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Pfas, scoperto perchè nelle aree inquinate aumenta il rischio d’infarto

Pfas
Gilead

Nelle zone inquinate da composti perfluoro-alchilici, gli ormai noti Pfas, aumenta il pericolo d’infarto. Ma come mai? A far luce su questo mistero sono i ricercatori dell’Università di Padova guidati da Carlo Foresta, già professore ordinario di Endocrinologia, Studioso Senior dell’ateneo padovano e presidente Fondazione Foresta Onlus, in collaborazione con Alberto Ferlin, ordinario di endocrinologia, e Nicola Ferri, ordinario di farmacologia.

I risultati

“Lo studio – spiega Foresta Fortune Italia – ha dimostrato il meccanismo attraverso il quale Pfoa e Pfos, i più diffusi composti della famiglia degli Pfas, interferiscono con il processo di assorbimento da parte delle cellule epatiche del colesterolo dal sangue. In sintesi, la ricerca”, pubblicata su “Toxicology Reports”, “ha dimostrato che queste sostanze interagiscono con la membrana delle cellule del fegato e ostacolano il normale assorbimento di colesterolo, incrementandone quindi i livelli circolanti. È importante notare – sottolinea l’esperto – che questo effetto sembra sia dovuto a una ridotta plasticità della membrana cellulare, che impedisce la corretta funzionalità di tutti quei meccanismi di captazione del colesterolo”.

I danni per la salute

I risultati chiariscono anche l’origine dell’importante aumento dei livelli di colesterolo ematici nelle popolazioni esposte (57% rispetto al 27% della popolazione generale). “Continuano a emerge gli effetti degli Pfas sulla salute umana, ma gli interventi pratici non ci sono. Ricordo, tra le manifestazioni cliniche imputate all’esposizione a queste sostanze, aspetti materno-fetali (poli-abortività, basso peso alla nascita, nati pre-termine, endometriosi), fertilità maschile e femminile, ipercolesterolemia e diabete, osteoporosi, tireopatie, alterazioni cardio-e cerebro-vascolari, riduzione della risposta immunitaria e alterazioni nervose. Queste manifestazioni sono particolarmente evidenti nelle zone esposte a importante inquinamento industriale da Pfas, ma è interessante considerare che anche i bassi livelli di queste sostanze riscontrabili nella popolazione generale possono costituire un fattore di rischio. Nella vita quotidiana è infatti veramente difficile evitare il contatto con i Pfas”, poiché queste sostanze sono presenti in svariati prodotti di uso quotidiano (rivestimenti antiaderenti, packaging alimentare, abbigliamento impermeabile, prodotti cosmetici).

La geografia dell’inquinamento da Pfas

L’inquinamento da Pfas è diffuso in tutto il mondo. Si stimano più di duemila aree in Europa nelle quali la concentrazione ambientale supera i livelli considerati di sicurezza per la salute umana. In Italia il fenomeno riguarda, in particolare, la Regione Veneto.

I risultati degli studi epidemiologici internazionali e nel Veneto, sulla popolazione residente in zone contaminate, mostrano che la percentuale dei soggetti con elevati livelli di colesterolo nel sangue, nella fascia 35-75 anni, è più del doppio rispetto alla popolazione generale di controllo (circa 57% contro 22%). L’ipercolesterolemia, ricordano i ricercatori, è il principale fattore di rischio per le cardiopatie ischemiche, prima causa di morte tra le malattie cardiovascolari.

Le priorità

“Considerata l’elevata prevalenza di questa patologia nella popolazione veneta a elevata esposizione agli Pfas, l’abbattimento dei livelli di queste sostanze tanto nell’ambiente quanto nel sangue diventa una priorità non trascurabile per la tutela della salute pubblica”, dice lo specialista. Un’impresa, considerato “il grosso problema della lunga permanenza di queste sostanze nell’organismo. Queste sostanze, infatti – ricorda infatti Foresta – si accumulano in particolari organi (fegato, scheletro, sangue) e permangono per molti anni, in alcuni casi fino a un decennio”.

Speranze dal carbone attivo vegetale

Anche se oggi azzerassimo completamente ogni fonte di esposizione a queste sostanze, quelle già accumulate negli anni resterebbero ancora in circolo a lungo. Per Foresta “gli strumenti di difesa sono innanzitutto preventivi, mirati a ridurre il più possibile il rischio di esposizione della popolazione a queste sostanze. In quelle già esposte è invece fondamentale attuare interventi sanitari mirati a eliminare queste sostanze dal sangue, ma oggi non sono ancora disponibili interventi terapeutici mirati e riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale. Per risolvere la questione dell’eliminazione dei Pfas dal corpo umano il nostro gruppo di ricerca presso l’Uoc di Andrologia e Medicina della Riproduzione dell’Azienda Ospedale Università di Padova, ha identificato sperimentalmente possibili forme di intervento basandosi sulle dinamiche di bioaccumulo di queste sostanze nell’uomo. Da un’intuizione sperimentale ispirata al filtraggio delle acque e basata sull’utilizzo dei filtri ai carboni attivi, è stato individuato un corrispettivo terapeutico nel carbone attivo vegetale a uso umano”, continua l’esperto.

Una sostanza naturale, “in grado di trattenere al suo interno molte molecole, e che trova già impiego nel trattamento di intossicazioni da farmaci e avvelenamenti alimentari. La nostra ipotesi è stata quella di drenare a livello intestinale i Pfas, rendendoli eliminabili con le feci. Sulla base di queste considerazioni, sarebbe opportuno che il problema fosse affrontato a livello istituzionale, poiché la verifica clinica di questa ipotesi sperimentale potrebbe portare a risultati molto importanti”, chiosa Foresta

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