Lavoro: ecco quando fa male al cuore

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Fumo, cibi grassi, pigrizia? Fra i nemici del cuore c’è un ‘insospettabile’: il lavoro. Potreste pensare che sia la disoccupazione a mettere a rischio la salute del nostro muscolo cardiaco, ma la ricerca ci dice qualcosa di diverso. Lavorare sodo ricevendo poca o nessuna gratificazione, infatti, fa male al cuore. Almeno secondo gli specialisti della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (Gise), riuniti per il 44° congresso nazionale a Milano.

“Sapevamo da tempo che un lavoro stressante e una scarsa gratificazione possono avere un impatto negativo sulla salute del cuore, ma solo come fattori di rischio singoli – precisa Giovanni Esposito, presidente Gise – Il nuovo studio, invece, ha sottolineato per la prima volta l’enorme impatto della combinazione di questi due fattori, cioè lavoro duro e ricompensa bassa”.

Lo studio

Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte nel mondo e solo in Italia sono responsabili del 35% di tutti i decessi. A ‘pesare’ l’impatto del lavoro sul cuore è stato uno studio condotto dall’Università Laval in Quebec, Canada, pubblicato su ‘Circulation: Cardiovascular Quality and Outcomes’. Nel nuovo studio i ricercatori hanno coinvolto quasi 6.500 colletti bianchi (3.118 uomini e 3.347 donne) con un’età media di 45 anni, che non avevano una storia pregressa di malattie cardiache.

I soggetti sono stati seguiti per quasi 20 anni, e nello stesso periodo sono stati sottoposti a una serie di domande sul loro lavoro e sulla loro salute. In questo modo gli studiosi sono riusciti a misurare la tensione lavorativa e lo squilibrio tra fatica e ricompensa.

Ebbene, chi riferiva di aver sperimentato stress lavorativo o squilibrio tra sforzo e ricompensa, aveva un rischio maggiore del 49% di malattie cardiache rispetto a coloro che non hanno segnalato le stesse condizioni lavorative.

Medico guarda te stesso

Colpisce come il fenomeno colpisca gli stessi ‘camici bianchi’. Su Fortune Italia abbiamo segnalato come la carenza di professionisti costringa spesso i medici a un super-lavoro: ecco allora che a rischiare di più gli effetti nefasti del troppo lavoro è chi deve prestare servizi di reperibilità e urgenza, come i cardiologi interventisti.

Certo “è paradossale che siano proprio i ‘medici del cuore’ a mettere a rischio il proprio, lavorando con abnegazione nonostante i pochi riconoscimenti”, rileva il presidente Gise.

Le priorità

“I risultati – commenta Esposito – evidenziano quindi l’urgente necessità di affrontare in modo proattivo le condizioni di lavoro stressanti, per creare ambienti più sani a vantaggio dei dipendenti e dei datori di lavoro”.

“Evidenze scientifiche suggeriscono che ci siano due modi principali in cui lo stress può danneggiare il cuore – puntualizza Francesco Saia, presidente eletto Gise e cardiologo interventista all’Irccs Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Policlinico Sant’Orsola – Il primo coinvolge il sistema simpatico e riguarda il controllo della pressione sanguigna e del restringimento dei vasi sanguigni. L’altro include l’attivazione del midollo osseo e il rilascio di cellule infiammatorie, che a loro volta portano all’infiammazione aterosclerotica e all’insorgenza di placche e trombi”. Attenzione, però: “A fare male – dice Saia – non è un singolo evento stressante, ma periodi prolungati di stress in combinazione con altri fattori di rischio”.

Il cuore delle donne

La combinazione di “lavoro stressante e poca gratificazione” sembra avere sul cuore un impatto simile a quello dell’obesità. Ma la salute del cuore delle donne sembra non essere influenzata da questi fattori, anche se i ricercatori canadesi ritengono che siano necessari ulteriori ricerche.

Un mistero ancora in parte da svelare

“Considerando la notevole quantità di tempo che le persone trascorrono al lavoro, comprendere la relazione tra fattori di stress lavorativo e salute cardiovascolare è fondamentale per la salute pubblica e il benessere della forza lavoro”, conclude Esposito,

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