Microplastiche nelle arterie, come l’inquinamento colpisce al cuore

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Si è tanto parlato di inquinamento in questi giorni, un fenomeno che fa male anche al cuore. Ma in che modo? A mettere in luce un aspetto finora sottovalutato è uno studio italiano, il primo ad aver individuato la presenza di microplastiche direttamente nelle arterie umane.

Dopo averle trovate nell’uomo in diversi organi e tessuti, tra cui la placenta, il latte materno, fegato e polmoni, compresi i tessuti cardiaci, i ricercatori ora hanno scoperto le microplastiche nelle placche aterosclerotiche, depositi di grasso nelle arterie pericolosi per il cuore.

Lo studio

I ricercatori dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli hanno monitorato 257 pazienti over 65 per 34 mesi dopo un intervento per rimuovere le placche aterosclerotiche che occludono le carotidi, i osservate al microscopio elettronico in cerca di microplastiche. E qui è arrivata la ‘sorpresa’: il team ha rilevato quantità misurabili di polietilene (PE) nel 58.4% dei casi e di polivinilcloruro (PVC) nel 12.5%. Si tratta di composti utilizzati per realizzare tra le altre cose contenitori, rivestimenti, pellicole plastificate e materiali per l’edilizia.

In questi pazienti il rischio di eventi cardiovascolari come infarto, ictus e di mortalità per tutte le cause è risultato fino a 2 volte più alto rispetto a chi all’interno delle placche non aveva accumulato microplastiche. Non solo, queste sostanze sono associate anche a una maggiore infiammazione locale che rende le placche ‘da inquinamento’ più instabili e friabili.

Il commento del coordinatore della ricerca

“Tutti i partecipanti sono stati seguiti per circa 34 mesi – sottolinea Giuseppe Paolisso, coordinatore dello studio e Ordinario di MedicinaInterna dell’Università Vanvitelli (nella foto sotto) – e si è osservato che in coloro che avevano placche ‘inquinate’ dalle plastiche il rischio di infarti, ictus o di mortalità per tutte le cause era almeno raddoppiato rispetto a chi non aveva placche aterosclerotiche contenenti micro e nanoplastiche, indipendentemente da altri fattori di rischio cardio-cerebrovascolari come età, sesso, fumo, indice dimassa corporea, valori di colesterolo, pressione e glicemia o precedenti eventi cardiovascolari. I dati mostrano inoltre un incremento locale significativo di marcatori dell’infiammazione in presenza delle microplastiche”.

Paolisso
Giuseppe Paolisso, coordinatore dello studio e Ordinario di MedicinaInterna dell’Università Vanvitelli

Come la plastica danneggia il cuore

“L’effetto pro-infiammatorio potrebbe essere uno dei motivi per cui le microoplastiche comportano una maggiore instabilità delle placche e quindi un maggior rischio che si rompano, dando luogo a trombi e provocando così infarti o ictus – spiega Raffaele Marfella, ideatore dellostudio e Ordinario di Medicina Interna dell’Università Vanvitelli – Dati raccolti in vitro e negli animali da esperimento hanno già mostrato che” queste sostanze “possono promuovere lo stress ossidativo e l’infiammazione nelle cellule dell’endotelio che ricopre i vasi sanguigni, ma anche alterare il ritmo cardiaco e contribuire allo sviluppo di fibrosi e alterazioni della funzionalità del cuore: questi risultati mostrano per la prima volta nell’uomo una correlazione fra la presenza di micro e nanoplastiche e un maggiorrischio cardiovascolare”.

Un nuovo fattore di rischio

“Il nostro studio non ha indagato l’origine delle micro e nanoplastiche rilevate nelle placche: considerata l’ampia diffusione di PE e PVC, attribuirne la fonte di provenienzanell’uomo è pressoché impossibile – puntualizza Antonio Ceriello dell’Irccs Multimedica di Milano – Sebbene i nostri dati non stabiliscano un rapporto di causa-effetto, tuttavia suggeriscono che le micro e nanoplastiche potrebbero costituire un nuovo, importante fattore di rischio cardiovascolare di cui tenere conto”.

L’inganno della plastica

Stando all’ultimo rapporto Future Brief sulle nanoplastiche della Commissione Europea, in media un adulto inala o ingerisce dalle 39.000 alle 52.000 particelle plastiche all’anno, 5 grammi di plastica alla settimana. L’equivalente, conti alla mano, di una carta di credito.

Lo studio italiano, pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’, è accompagnato da un editoriale della rivista che definisce la ricerca “una scoperta rivoluzionaria che solleva una serie di domande urgenti: l’esposizione a microplastiche e nanoplastiche può essere considerato un nuovo fattore di rischio cardiovascolare? Quali organi oltre al cuore possono essere a rischio? Come possiamo ridurre l’esposizione?”.

“Il primo passo – scrive l’epidemiologo Philip J. Landrigan, fondatore e direttore del Global Public Health Program del Boston College e del Global Pollution Observatory all’interno dello Schiller Institute for Integrated Science and Society, che firma l’editoriale – è riconoscere che il basso costo e la convenienza della plastica sono ingannevoli e che, di fatto, nascondono grandi danni, come il contributo della plastica agli esiti associati alla placca aterosclerotica”.

“Dobbiamo incoraggiare i nostri pazienti a ridurre l’uso della plastica, in particolare degli articoli monouso non necessari e sostenere il Trattato Globale sulla Plastica delle Nazioni Unite per rendere obbligatorio un tetto globale alla produzione di plastica. Come per i cambiamenti climatici – avverte l’epidemiologo – anche la risoluzione dei problemi associati alla plastica richiederà una transizione su larga scala dal carbonio fossile”.

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