La rincorsa digitale dell’health care

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Il settore health care accusa un ritardo nella trasformazione digitale ma ci sono le premesse per un recupero rapido nei prossimi due o tre anni. Buona parte del progresso passa per le potenzialità degli smartphone e l’utilizzo di big data e A.I.: ne parla Lorenzo Positano, partner & managing director di Boston Consulting Group.

La rivoluzione digitale sta portando disruption in tutti i settori. Basti considerare che le cinque società più capitalizzate al mondo sono i cinque giganti tech: Apple, Alphabet (Google), Microsoft, Amazon, Facebook. E che fino a 8 anni, tra le prime cinque, c’era solo Apple. Oppure, che la società di trasporto in auto più grande al mondo, Uber, non possiede auto; il più grande gestore di affitti brevi, Airbnb, non ha immobili; i più grandi servizi di comunicazione, da Whatsapp a Skype, non hanno una loro infrastruttura; il più popolare social network, Facebook, non produce contenuti. In questo scenario, il settore dell’health care è in ritardo rispetto ad altri (auto, banche, media). Ma può colmare quasi tutto il gap nei prossimi due-tre anni. Parte da questa considerazione l’analisi di Lorenzo Positano, che guida Boston Consulting Group’s Health Care practice in Italia, Grecia, Turchia e Israele.

Negli ultimi sette anni, spiega, nel settore “ci sono state cinque spinte fondamentali: l’utilizzo massivo delle tecnologie; il cambiamento delle regole nel reimbursement; una nuova regulation; un grande investimento nel digitale; nuovi player entranti nel settore, proprio Apple, Google, Microsoft e Amazon”. Si sono affermate nuove tecnologie che sono utilizzate ormai da tutti i soggetti presenti sul mercato. Positano cita gli advanced analitycs, l’intelligenza artificiale, il cloud, l’Iot e quindi tutti i device connessi a Internet, la stampa 3D, la realtà virtuale e quella aumentata. In generale, evidenzia, “la tecnologia è diventata più veloce ed economica”. E ci sono alcuni dati interessanti che lo dimostrano: “il costo del sensore negli ultimi dieci anni si è ridotto di 50 volte, quello della banda di 40 volte, l’80% delle aziende usa gli electronic health records (le cartelle cliniche digitali): siamo al 100% negli Usa mentre l’Italia è sotto il 50%, rispetto all’85% della Germania e al 75% della Francia. Abbiamo circa 228mila genomi sequenziati al 2016, 6 mld di device connessi a Internet e 6 mld di dollari di investimenti in startup digitali nel settore health care”.

Buona parte del progresso fatto è legata alla capillare diffusione degli smartphone. “Sono ovunque: ce ne sono 6 mld disponibili nel mondo e cresce molo velocemente l’utilizzo nella fascia over 65, quella più sensibile all’health care”. Esistono, poi, “tantissimi utilizzi del remote health care”. In un Paese molto avanzato, l’Inghilterra, “sono stati stanziati 6 mld per la completa digitalizzazione del sistema sanitario, entro il 2020 sarà monitorato da remoto il 25% dei malati cronici e dal 2017 sono rimborsati più di 20 device che consentono di migliorare la salute del paziente”.

Nonostante questo, il margine di crescita è enorme. “Il mondo health care è molto in ritardo per quanto riguarda la trasformazione digitale: se mettiamo sull’asse delle ordinate tutti i settori industriali, si trova nella parte bassa, sono più avanzati l’automotive, le tlc, le banche, i media…”, osserva Positano. “Abbiamo fatto un’analisi sul digital acceleration index che ci permette di capire il gap di ogni singola azienda nei confronti delle best practice digital: nell’health care solo il 10% delle aziende può essere considerato un digital champion, contro il 46% nelle tlc, ad esempio”.

Positano evidenzia come “il valore in gioco sia enorme: la digitalizzazione della supply chain porta alle aziende il 25% di margine in più”. Utile anche guardare alle intenzioni per il futuro. Gli statement dei principali ceo del settore health care, da Novartis a Sanofi, da Medtronic a Philips, dicono tutti la stessa cosa: le nostre società saranno sempre più digitali”. Positano quindi ricorre ad alcuni esempi concreti per evidenziare i passi in avanti di alcuni player. “Johnson & Johnson ha lanciato una piattaforma digitale per il recruitment di talenti che gli ha consentito di aumentare del 10% la presenza femminile; Merck attraverso il data analitycs ha ridotto del 50% i costi di inventario; Humana, attraverso un modello ottimizzato di machine learning, ha ridotto di 100 mln il costo della cura; Sanofi, attraverso il digital customer journey (il percorso che porta un cliente a chiudere una transazione), ha ridotto del 40% il costo di accesso”. Le aziende del settore health care, poi, “si stanno espandendo anche in aree non core. Medtronic, che fa medical device, per alcune patologie croniche come il diabete sta cercando di fornire ai pazienti cronici tutto il ciclo della cura”.

