Inquinamento da Pfas, la promessa del carbone vegetale

Carlo Foresta
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La ‘questione Pfas’ (sostanze perfluoroalchiliche utilizzate dall’industria fin dagli anni ’50 per la loro capacità di rendere i prodotti impermeabili all’acqua e ai grassi, e presenti in tappeti, insetticidi, schiume antincendio, vernic, contenitori per il cibo e detersivi, solo per fare alcuni esempi), è finita un po’ fuori dai radar negli anni di pandemia da Covid-19.

Se però la contaminazione rilevata in Veneto ha resto la regione particolarmente attenta e sensibile, l’esposizione a Pfas dovrebbe essere un problema meno ‘territoriale’: tutta la popolazione rischia di entrare in contatto con queste sostanze attraverso oggetti di uso quotidiano come pellicole e rivestimenti alimentari, tappeti, abbigliamento, polvere, prodotti cosmetici. Questo perché, lo ricordiamo, si tratta di interferenti endocrini, in grado di influire sull’organismo influenzando la salute sotto vari aspetti, a partire dalla fertilità. 

Recenti ricerche hanno messo in luce un aumento di patologie neonatali e delle donne in gravidanza nelle aree più contaminate: diabete gestazionale, neonati più piccoli e sotto peso rispetto alla media, ma anche problematiche di infertilità.

La buona notizia è che la ricerca non si è fermata, e un gruppo particolarmente attivo è proprio quello di Carlo Foresta, che ha reso noti i risultati preliminari di una sperimentazione, suggerendo un approccio innovativo a base di carbone vegetale. 

Il carbone vegetale

L’utilizzo di filtri al carbone attivo per la purificazione delle acque ad uso umano nell’area rossa a massimo inquinamento da Pfas in Veneto si è da tempo rivelata utile. Ma restava il problema di intervenire sull’uomo per eliminare queste sostanze, che hanno un tempo di eliminazione fino a dieci anni.

Ora le ricerche del gruppo di studio di Carlo Foresta e dell’Uoc di Andrologia e Medicina della Riproduzione dell’Azienda Ospedale Università di Padova, diretta da Alberto Ferlin, hanno permesso di identificare possibili forme di intervento basandosi sulle dinamiche di bioaccumulo di queste sostanze nell’uomo.

Da un’intuizione sperimentale ispirata proprio al filtraggio delle acque, basata sull’utilizzo dei filtri ai carboni attivi, è stato individuato un corrispettivo terapeutico nel carbone attivo vegetale ad uso umano.

Ma di che si tratta? Il carbone attivo vegetale è una sostanza naturale che agisce come una sorta di spugna, in grado di trattenere al suo interno molte molecole, grazie alla sua estesa area superficiale interna che può raggiungere migliaia di metri quadri per grammo di sostanza in polvere. Tanto che questa sostanza trova già impiego nel trattamento di intossicazioni da farmaci e avvelenamenti alimentari (nonché per il meteorismo intestinale).

Drenare Pfas? Ecco come

“La nostra idea sperimentale è stata quindi quella di drenare a livello intestinale i Pfas, rendendoli eliminabili con le feci”, ha spiegato Foresta. Una sperimentazione in vitro per verificare la validità teorica di questa ipotesi di trattamento è stata quindi condotta presso il Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova, con la collaborazione di Luca De Toni e Andrea Di Nisio.

In un modello di soluzione fisiologica, con una composizione simile al sangue umano, sono stati disciolti Pfoa e Pfos, i due principali Pfas presenti nel sangue dei soggetti esposti. L’incubazione con carbone attivo vegetale si è dimostrata in grado di rimuovere rispettivamente ben il 50,3% e il 44,6% degli inquinanti. Questi risultati, affermano i ricercatori, suggeriscono l’esistenza di una forza motrice netta a favore dell’attività del carbone attivo per i composti perfluoroalchilici, tale da sottrarre gli inquinanti dal ricircolo entero-epatico e da favorirne l’eliminazione fecale a seguito della somministrazione per bocca.

L’idea è quella di un “trattamento per alcune settimane con un integratore alimentare a base di carbone attivo vegetale che, a seguito di un opportuno dosaggio e frequenza giornaliera di assunzione, si ritiene sia in grado di ridurre considerevolmente i livelli di Pfas nel sangue favorendone l’eliminazione attraverso le feci”, conclude Foresta.

Insomma, una sperimentazione mirata potrebbe portarci a mettere a punto una strategia per ‘ripulire’ l’organismo umano da Pfas, grazie a un integratore alimentare a base di carbone vegetale. Naturalmente c’è ancora molto da fare, a partire dal dosaggio ideale di questa sostanza. Ma l’idea sembra davvero interessante, anche perché parliamo di un prodotto già utilizzato dall’uomo.

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