La morte dei mille clic: il disastro Usa delle cartelle cliniche elettroniche

cartelle cliniche elettroniche
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Il Governo Usa aveva dichiarato che il passaggio alle cartelle cliniche elettroniche avrebbe reso l’assistenza sanitaria migliore, più sicura e avrebbe permesso di risparmiare. Dieci anni e 36 mld di dollari più tardi, il sistema è un disastro di dimensioni spropositate. All’interno di una rivoluzione digitale andata storta.

Articolo di Erika Fry e Fred Shulte apparso sul numero di Fortune Italia di maggio 2019.

 

Il dolore si irradiava da un punto preciso della testa, e peggiorava ogni volta che Annette Monachelli provava a cambiare posizione. Non le sembrava la sua solita emicrania. L’avvocato 47enne del Vermont (riciclatasi in albergatrice) aveva consultato il suo medico allo Stowe Family Practice ben due volte per lo stesso problema verso la fine di novembre 2012, ma senza grandi risultati.

Due mesi dopo, Monachelli morì per un aneurisma cerebrale. Una condizione che, nonostante i sintomi manifestati e le visite, non le venne mai diagnosticata prima di presentarsi al pronto soccorso, dove morì pochi giorni dopo.

Il marito di Monachelli fece causa allo Stowe, il centro medico federale qualificato presso il quale lavorava il dottore. Owen Foster, neo-assunto assistente procuratore degli Stati Uniti per il Distretto del Vermont, fu incaricato di difendere il governo. Anche se sembrava essere un caso standard di negligenza medica, Foster era sul punto di scoprire qualcosa di molto più grande – che il suo capo, il procuratore Christina Nolan, ha definito “l’ultima frontiera della frode sanitaria” – e di lavorare al primo caso di questo genere, che si tradusse nel più grande rimborso finanziario della storia del Vermont.

Foster iniziò dalla cartella clinica di Monachelli, che di per sé era già un enigma. Secondo i documenti giudiziari del governo, il medico di Monachelli aveva considerato la possibilità di un aneurisma e, per escluderlo, aveva inoltrato, attraverso il sistema informatico della clinica, l’ordine di eseguire una scansione cerebrale. L’esame, in teoria, avrebbe individuato l’emorragia nel cervello di Monachelli. Ma l’ordine non arrivò mai al laboratorio; non venne mai neanche trasmesso.

Il software in questione era un sistema per la gestione delle cartelle cliniche elettroniche, o Ehr (Electronic health record), realizzato da eClinicalWorks (eCW), uno dei principali venditori nel mercato americano di software per la conservazione dei documenti sanitari, attualmente utilizzato da 850mila operatori sanitari negli Stati Uniti.

Foster non ci mise molto ad assemblare un dossier di preoccupanti segnalazioni – reclami del Better business bureau, problemi segnalati su un forum di utenti eCW, e casi legali archiviati in tutto il Paese – che suggerivano che la tecnologia sviluppata dall’azienda non funzionava come avrebbe dovuto.

Fino a quel punto, Foster, come la maggior parte degli americani, non sapeva quasi nulla sui fascicoli sanitari elettronici, ma stava rapidamente accumulando indizi che lasciavano pensare che il software di eCW avesse grossi problemi – alcuni dei quali mettevano a rischio i pazienti, come Annette Monachelli.

Le prove schiaccianti arrivarono da una denuncia presentata nel 2011 contro la società. Brendan Delaney, un poliziotto britannico diventato esperto Ehr, era stato assunto nel 2010 dalla città di New York per lavorare all’implementazione del sistema di eCW a Rikers Island, un complesso carcerario che allora aveva più di 100mila detenuti. Subito dopo essere stato assunto, Delaney individuò decine di problemi preoccupanti sul funzionamento del sistema, che divennero la base della sua causa giudiziaria. Le liste dei medicinali per i pazienti non erano affidabili; i farmaci prescritti non arrivavano, mentre farmaci che erano stati ritirati dal mercato risultavano essere in utilizzo, secondo quanto lamentato nella denuncia. L’Ehr talvolta mostrava, all’interno del profilo farmacologico di un paziente, una nota del medico per un paziente diverso, errori che si traducevano in diagnosi sbagliate o prescrizioni di farmaci alla persona sbagliata.

Sulle prescrizioni, circa 30.000 nel 2010, non erano apportate correttamente le date di inizio e di fine terapia, con il rischio così di incorrere in terapie insufficienti o eccessive.

Il sistema eCW non monitorava in modo affidabile i risultati di laboratorio, aveva concluso Delaney, dopo aver conteggiato 1.884 esami i cui risultati non erano mai arrivati. Così il Distretto del Vermont avviò un’indagine federale ufficiale nel 2015.

Il governo scoprì che lo ‘spaghetti code’ di eCW era talmente pieno di bug che quando un glitch veniva riparato, se ne sviluppava automaticamente un altro. Ad esempio, l’interfaccia utenti offriva la possibilità di ordinare un test di laboratorio o un’immagine diagnostica con diverse modalità, ma non tutte sembravano funzionare. Il software doveva rilevare e avvertire i consumatori di eventuali interazioni pericolose tra i farmaci, ma all’insaputa dei medici, queste segnalazioni venivano bloccate nel momento in cui gli ordini dei farmaci venivano personalizzati. “È come se stessi guidando con la radio e i tergicristalli accesi, e spegnendoli smettessero improvvisamente di funzionare anche i freni”, spiega Foster.

Il sistema eCW, inoltre, in alcuni casi non riusciva ad utilizzare i codici standard dei medicinali, e vi sono stati episodi in cui anche i codici di laboratorio e per le diagnosi erano errati, ha reso noto il governo.

La causa non è mai arrivata davanti a una giuria. Nel maggio 2017, eCW ha patteggiato con il governo al quale ha pagato 155 milioni di dollari per presunte ‘false dichiarazioni’ e per aver pagato tangenti – un medico ha fatto decine di migliaia di dollari – ai clienti che avevano promosso il suo prodotto. Nonostante l’accordo record, la società ha negato di aver commesso illeciti; nonostante le numerose richieste inviate, eCW non ha voluto rilasciare commenti in merito.

Ma il vero colpo di scena di questa storia è questo: il governo degli Stati Uniti ha finanziato l’adozione di questo software e continua a pagare per utilizzarlo. O, dovremmo dire, gli americani continuano a pagare.

Il che ci porta alla storia strana, triste, e ancora più grave che racconteremo qui di seguito. Non parla di una causa giudiziaria o di sciatta tecnologia. Piuttosto, parla di un’industria incline ai guai che si interseca, nel modo più intimo possibile, con le vite degli americani. Si tratta di un sistema sanitario da 3.700 mld di dollari che ozia al crocevia del progresso. E parla di una serie di conseguenze indesiderate e delle vittime di una grande idea apparentemente al passo coi tempi, all’epoca della sua realizzazione.

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Foto del 2016: il vice presidente Biden parla con il premio Nobel Paul Modrich. Dopo aver lasciato la Casa Bianca, il vice di Obama ha fondato la Biden Cancer Initiative, una no profit, con l’obiettivo di accelerare le cure per il cancro, in memoria di suo figlio. (AP Photo/Ben McKeown)

LA BACCHETTA MAGICA VIRTUALE

I fascicoli sanitari elettronici dovevano fare molto: rendere la medicina più sicura, portare a cure di maggiore qualità, responsabilizzare i pazienti, e sì, anche consentire di risparmiare denaro. I sostenitori andavano preannunciando un’epoca in cui i ricercatori avrebbero sfruttato i big data per scovare i trattamenti più efficaci e al contempo ridurre drasticamente gli errori medici. I pazienti, a loro volta, avrebbero davvero avuto cartelle cliniche portatili, che avrebbero permesso di condividere la propria storia medica con i dottori e gli ospedali di tutto il paese in un lampo – uno strumento essenziale quando in pronto soccorso vengono prese decisioni sulla vita e la morte.