Guardando alla trasformazione in corso, sono cinque gli aspetti principali di cui tenere conto. “Ci stiamo muovendo verso un sistema value based, che remunera in base al raggiungimento del risultato. Meglio lo raggiungi, meglio sei pagato”. Questo processo, spiega Positano, “pone una serie di sfide per la misurazione degli outcome. Boston Consulting Group ha fondato, insieme al professore di Harvard Michael Porter, una società no profit, Ichom, che ha definito gli indicatori per misurare gli esiti delle cure per svariate patologie”.

Il secondo aspetto è quello della predizione. “Alcune assicurazioni negli Usa basano la loro attività sulla previsione dei sinistri: attraverso big data e intelligenza artificiale, prevedono la possibilità di ammalarsi di una determinata patologia”. Ancora, un’app che si chiama Zebra Medical “riconosce il pattern delle immagine diagnostiche e utilizzando i meccanismi dell’A.I. è in grado di definire una prima diagnosi”.

Poi, c’è la prevenzione. “Sono arrivate le prime autorizzazioni per vere e proprie terapie digitali. C’è un’app che permette di tenere sotto controllo l’abuso di sostanze che creano dipendenza: in Canada e negli Stati Uniti, il paziente paga l’accesso all’app che viene poi rimborsata dal sistema sanitario nazionale”. In sostanza, “un’app viene utilizzata come un farmaco per evitare la dipendenza”. Positano fa riferimento poi a WellDoc che ha lanciato Bluestar, “una terapia mobile per la gestione dei pazienti diabetici che consente alla persona di avere accesso a una serie di suggerimenti per evitare comportamenti che portano al diabete, di fare prescrizioni direttamente dall’app e di avere accesso ai medici di base per capire il proprio stato di salute”.

L’health care sarà poi sempre più guidato dal consumatore: Apple Watch permette di tracciare un ecg al polso; ci sono sistemi per fare diagnosi attraverso videochiamata; Alexa (Amazon) verifica attraverso la voce se ci sono problemi di salute; si fanno esercizi di riabilitazione motoria con l’Xbox; si usa la realtà virtuale per la terapia del dolore e per la correzione degli stati ansiogeni”.

Altra linea di sviluppo significativa è la personalizzazione. Nello smartphone, ricorda Positano, “abbiamo sei strumenti che permettono di raccogliere dati: il giroscopio registra quanto camminiamo, quanto ci muoviamo; il gps, consente di sapere dove ti trovi e l’impatto che può avere l’ambiente sul tuo stato fisico; la telecamera può essere utilizzata per capire lo stile di vita che stai tenendo; attraverso i social network si ricostruiscono le abitudini e i comportamenti sociali”. Insomma, l’applicazione potenziale del digital health è enorme. Positano ricorre a un altro esempio. “Ginger.io è un’app che utilizza i dati dello smartphone per capire stati di possibile depressione, suggerire programmi di miglioramento comportamentale o mettere direttamente in contatto il paziente con terapisti qualificati”.

Resta sul tavolo il problema del rapporto tra intelligenza artificiale e quella umana, tra la tecnologia e il medico. Positano non ha dubbi: “i sistemi attuali consentono di monitorare sintomi ma richiedono comunque l’interpretazione di un medico. Non siamo ancora al momento in cui la macchina fa la diagnosi. Sono tutti strumenti complementari e il margine di errore c’è ancora”. Quindi, in estrema sintesi, quanta strada si sta facendo verso la piena digitalizzazione dell’health care? “Nell’ultimo anno e mezzo c’è stata un’accelerazione notevole. L’health care sarà sempre più digitalizzato nell’arco dei prossimi due-tre anni. La crescita è quasi esponenziale, perché le tecnologie sono disponibili sempre più velocemente, l’intelligenza artificiale di base è facile da sviluppare e con più dati sarà sempre più attendibile”.

Articolo di Fabio Insenga apparso sul numero di Fortune Italia di maggio 2019

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