Merito e ricompensa, il segreto per evitare delusioni

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“Una bistecca, per favore”. L’ordinazione risuona nella sala del ristorante, le papille gustative si preparano al contatto con il taglio prelibato che ci aspetta. In qualche modo, gustando questo piatto, stiamo offrendo a noi stessi un “premio”, ovviamente se siamo amanti delle carni. Ma attenzione: se il piacere si lega ad una cottura al sangue e invece la carne ci viene offerta molto cotta, o se volete il contrario, avremo una percezione di quanto stiamo offrendo a noi stessi in termini di ricompensa psicologica inferiore rispetto alle attese. Pur se il premio, va detto, è esattamente quello che attendevamo. 

Si può scegliere anche la strada della metafora culinaria, come abbiamo tentato di fare magari impropriamente, per spiegare una discrepanza percettiva che rischia di inficiare il valore del riconoscimento professionale e lo stesso percorso dei processi decisionali umani, entrando a gamba tesa nella misurazione del merito e del sistema premiante.

Quando si pensa a riconoscere il valore di una prestazione o di un percorso, non basta riflettere sulla ricompensa da offrire. Ma bisogna anche pensare agli obiettivi che una persona si pone. Come accade per la bistecca. Se ci piace “Rare” ma ci viene presentata “Well Done” avremo la sensazione di un riconoscimento limitato per il nostro piacere. Anche se lo strumento premiante è esattamente quello che attendevamo. 

Quando si pensa ad un meccanismo che sia davvero premiante, insomma, non basta definire il valore oggettivo del riconoscimento. Bisognerebbe anche avere una chiave di analisi psicologica di chi è destinato a ricevere il premio, in modo tale che vengano anche considerati gli obiettivi che la persona si pone. Occorre quindi “personalizzare”, dal punto di vista delle risorse umane, la ricompensa. Mescolando assieme, in un cocktail perfetto, non solo il valore intrinseco dell’oggetto o dello sviluppo di carriera, ma anche le attese e le oggettive percezioni di chi ottiene lo sviluppo professionale.

Ovviamente, in questa valutazione di HR, bisogna tenere presente anche il contesto decisionale. Insomma: occorre pensare alla ricompensa orientata all’obiettivo, almeno se si vuole seguire la teoria che viene proposta sulle pagine di PLOS Biology da Anne Collins e Gaia Molinaro, psicologhe dell’Università di Berkeley.

Le esperte hanno analizzato informazioni su un’ampia popolazione per giungere a quella che si potrebbe definire una nuova strada, personale, per valutare il vero valore di un sistema premiante. E si tratta di un modello che supera il percorso di crescita professionale ed i relativi scatti di carriera, anche in chiave economica, per considerare anche le attese e soprattutto gli obiettivi del soggetto.

Se non si trova soddisfazione in questo senso, comprendere cosa sta accadendo può essere più difficile per in singolo, e quindi creare possibili turbolenze non solo nel soggetto, ma anche sul lavoro e nell’organizzazione in cui opera.

Passando dal microcosmo dell’ambito professionale al “mare magnum” della vita di ogni giorno, questa chiave di lettura può essere trasferita anche in altri ambiti, dal posizionamento delle politiche pubbliche che vanno a seguire non solo le strategie identificative ma anche gli obiettivi della maggioranza della popolazione o anche in campo medico.

Chi deve fare i conti con problematiche psicologiche spesso ha proprio bisogno di veder rispettati i propri obiettivi, senza limitarsi ad un sistema che riconosca un risultato valido sul piano della ricerca, ma non considerato sufficientemente significativo dal soggetto. Insomma:, come segnalano le esperte, il premio non deve essere aspecifico, ma considerare anche il valore della percezione del singolo. Per essere davvero efficace. E soddisfare.

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