Ma 10 anni dopo la firma del presidente Barack Obama di una legge volta ad accelerare la digitalizzazione delle cartelle cliniche – con il governo federale che, finora, ha impegnato più di 36 mld di dollari nel progetto – gli Stati Uniti non hanno molto da mostrare per giustificare l’investimento fatto. Kaiser health news (Khn) e Fortune hanno parlato con più di 100 medici, pazienti, esperti IT e amministratori, ma anche esperti di politica sanitaria, avvocati, alti funzionari governativi e rappresentanti di più di una mezza dozzina di fornitori di sistemi Ehr, compresi gli amministratori delegati di due di queste società. Le interviste rivelano una tragica occasione mancata: piuttosto che un ecosistema elettronico di informazioni, le migliaia di Ehr rimangono in gran parte un vasto patchwork disconnesso. Inoltre, questa iniziativa ha ammanettato gli operatori sanitari a una tecnologia che la maggior parte di loro non sopporta e ha arricchito e potenziato l’industria da 13 mld di dollari all’anno che la vende.

È vero che con un provvedimento il governo ha raggiunto l’obiettivo che si era prefissato: oggi il 96% degli ospedali ha adottato gli Ehr, rispetto al 9% del 2008. Ma per la maggior parte degli altri aspetti, la nuova tecnologia installata è una grande delusione.

I medici si lamentano del numero di ore passate a cliccare, digitare e cercare di navigare tra i meandri di questi sistemi maldestri e poco intuitivi, che è più del tempo che passano con i pazienti. A differenza, ad esempio, della rete globale di sportelli automatici per il prelievo di contanti, i sistemi Ehr brevettati, che vengono quotidianamente installati da oltre 700 venditori, non parlano tra loro, il che significa che i medici devono ricorrere ancora al fax o al cd-rom per il trasferimento dei dati. Nel frattempo, i pazienti fanno ancora fatica ad accedere ai propri dati – e, a volte, semplicemente non possono.

Invece di ridurre i costi, molti dicono che i fascicoli sanitari elettronici, originariamente studiati per le fatturazioni più che per la cura del paziente, abbiano agevolato il cosiddetto ‘upcoding’, ovvero gonfiare le fatture (anche se alcuni sostengono che questi sistemi comunque facilitino l’individuazione di tali frodi).

Ancora più grave, un’indagine congiunta di Khn e Fortune, durata mesi, ha rilevato che, invece di semplificare le terapie, l’iniziativa governativa sugli Ehr ha creato una serie di rischi, in gran parte sconosciuti, per la sicurezza dei pazienti. La nostra indagine ha rilevato che in vari archivi, sia finanziati dal governo che privati, si sono accumulate allarmanti – e, per la maggior parte, non viste – segnalazioni relative ai pazienti: dai decessi, alle lesioni gravi, oltre alle migliaia di ‘quasi incidenti’ legati a difetti dei software, errori degli utenti, o altri tipi di malfunzionamento.

Ad aggravare il problema sono le rigide politiche di segretezza che continuano a tenere i difetti dei software lontano da occhi indiscreti. I venditori di Ehr spesso impongono ‘clausole di riservatezza’ contrattuali che scoraggiano gli acquirenti dal riferire eventuali problemi sulla sicurezza o sulle disastrose installazioni del software – nonostante questo alcuni clienti si sono rivolti al tribunale per esprimere le proprie lamentele. I querelanti, inoltre, affermano che gli ospedali spesso lottano per sottrarre la documentazione ai pazienti danneggiati o alle loro famiglie. In effetti, i due medici che hanno parlato apertamente dei problemi che hanno affrontato con gli Ehr più tardi hanno chiesto di mantenere l’anonimato, spiegando che gli organismi sanitari per i quali lavoravano avevano vietato ai medici di rilasciare dichiarazioni su questo tema. I fornitori di Ehr “sono protetti da uno scudo di silenzio”, spiega l’assistente procuratore Foster.

Anche se i software hanno ridotto alcuni tipi di errori clinici appartenenti all’Era degli appunti scritti a mano, Raj Ratwani, un ricercatore della Medstar health di Washington DC, ha documentato nuovi schemi di errori medici legati agli Ehr, che crede siano pericolosi ma prevenibili. “Il fatto di non essere in grado di parlare di questi problemi a livello nazionale in modo da risolverli immediatamente, e che un altro paziente da qualche altra parte potrebbe venire danneggiato per errori del sistema di cui siamo già a conoscenza, è semplicemente inaccettabile”, afferma.

David Blumenthal, che durante il mandato di Obama era il coordinatore nazionale per le tecnologie informatiche sanitarie, ed è stato anche uno degli architetti dell’iniziativa sugli Ehr, parlando con Khn e Fortune riconosce che i fascicoli sanitari elettronici “non hanno soddisfatto il loro potenziale. Penso che in pochi potrebbero dire che lo hanno fatto”.

L’ex presidente ha parimenti individuato lo sforzo come uno dei più deludenti portati avanti durante il suo mandato, lamentando in un’intervista a gennaio 2017 con Vox “il fatto che ci siano ancora un sacco di scartoffie… e che i medici debbano ancora inserire documenti, e le infermiere stiano spendendo tutto il loro tempo in questo lavoro amministrativo. Abbiamo speso un sacco di soldi per incoraggiare tutti a digitalizzare, per raggiungere il resto del mondo… è stato più difficile del previsto”.

Seema Verma, attualmente alla guida dei Centers for Medicare and Medicaid services (Cms), che oggi supervisiona l’iniziativa Ehr, trema per i mld di dollari spesi costruendo un software che non condivide i dati – un ponte elettronico verso il nulla. “I provider hanno sviluppato i loro sistemi che potrebbero funzionare o meno”, racconta a Khn e Fortune in un’intervista di febbraio, “ma non abbiamo pensato a come mettere tutti questi sistemi in connessione tra loro. Quello era il vero tassello mancante”.

Forse nessuno degli ex sostenitori dell’iniziativa è frustrato quanto l’ex vicepresidente Joe Biden. Nel 2017, durante un incontro con i leader del sistema sanitario, a Washington, ha inveito contro l’esasperante impresa di ‘trasportare’ le cartelle cliniche di suo figlio Beau, da un ospedale all’altro. “Sono rimasto sbalordito quando mio figlio per un anno ha lottato contro il glioblastoma di grado IV”, ha detto Biden. “Non sono riuscito ad avere i suoi documenti. E sono il Vice presidente degli Stati Uniti… è stato un incubo. Era ridicolo, assolutamente ridicolo, trovarsi in quella circostanza”.

 

UN PONTE VERSO IL NULLA

COME RACCONTEREBBE BIDEN, il progetto originale era intelligente. L’ondata della digitalizzazione aveva travolto praticamente tutti i settori industriali, portando con sé un cambiamento radicale che, nella maggior parte dei casi, si accompagnava a una maggiore efficienza. E forse nessuna di queste industrie si meritava di vivere questa ‘liberazione digitale’ tanto quanto il settore medico, dove centinaia di dati potenzialmente salvavita erano stipati in cripte di carta – pile su pile di cartelle chiuse negli uffici dei medici di tutto il paese.

