite nei cinque continenti più di 577 milioni di confezioni all’anno.

 

 

 

 

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