Riposti in armadietti di acciaio, gli archivi erano pressoché inutili. Nessuno – in particolare all’alba dell’Era dell’iPhone – pensava che fosse una buona idea lasciarli lì. Il problema, dicono i critici, stava nel modo in cui i politici erano in procinto di trasformarli.

“Ogni singola idea era di buon senso, un potenziale beneficio per la società, ma tutte queste iniziative messe insieme in un colpo solo hanno letteralmente travolto i medici rendendo la pratica clinica fondamentalmente impossibile”, dice John Halamka, chief information officer presso il Beth Israel deaconess medical center, ed ex membro dei comitati di normazione degli Ehr, sia sotto George W. Bush che sotto Barack Obama. “In America, abbiamo 11 minuti per vedere un paziente e stabilire un contatto visivo, essere empatici, inserire circa un centinaio di dati, e non commettere mai una negligenza. È impossibile!”.

Khn e Fortune hanno esaminato più di due dozzine di casi di negligenza medica in cui un malfunzionamento degli Ehr avrebbe contribuito alle lesioni, o in cui i fascicoli sanitari elettronici sarebbero stati impropriamente alterati, o il cui accesso sarebbe stato negato ai pazienti, per nascondere cure inadeguate. In questi casi, le cause in genere si risolvono con un patteggiamento prima del processo, con impegni di riservatezza, quindi spesso non è stato possibile determinare il merito delle accuse. Nei contratti stipulati, spesso i venditori di Ehr inseriscono disposizioni – note come ‘hold harmless clauses’ – che li proteggono da ogni responsabilità nel caso in cui gli ospedali vengano citati in giudizio per errori medici – anche se l’errore riscontrato è riconducibile a un problema legato alla tecnologia.

Ma le cause legali venute alla luce da questa nebulosa situazione, come quella intentata da Fabian Ronisky, sono piuttosto eloquenti.

Ronisky, secondo quanto riportato nella sua denuncia, è arrivato in ambulanza al Providence Saint John’s health center di Santa Monica nel pomeriggio del 2 marzo 2015. Era da due giorni che il giovane avvocato soffriva di forti mal di testa, mentre a causa di una febbre disorientante non riusciva neanche a dire con chiarezza il suo indirizzo all’operatore del 911.

Sospettando una meningite, un medico dell’ospedale eseguì una puntura lombare, e il giorno successivo uno specialista di malattie infettive immise nel fascicolo sanitario elettronico dell’ospedale l’ordine affinché venisse eseguito un test di laboratorio cruciale, per escludere la presenza di virus, inclusi l’herpes simplex, nel liquido spinale.

Il sistema multimilionario, prodotto dalla Epic systems corp., e considerato da alcuni come la Cadillac dei software sanitari, era stato installato presso l’ospedale circa quattro mesi prima. Benché l’ordine apparisse sullo schermo di Epic, non era stato inviato al laboratorio. Venne fuori che il software Epic non si ‘interfacciava’ completamente con il software del laboratorio, secondo quanto riporta la denuncia che Ronisky ha depositato nel febbraio 2017 alla Corte suprema della contea di Los Angeles. I suoi risultati e la diagnosi arrivarono con svariati giorni di ritardo, sostiene – durante i quali subì danni cerebrali irreversibili da encefalite erpetica. Secondo la denuncia, l’incidente avrebbe comportato un notevole ritardo nella somministrazione da parte dei medici a Ronisky di un farmaco chiamato aciclovir, che avrebbe potuto minimizzare il danno cerebrale.

Epic ha negato qualsiasi responsabilità o difetti del suo software; la società ha detto che il medico non era riuscito a premere il pulsante giusto per inviare l’ordine e che l’ospedale, non Epic, aveva configurato l’interfaccia con il laboratorio. Epic, tra i più grandi sviluppatori del paese di fascicoli sanitari elettronici e fornitore numero uno della maggior parte dei centri medici più elitari degli Stati Uniti, ha silenziosamente pagato 1 mln di dollari per risolvere la causa nel luglio 2018, secondo i registri giudiziari. Ronisky, 34 anni, che sta combattendo per ricostruirsi una vita, non ha voluto rilasciare dichiarazioni in merito.

I dati dimostrano che incidenti come quello di Ronisky – o di Annette Monachelli – sono sorprendentemente comuni. E il tira e molla su dove giaccia la colpa in questi casi è in realtà parte del problema: i sistemi sono spesso così complicati (e il training per impararne il corretto utilizzo raramente è sufficiente) che gli errori spesso ricadono in una zona periferica di responsabilità. Può essere difficile stabilire dove abbia inizio l’errore umano e dove finisca la carenza tecnologica.

L’ambizione celata dietro l’implementazione dei fascicoli sanitari elettronici era quella di vedere tutti i dati dei pazienti raccolti in un unico posto, ma spesso è proprio questo il problema. Informazioni critiche o urgenti vengono regolarmente sepolte in un labirinto di dati, dove nella fretta del processo decisionale medico – tra un menù a tendina e l’altro – possono essere persi.

Alla tredicenne Brooke Dilliplaine, che era gravemente allergica ai latticini, è stato somministrato un probiotico contenente latte. Due dosi che l’hanno mandata in difficoltà respiratoria, provocando un collasso polmonare, secondo quanto riportato nella denuncia intentata dalla madre. Rory Staunton, 12 anni, si è graffiata il braccio in palestra e poi è morta di sepsi dopo che i medici del pronto soccorso hanno dimesso la ragazza sulla base dei risultati del laboratorio presenti sull’Ehr, che erano incompleti. E poi c’è il caso di Thomas Eric Duncan. Nel 2014 l’uomo di 42 anni è stato mandato a casa da un ospedale di Dallas nonostante fosse infetto da virus Ebola. Anche se un’infermiera aveva scritto nell’Ehr che il giovane era recentemente tornato dalla Liberia, dove era in atto un’epidemia di Ebola, il medico non ha mai visto quell’informazione. Duncan morì una settimana dopo.

Molti di questi casi finiscono in tribunale. In genere, medici e infermieri incolpano la tecnologia difettosa dei sistemi di archiviazione digitale. I venditori di Ehr incolpano l’errore umano. E nel frattempo, i casi aumentano.

Quantros, una società privata specializzata nell’analisi dei dati in ambito sanitario, ha detto di aver registrato, dal 2007 al 2018, 18mila eventi correlati alla sicurezza, legati ai fascicoli sanitari digitali, il 3% dei quali hanno arrecato un danno ai pazienti, tra cui sette morti – numeri che un dirigente di Quantros ha definito “drasticamente sottostimati”.

Uno studio del 2016 di The Leapfrog Group, organizzazione con sede a Washington DC che vigila sulla sicurezza dei pazienti, ha scoperto che la funzione per ordinare i farmaci presente sull’Ehr degli ospedali – un requisito fondamentale che i sistemi devono avere per ottenere la certificazione del governo, ma spesso configurato in modo diverso in ogni sistema – nel 39% dei casi ha fallito nel riconoscere ordini di medicinali potenzialmente dannosi, nei test di simulazione. E nel 13% dei casi, l’errore poteva essere fatale.

Negli ultimi anni, il Pew charitable trust ha portato avanti un progetto di sicurezza sull’Ehr, prendendo di mira i problemi legati alla facilità di utilizzo dei sistemi e del patient matching – il processo di correlare il fascicolo sanitario corretto al paziente giusto – un compito apparentemente basilare in cui i sistemi, anche se realizzati dallo stesso venditore di Ehr, spesso falliscono. Presso alcuni enti, secondo Pew, tale corrispondenza era esatta solo nel 50% dei casi. Anche i pazienti hanno scoperto degli errori: un sondaggio di gennaio della Kaiser family foundation ha rivelato che un paziente su cinque ha rilevato la presenza almeno di un errore nel proprio fascicolo sanitario elettronico.

La Joint Commission, che certifica gli ospedali, ha puntato l’attenzione su una serie di problematiche, tra cui quella dei falsi allarmi – che costituiscono tra l’85% e il 99% delle segnalazioni che arrivano dagli Ehr e dai dispositivi medici. Uno studio condotto dai ricercatori della Oregon health & science university ha stimato che il clinico che lavora in un’unità di terapia intensiva può essere esposto, in media, a 7mila allarmi passivi al giorno. Un eccesso di segnalazioni di questa portata può essere pericoloso. Tra il 2014 e il 2018, la commissione ha conteggiato 170 segnalazioni, per lo più volontarie, di danni ai pazienti legati alla malagestione degli allarmi e all’affaticamento da avviso (alert fatigue, ndt) – il fenomeno in cui gli operatori sanitari, sovraccaricati da inutili avvertimenti, ignorano anche quelli che, di tanto in tanto, sono significativi. Di questi 170 incidenti, 101 hanno causato la morte dei pazienti.

L’Autorità per la sicurezza dei pazienti della Pennsylvania, un’agenzia statale indipendente che raccoglie informazioni su eventi avversi e incidenti, ha contato 775 “problemi sui test da laboratorio” legati ai sistemi informatici, tra gennaio 2016 e dicembre 2017.

Sicuramente, nell’Era della carta non mancavano innumerevoli errori medici, quando, ad esempio, il personale ospedaliero fraintendeva gli scarabocchi del medico o leggeva il grafico sbagliato fino anche a causare incidenti mortali. Ma il fatto che molti medici, oggi, preferiscano ancora le soluzioni manuali rispetto a quelle digitali, la dice lunga. Aaron Zachary Hettinger, un medico di medicina d’emergenza del Medstar health, a Washington DC, ha raccontato che quando lui e i suoi colleghi clinici devono condividere informazioni critiche sui pazienti, le scrivono su una lavagna o su un tovagliolo di carta e lo lasciano sulle tastiere del computer dei colleghi.

Anche se la FDA non ha imposto l’obbligo di segnalare tutti gli eventi relativi alla sicurezza rilevati tramite Ehr – come invece avviene per i dispositivi medici regolamentati – una quantità preoccupante di post ha letteralmente invaso la bacheca degli eventi avversi del database FDA MAUDE, che adesso è diventato un bollettino di tutte le avvertenze sui vari sistemi in utilizzo.

A complicare ulteriormente il quadro c’è il fatto che gli operatori sanitari adattano quasi sempre i loro sistemi Ehr alle loro specifiche esigenze. Questa personalizzazione rende ogni sistema unico e spesso difficile da confrontare con gli altri – e, in definitiva, rende difficile individuare la fonte degli errori.

Martin Makary, oncologo presso la Johns Hopkins e coautore di uno studio del 2016 molto citato, che ha individuato gli errori medici come la terza causa di morte in America, riconosce che gli Ehr hanno migliorato alcuni aspetti relativi alla sicurezza – tra cui i recenti cambiamenti che hanno messo un freno ‘elettronico’ all’epidemia di oppioidi. Ma, dice, “abbiamo semplicemente scambiato una serie di problemi con altri. Lottavamo con pezzi di carta scritti a mano e informazioni mancanti. Ora abbiamo difficoltà per la mancanza di riferimenti visivi che confermino che stiamo scrivendo e ordinando terapie per il paziente giusto”.

Joseph Schneider, pediatra del Centro medico di UT Southwestern, paragona la transizione che abbiamo fatto, dai registri cartacei a quelli elettronici, al passaggio dai cavalli alle automobili. Ma in questa analogia, aggiunge, “le auto sono quelle del 1960. Senza cinture di sicurezza o airbag”.

Schneider ricorda un episodio in cui i suoi colleghi non riuscivano a capacitarsi di come alcune parti dei loro appunti scomparissero inspiegabilmente. Hanno capito il problema alcune settimane più avanti, dopo uno studio intenso: i medici inserivano le parentesi graffe – { } – l’utilizzo delle quali, all’insaputa persino dei rappresentanti che vendevano i software, cancellava il testo inserito al loro interno. Lo sviluppatore degli Ehr inizialmente incolpava i medici, dice Schneider.

Un’ampia coalizione di attori, dalla National nurses united alla Texas medical association, fino ad alcune figure leader all’interno della FDA, chiede da tempo che venga eseguita una supervisione delle problematiche relative alla sicurezza degli archivi elettronici. Tra i più schietti c’è Ratwani, che dirige il Medstar health’s national center on human factors in healthcare, un istituto di 30 persone con focus sull’ottimizzazione della sicurezza e della fruibilità della tecnologia medica. Ratwani ha trascorso le prime fasi della sua carriera nell’industria della difesa, studiando cose come l’intuitività delle informazioni visualizzate. Quando arrivò a Medstar nel 2012 rimase sconvolto dalle “tipologie di interfacce” digitali “utilizzate” nella sanità, racconta.

In una ricerca pubblicata lo scorso anno sulla rivista Health Affairs, Ratwani e colleghi hanno studiato gli errori terapeutici per utilizzo improprio dei farmaci in tre ospedali pediatrici dal 2012 al 2017. Gli scienziati hanno scoperto che, di questa categoria di errori, ben 3.243 erano riconducibili in parte a “problemi nell’utilizzo” degli Ehr, e di questi uno su cinque avrebbe potuto causare danni ai pazienti. “Il design scadente dell’interfaccia e la scadente implementazione dei sistemi possono aver causato gravi anomalie, e aver portato addirittura alla morte di alcuni pazienti, e questo è inaccettabile, ma anche un problema completamente risolvibile – dice – Non dovrebbero esserci pazienti la cui vita viene messa in pericolo in questo modo”.

Utilizzando la tecnologia eye-tracking, Ratwani ha testato i due principali sistemi Ehr del paese, e ha dimostrato, su video, quanto sia facile commettere errori quando si svolgono anche i compiti più semplici. Ad esempio, quando i medici del pronto soccorso cercano Tylenol sul pc per ordinarlo, si apre un menù a tendina che elenca 86 opzioni, molte delle quali irrilevanti per il paziente specificato. Nell’esperimento i medici dovevano leggere accuratamente l’elenco, in modo da non selezionare il dosaggio o la forma farmaceutica errati – ma nonostante questo molti hanno comunque sbagliato: circa una volta su 1.000 i medici ordinano accidentalmente le supposte (in cui codice è PR) invece delle compresse (OR), secondo quanto stimato. Questo non è un errore che danneggerà un paziente, ma altri mix di farmaci possono farlo e lo fanno.

All’inizio di quest’anno, lo human-factors center di Medstar ha lanciato un sito web e una campagna di sensibilizzazione con l’American medical association per attirare l’attenzione su questi errori dilaganti – usando le lettere ‘Ehr’ come acronimo di ‘Errors happen regularly’ (gli errori capitano regolarmente, ndt) – e hanno presentato una petizione per spingere il Congresso ad agire. Ratwani sta facendo pressione affinché venga creata una banca dati centrale per monitorare errori ed eventi avversi.

Altri hanno scelto i social media come megafono per le proprie lamentele. Mark Friedberg, un ricercatore di politica sanitaria della RAND Corporation, nonché medico di base praticante, promuove su Twitter l’hashtag #EHRbuglist per incoraggiare i colleghi che lavorano nel mondo della salute a mettere in luce i punti dolenti del sistema. E il mese scorso, è spuntato su Twitter un feroce account parodia di Epic, che ha guadagnato 8mila follower in cinque giorni. Il tweet di inaugurazione, scritto come se parlasse un leader supremo di Epic, recitava: “una volta ho visto un dottore avere un contatto visivo con un paziente. Questo orrore deve finire”.

I sistemi Ehr sono considerati responsabili di ‘peccati di commissione’, ma spesso sono i peccati di omissione che fanno inciampare ancora di più gli utenti.

Consideriamo il caso di Lynne Chauvin, che lavorava come aiuto medico all’Ochsner health system in Louisiana. In una causa del 2015 ancora pendente, Chauvin sostiene che il software di Epic non abbia segnalato un’avvertenza cruciale relativa a un farmaco; Chauvin soffriva di una condizione che aumentava il rischio di coaguli del sangue, e sebbene la sua anamnesi fosse documentata nei suoi registri, dopo un intervento al cuore in ospedale è stata trattata con farmaci che limitavano il flusso sanguigno. Ha sviluppato cancrena, che ha portato all’amputazione delle gambe e di un avambraccio. L’Ochsner health system ha detto che, anche se non può commentare sul contenzioso in corso, “rimane impegnato per la sicurezza del paziente che crediamo sia fortemente ottimizzata grazie all’uso della tecnologia offerta dai fascicoli sanitari elettronici”. Epic ha rifiutato di commentare.

Facendo eco alle lamentele di molti medici, l’accusa sostiene che il software Epic “sia estremamente complicato da vedere e capire” a causa della “significativa ripetizione dei dati”. Chauvin afferma che le sue spese mediche hanno superato il mln di dollari e che lei è permanentemente disabile. Suo marito, Richard, è diventato il suo badante primario e ha dovuto ritirarsi dal lavoro anticipatamente per prendersi cura della moglie, secondo i documenti relativi alla causa. Entrambe le parti hanno rifiutato di commentare.

UN’EPIDEMIA DI BURNOUT

NUMERI RIPETUTI fino allo stordimento, caselline da barrare, e la ricerca senza fine di menù a tendina, fanno tutti parte di quello che Ratwani chiama il “carico cognitivo” che sta consumando i medici di oggi e spinge sempre più professionisti al prepensionamento.

Negli ultimi anni, il numero di medici che è andato incontro a fenomeni da burnout (esaurimento dovuto allo stress lavorativo, ndt) è salito alle stelle. Un’indagine del 2018 di Merritt Hawkins ha rilevato uno sconcertante 78% di medici che avevano avuto sintomi da burnout, e nel mese di gennaio la Harvard school of public health e altre istituzioni hanno definito il fenomeno una “crisi di salute pubblica”.

Uno dei coautori dello studio di Harvard, Ashish Jha, ha attribuito gran parte della colpa “all’aumento dei fascicoli sanitari elettronici mal progettati… a causa dei quali i medici devono spendere sempre più tempo per espletare compiti che non vanno direttamente a beneficio dei pazienti”.

Pochi negherebbero che la rapida digitalizzazione del sistema sanitario americano sia stata rivoluzionaria. Gli Ehr sono ormai quasi universali, il volto e la percezione della medicina sono cambiati. Il medico ormai scrive sulla tastiera e ha un maggiore contatto visivo con lo schermo del computer, forse, che con il paziente. Ai pazienti non piace questa dinamica; per i medici, i cui giorni cominciano e finiscono con incontri sempre più fugaci, l’effetto rischia di essere decisamente mortale.

“Sei seduto di fronte a un paziente, e ci sono così tante cose che devi fare, e hai dai sette agli undici minuti per farle. Come fai ad ascoltarlo veramente?”, chiede John-Henry Pfifferling, un medico antropologo che consiglia i medici che soffrono di burnout. “Se decidi di diventare un medico perché ti piace l’interazione, e poi diventi solo uno strumento, è disumanizzante”, dice Pfifferling, che ha visto molti medici lasciare la medicina nel passaggio verso la digitalizzazione del sistema. “È un disastro”, afferma.

Oltre a complicare il rapporto medico-paziente, gli Ehr hanno in qualche modo reso la pratica della medicina più difficile, dice Hal Baker, medico e chief information officer di WellSpan, un sistema ospedaliero della Pennsylvania. “Da un punto di vista cognitivo, i medici devono passare dal concentrarsi sugli schermi a concentrarsi sul paziente”, dice. E sottolinea come sia insolito – e potenzialmente pericoloso – questo fenomeno: “messaggiare mentre si guida non è una buona idea. E devo ancora vedere l’amministratore delegato che, durante una riunione del consiglio, conta i minuti, e certamente non ho mai sentito di un giudice che, durante il processo, è anche lo stenografo del tribunale. Ma in medicina… abbiamo chiesto al medico di passare dallo scrivere a penna a inserire dati nei fascicoli digitali, con un’interfaccia piuttosto complicata”.

Nonostante i dottori trascorrano le loro visite alla tastiera, raccontanto di dover spendere molte altre ore – a pranzo, a tarda notte – a completare le note e tenere il passo con la documentazione elettronica (invio dei referti, corrispondenza con i pazienti, risolvere problemi di codifica). Esatto. Gli Ehr non hanno abbattuto la mole di lavoro relativa alla documentazione, ma l’hanno solo spostata online. Inoltre, il 44% delle circa sei ore che un medico spende sugli Ehr ogni giorno è incentrato su lavoro d’ufficio e amministrativo, come fatturazione e codifica, secondo uno studio del 2017 degli Annals of family medicine.

Per tutto il tempo extra speso online, il medico medio – che entra nel sistema Ehr per circa 1,4 ore al giorno dopo il lavoro – non guadagna un centesimo.

Molti medici riconoscono il valore della tecnologia: il 60% dei partecipanti al National physician poll 2018 della scuola di medicina dell’università di Stanford sostiene che il fascicolo sanitario elettronico abbia portato a una migliore cura del paziente. Allo stesso tempo, circa la stessa percentuale (59%) ha detto che gli Ehr necessitano di una “revisione completa” e che in seguito all’implementazione dei sistemi è diminuita la loro soddisfazione professionale (54%), così come la loro efficacia clinica (49%).

Negli studi preliminari, Ratwani ha scoperto che i medici hanno una reazione fisiologica comune all’uso di un Ehr: stress. Quando lui e il suo team seguono i medici sul lavoro, usano una serie di sensori per monitorare la frequenza cardiaca dei medici e altri segni vitali nel corso del loro turno. La frequenza cardiaca dei medici aumenta – fino a 160 battiti al minuto – in due tipi di occasioni: quando interagiscono con i pazienti e quando usano gli Ehr.

“È tutto così macchinoso”, afferma Karla Dick, un medico di base di Arlington, nel Texas. “È lento rispetto a un grafico su carta. Devi fare clic e ingrandire e rimpicciolire le immagini per cercare qualcosa”. Con tutti questi zoom, spiega che è facile finire nell’archivio sbagliato. “Non posso dirti quante volte ho dovuto cancellare un ordine perché ero nella cartella sbagliata”.

Tra le frustrazioni quotidiane di una dottoressa di pronto soccorso del Rhode Island c’è l’ordine dell’ibuprofene, un compito apparentemente semplice che ora richiede molti clic di mouse. Ogni volta che la dottoressa prescrive l’antidolorifico a una paziente, che sia una paziente di 9 o 68 anni, la prescrizione è bloccata da un allarme pop-up che avverte che può essere pericoloso somministrare il farmaco a una donna incinta. Il medico, la cui istituzione non permette di commentare i sistemi, deve quindi annullare l’avvertimento con ancora più clic. “È solo la punta dell’iceberg”, dice.

Ciò che preoccupa di più la dottoressa è la facilità con cui medici solerti e ben intenzionati possono fare gravi errori sul lavoro. Racconta che il medico di pronto soccorso medio compie circa 4.000 clic con il mouse nel corso di un turno, e che sono scarse le probabilità di fare qualsiasi cosa per 4.000 volte senza neanche un errore. “Le interfacce sono così confuse e goffe” aggiunge, “invitano all’errore… non è un problema di negligenza. Questo è un problema di strumentazione carente”.

Molti degli sviluppatori di Ehr riconoscono che il burnout dei medici è reale e dicono di star facendo il possibile per ridurre la pressione e migliorare l’esperienza dell’utente. Sam Butler, specialista dei polmoni che ha cominciato a lavorare da Epic nel 2001, guida questi sforzi presso l’azienda con base nel Wisconsin.

Quando i medici ricevono più di 100 messaggi alla settimana nel loro ‘in-basket’ (simile a una casella di posta elettronica), cresce il rischio di burnout. Il team di Butler ha anche analizzato le note elettroniche dei medici – sono due volte più lunghe di nove anni fa, e da tre a quattro volte più lunghe delle note nel resto del mondo. Per lui Epic usa tali intuizioni per migliorare l’esperienza del cliente. Ma trovare soluzioni è difficile perché i medici “hanno punti di vista diversi su tutto”, dice. Khn e Fortune hanno fatto diverse richieste per intervistare il Ceo di Epic, Judith Faulkner, ma la società ha rifiutato di trovare una disponibilità. Tuttavia, in un’intervista commerciale nel mese di febbraio Faulkner ha detto che gli Ehr sono state ingiustamente ritenute responsabili del burnout dei medici e ha citato uno studio che suggerisce che ci sia una ridotta correlazione tra il burnout e la soddisfazione espressa dai medici per gli Ehr. I dirigenti di altri fornitori hanno detto di essere consapevoli dei problemi di fruibilità dei sistemi e stanno lavorando per affrontarli.

“Non è che siamo un gruppo di luddisti che non sanno come usare la tecnologia”, dice la dottoressa del pronto soccorso del Rhode Island. “Ho un iPhone e un computer e lavorano nel modo in cui dovrebbero lavorare, e poi ci vengono dati questi strumenti incredibilmente ingombranti e inclini agli errori. È un ordine del governo. Non c’è stato davvero il tempo di fare le cose per bene; tutti hanno dovuto convertirsi al nuovo sistema, scegliere qualcosa che funzionasse e spendere decine di mln di dollari per un sistema che ci sta lentamente uccidendo”.

36 MLD DI DOLLARI E SI CAMBIA

LO SFORZO PER DIGITIZZARE i dati sanitari degli Stati Uniti ha ricevuto la sua più grande spinta in un momento molto difficile: la crisi finanziaria del 2008. All’inizio di dicembre di quell’anno, Obama, appena quattro settimane dopo la sua elezione, lanciò un ambizioso piano di ripresa economica. “Faremo in modo che ogni studio medico e ospedale di questo paese utilizzi tecnologie all’avanguardia e fascicoli sanitari elettronici in modo da ridurre la burocrazia, prevenire gli errori medici e aiutare a risparmiare miliardi di dollari ogni anno”, disse durante un discorso alla radio.

L’idea era già di moda a Washington. L’ex portavoce della Casa Bianca Newt Gingrich amava dire che era più facile tracciare un pacco FedEx che le proprie cartelle cliniche. Anche il predecessore di Obama, il presidente George W. Bush, aveva perseguito l’idea di collegare tutto il sistema sanitario del paese. Non aveva investito molti soldi, ma Bush ha fondato un’agenzia per fare il lavoro: l’ufficio del coordinatore nazionale (Onc).

Nel mezzo della recessione, il concetto di Ehr sembrava un progetto pronto per essere implementato, che solo la lobby della carta poteva odiare. Nel febbraio 2009 i legislatori approvarono l’Hitech Act, che ha scorporato una grossa fetta del massiccio pacchetto di incentivi per darlo alla health information technology. L’obiettivo non era solo quello di convincere gli ospedali e i medici a comprare gli Ehr, ma piuttosto portarli a usare questi strumenti con lo scopo di migliorare le terapie. Così i legislatori hanno adottato un approccio bastone e carota: i medici avrebbero potuto beneficiare di sovvenzioni federali (una somma fino a quasi 64mila dollari in un periodo durato anni) solo se fossero stati “utenti significativi” di un sistema certificato dal governo. I venditori, dal canto loro, dovevano sviluppare sistemi in grado di soddisfare le esigenze del governo.

Non avevano molto tempo, però. La necessità di stimolare l’economia, che significava trovare degli operatori che adottassero rapidamente gli Ehr, “costituiva un enorme dilemma”, dice Farzad Mostashari, che aderì all’Onc come vicedirettore nel 2009 e ne divenne il leader nel 2011: l’ideale – creare un sistema di registrazione utile e interoperabile a livello nazionale – era “assolutamente impossibile da raggiungere in un breve lasso di tempo”.

Questo non ha impedito ai pianificatori federali di perseguire le loro grandi ambizioni. Tutti avevano grandi idee per gli Ehr. Per gli impianti medici, la FDA voleva che i sistemi tenessero traccia degli identificatori unici associati ad ogni dispositivo, i CDC volevano che contribuissero a monitorare le patologie, i CMS volevano che includessero metriche di qualità, e così via. “Avevamo avuto tutte le idee giuste che erano state discusse e ridiscusse dalla commissione – afferma Mostashari – il problema è che erano tantissime”.

Tuttavia, non tutti concordano sul fatto che fossero le idee giuste. In poco tempo, “uso significativo” è diventato per molti il soprannome dispregiativo di un programma di governo pesante, che prevede che i medici debbano spuntare la casella che indica lo stato di fumatore o non fumatore di un paziente tutte le volte che si sottopone a una visita.

La comunità di venditori di Ehr, in quel momento un’industria frammentaria da 2 mld di dollari, si lamentò della sequela di requisiti necessaria, ma era decisa così tanto ad avere una fetta dell’iniezione da 36 mld di dollari del governo, da mettersi comunque in linea con le richieste. Come ha spiegato Rusty Frantz, Ceo del venditore di Ehr NextGen healthcare, “la situazione dell’industria era più o meno questa: ‘c’è un cospicuo assegno che sventola davanti ai miei occhi: se per ottenerlo devo barrare una serie di caselline, lo faccio’”.

Halamka, che era un sostenitore entusiasta dell’iniziativa in entrambe le amministrazioni Bush e Obama, incolpa sia la pressione per un lancio il più veloce possibile, sia l’eccessivo elenco di requisiti a cui dovevano rispondere i fascicoli elettronici. “Un passaggio in soli 18 mesi da una legge ad un prodotto altamente fruibile dai medici è troppo veloce – afferma – È come chiedere a nove donne di avere un bambino in un mese”.

Molti di coloro che hanno lavorato al progetto ammettono che il lancio non era stato facile come avevano previsto, ma sostengono che non fosse quello il punto. Aneesh Chopra, che nel 2009 Obama ha nominato primo chief technology officer della nazione, ha chiamato la spesa un “acconto” verso la realizzazione di una visione che avrebbe radicalmente cambiato la medicina negli Usa – la creazione di un’infrastruttura digitale per sostenere nuovi metodi di pagamento per i servizi sanitari, sulla base della qualità e dei risultati.

Bob Kocher, medico e investitore di spicco della società di venture capital Venrock, che ha prestato servizio nell’amministrazione Obama dal 2009 al 2011 come consulente per la politica sanitaria ed economica, non solo difende l’implementazione del sistema, ma è completamente contrario all’idea che l’iniziativa del governo sia stata un fallimento. “Gli Ehr sono state assolutamente all’altezza delle aspettative”, dice, sottolineando come costituiscano una base tecnologica indispensabile a sostenere l’innovazione su tutto, dai pazienti che accedono ai loro fascicoli sanitari su uno smartphone alle diagnosi mediche guidate dall’AI. Per altri il valore aggiunto dei sistemi è quello di aggregare i dati medici in modi che non sono mai stati possibili su carta – aiutando, ad esempio, a capire come l’acqua contaminata stava avvelenando i bambini a Flint, nel Michigan.

Ma è molto diverso il messaggio sugli Ehr che è arrivato alle orecchie di Rusty Frantz – un messaggio che proveniva dai suoi stessi clienti.

L’ingegnere formatosi a Stanford, che nel 2015 è diventato Ceo di NextGen, un peso massimo degli Ehr da 500 mln di dollari all’anno nel mercato del lavoro d’ufficio dei medici, ha imparato nel peggiore dei modi come il suo prodotto venisse percepito.

Mentre si trovava sul podio al suo primo incontro con migliaia di clienti di NextGen al Mandalay Bay Resort di Las Vegas, appena quattro mesi dopo aver ottenuto il lavoro, racconta a Khn e Fortune che “la gente si metteva in coda ai microfoni per urlarci contro che stavamo consegnando software instabili, che ‘i dirigenti erano sempre irraggiungibili’, che ‘la service experience era stata terribile’”.

Frantz ha frequentato il mondo dell’industria sanitaria per gran parte della sua carriera, e mentre lavorava per un’azienda di dispositivi medici, ha visto la miniera d’oro di incentivi per gli Ehr con un mix di invidia e stupore. “L’industria si stava muovendo in una direzione naturalmente darwiniana, e poi è arrivato lo stimolo”, dice Frantz, che incolpa il governo di aver avuto un approccio maldestro alla regolamentazione. “Il software è stato sbattuto dentro, e non è stato implementato in modo tale da poter costituire un sostegno alle cure – dice – è stato installato in modo da supportare lo stimolo. Anche in questa azienda siamo stati complici”.

Ma anche questa potrebbe sembrare una descrizione eufemistica. Khn e Fortune hanno trovato una scia di azioni legali contro la società, che vanno da White Sulphur Springs nel Montana, a Neillsville nel Wisconsin. Il Mary Rutan Hospital di Bellefontaine nell’Ohio ha fatto causa a NextGen (precedentemente chiamato Quality Systems) presso il tribunale federale nel 2013, sostenendo di aver avuto centinaia di problemi con il software “materialmente difettoso” che la società aveva installato nel 2011.

Un consulente assunto dall’ospedale per valutare il sistema NextGen, il cui rapporto di 60 pagine è stato presentato al tribunale, ha identificato “molti difetti funzionali” che – secondo il consulente – avrebbero reso il software “inadeguato per lo scopo previsto”. Secondo quanto riportato dal consulente, alcune informazioni sui pazienti non accuratamente registrate avrebbero potuto “creare gravi rischi per la cura del paziente, che sarebbero potuti sfociare, come minimo, in un disagio, e nella peggiore delle ipotesi in negligenze, o addirittura portare alla morte”.

Tra i bug segnalati dal Mary Rutan ci sono stati incidenti in cui il software apparentemente modificava il sesso dei pazienti o perdeva le osservazioni appuntate dal medico dopo un esame, spiega il consulente, il quale ha poi rilevato che in certi casi l’azienda ha impiegato anche mesi per risolvere questi problemi. Ad esempio, ci sono voluti 10 mesi per risolvere una richiesta IT che faceva riferimento alle note di un medico, che inspiegabilmente si cancellavano da sole. Il consulente ha anche notato che problemi simili sembrerebbero essersi verificati ad almeno una dozzina di altri ospedali che avevano installato il software NextGen.

L’ospedale dell’Ohio, che ha pagato più di 1,5 mln di dollari per il suo sistema Ehr, ha accusato l’azienda di aver violato il contratto. NextGen spiega di aver contestato le affermazioni fatte dall’ospedale nella causa e che la questione è stata risolta nel 2015 “senza nessuna constatazione dei fatti legati alle accuse da parte del tribunale”. L’ospedale ha rifiutato di commentare.

Ai tempi, ed è stato così da allora, il governo ha certificato il software NextGen, perché soddisfaceva i requisiti del programma di incentivi. Nel 2016, NextGen aveva più di 19mila clienti che avevano ricevuto sovvenzioni federali.

NextGen è stato citato in giudizio dal Dipartimento di Giustizia nel dicembre 2017, mesi dopo essere stata oggetto di un’indagine federale condotta dal Distretto del Vermont.

Frantz ha detto a Khn e Fortune che NextGen sta collaborando con l’indagine. “Questa società non è stata disonesta, ma non era efficiente quattro anni fa”, dice. Frantz sottolinea anche che NextGen si è “rapidamente evoluta” durante il suo mandato, guadagnando cinque premi del settore dal 2017, e che i clienti hanno “risposto molto positivamente”.

Glen Tullman, che fino al 2012 ha guidato Allscripts, un altro importante venditore di Ehr che ha largamente beneficiato degli incentivi e che è stato citato in giudizio da numerosi clienti insoddisfatti, ammette che la corsa al mercato ha avuto la priorità su tutto il resto.

“È stata una grande distrazione. Una conseguenza involontaria degli incentivi – spiega Tullman – Tutte le aziende stavano dicendo, ‘questa è un’opportunità una tantum di espandere la nostra quota, focalizzate tutto lì, e poi torneremo indietro e risolveremo i problemi’”. Come mostrano gli archivi della Securities and Exchange Commission, il Dipartimento di Giustizia ha aperto un’indagine civile sulla società. Allscripts ha scritto in un’email che non può rilasciare commenti su un’indagine in corso, ma che le inchieste civili del Dipartimento di Giustizia fanno riferimento a business acquisiti da Allscripts dopo l’apertura delle indagini.

Gran parte del caos, a livello di marketing, si è verificato perché i funzionari federali hanno imposto pochi controlli sulle aziende che stavano lottando per incassare gli incentivi. Era una corsa all’oro – e qualsiasi sistema sembrava potesse essere commercializzato come “approvato a livello federale”. I medici potevano acquistare pacchetti software a buon mercato da Costco e al Sam’s Club di Walmart – dove eClinicalWorks vendeva un sistema ‘chiavi in mano’ per 11.925 dollari – e incassare gli incentivi governativi per l’adozione del sistema.

I venditori più performanti nel 2009 attraversavano il paese in un ‘tour di incentivi’ come veri e propri gruppi rock, facendo tappa in qualcosa come 30 città, dove dopo ‘un’analisi personalizzata’ per ciascun medico, raccontavano ai professionisti della salute quanti soldi avrebbero potuto guadagnare grazie agli incentivi governativi. Seguendo lo stesso schema utilizzato dalle aziende farmaceutiche, i venditori degli Ehr corteggiavano i medici con cene di alto livello in hotel di lusso. Un’intraprendente ditta di software ha pubblicizzato un accordo di ‘rottamazione’ che pagava 3mila dollari ai medici disposti a cambiare il sistema che utilizzavano per uno nuovo. Athenahealth organizzava cene ‘su invito’ presso alberghi di lusso per spiegare ai medici, tra le altre cose, come muoversi per catturare più incentivi possibili. Allscripts offriva un piano di acquisto senza anticipo per aiutare i medici “a massimizzare il ritorno sul vostro investimento negli Ehr”. Un portavoce di Athenahealth dice che “le cene erano di natura educativa e mirata ad aiutare i medici a barcamenarsi nel programma governativo”. Allscripts non ha risposto direttamente alle domande circa le sue pratiche di marketing, ma afferma “è orgogliosa del software e dei servizi” che fornisce “a centinaia di migliaia di caregivers in tutto il mondo”.

Gli Ehr avrebbero dovuto ridurre i costi sanitari, almeno in parte, prevenendo la ripetizione di test già eseguiti. Ma quando il governo federale ha aperto il rubinetto degli incentivi, molti hanno sollevato dubbi sui risparmi promessi. I sostenitori sbandieravano cifre che si aggiravano sugli 80 mld di dollari di risparmi sui costi nonostante i revisori dei conti del Congresso le smentissero. Anche se ancora non esiste un giudizio definitivo, c’è un crescente sospetto che la rivoluzione digitale possa potenzialmente aumentare i costi sanitari incoraggiando sovrafatturazione e nuovi tipi di frodi e abusi.

Nel settembre 2012, a seguito di articoli pubblicati dai media che suggerivano che alcuni medici e ospedali stessero usando la nuova tecnologia per aumentare in maniera impropria i propri compensi, una pratica nota come ‘upcoding’, il direttore del Dipartimento della salute e dei servizi umani (Hhs) Kathleen Sebelius e il procuratore generale Eric Holder hanno messo in guardia l’industria intimando di non provare a “aggirare il sistema”.

C’è anche un numero crescente di prove sul fatto che alcuni medici e sistemi sanitari potrebbero avere sovrastimato l’utilizzo della nuova tecnologia per garantirsi gli incentivi, una potenziale frode di dimensioni spropositate contro Medicare e Medicaid che probabilmente richiederà molti anni per essere risolta. Nel mese di giugno del 2017, l’ispettore generale dell’Hhs ha stimato che i responsabili di Medicare avrebbero dato più di 729 mln di dollari di sovvenzioni ad ospedali e medici che non ne avevano diritto.

I singoli stati, che amministrano la porzione di Medicaid del programma, non sono andati molto meglio. Dalle revisioni contabili è emerso che ci sono stati pagamenti eccessivi in 14 dei 17 programmi statali recensiti, per un totale di più di 66 mln di dollari, secondo il report dell’ispettore generale.

Il mese scorso il senatore Charles Grassley, un Repubblicano dell’Iowa che presiede la commissione finanziaria del Senato, ha criticato aspramente il Cms per aver recuperato solo una piccola frazione di questi pagamenti fasulli, o come la chiama lui una ‘goccia nel mare’.

I venditori di Ehr sono stati anche accusati di atti fraudolenti e dannosi per i pazienti, fatto mentre facevano a gara per incassare il denaro degli incentivi. In aggiunta all’accordo da 155 mln di dollari del governo degli Stati Uniti con eClinicalWorks per false dichiarazioni di cui si accennava sopra, il governo federale ha raggiunto un secondo accordo anche con un altro grande venditore, Greenway Health, con sede a Tampa, sulla base di accuse simili alle precedenti. Nel mese di febbraio, la società si è accordata con il governo per poco più di 57 mln di dollari senza negare o ammettere illeciti. “Questi sono casi di avidità aziendale, società che hanno dato priorità ai profitti rispetto a tutto il resto”, dice Christina Nolan, il procuratore per il Distretto del Vermont, il cui ufficio ha condotto i casi. In una risposta, Greenway Health non ha menzionato le accuse o l’accordo, ma ha detto che stava “impegnandosi per essere il portabandiera della qualità, della conformità e della trasparenza”.

(AP Photo/Don Ryan)

LA TORRE DI BABELE

ALL’INIZIO DEL 2017, Seema Verma, fresca di nomina ad amministratrice Cms del paese, ha visitato medici in tutti gli Stati Uniti, passando dai grandi studi urbani a minuscole cliniche rurali, e si è sempre sentita ripetere la stessa cosa: tutti odiano i fascicoli sanitari elettronici. “Il burnout dei dottori è reale”, dice a Khn e Fortune. I medici hanno parlato della difficoltà incontrate nel tentativo di ottenere informazioni da altri sistemi e fornitori, e si sono lamentati dei requisiti di reporting richiesti dal governo, che sono stati percepiti come pesanti e non significativi.

Ciò che sentì allora divenne improvvisamente personale un giorno dell’estate 2017, quando suo marito, di professione medico, è collassato in aeroporto mentre si dirigeva a casa verso Indianapolis, dopo una vacanza di famiglia. Per alcune ore frenetiche, l’amministratrice del Cms dovette combattere con le telefonate agli operatori del primo soccorso e dei medici – conosceva la sua storia clinica? Aveva informazioni che potessero salvargli la vita? – e chiamò i suoi medici nell’Indiana, cercando di ricostruire la sua storia clinica, che avrebbe dovuto essere lì tutta intera. Suo marito è sopravvissuto, ma l’episodio aveva chiaramente messo a nudo la disfunzione e il pericolo insiti nell’ecosistema dell’informazione sanitaria.

L’idea che i fascicoli sanitari elettronici dovessero parlare tra loro era una parte fondamentale della visione originale della legge Hitech, nella quale il governo chiedeva che i sistemi fossero interoperabili.

Chi aveva creato quella visione non aveva calcolato che gli incentivi economici avrebbero potuto ritorcersi contro il progetto. Un libero scambio di informazioni significa che i pazienti possono essere curati ovunque. E anche se non lo ammettono, molti operatori sanitari sono restii a rischiare di perdere i propri pazienti in uno studio di un medico o di un ospedale concorrente. C’è un termine per questa perdita di entrate: ‘leakage’. E tenersi stretta la cartella clinica dei pazienti è un modo per prevenirla.

La proprietà di quei dati ha un grandissimo valore intrinseco, spiega Blumenthal, che ora è a capo del Commonwealth Fund, che si occupa di ricerca sulla salute. Chiedere agli ospedali di rinunciare è “come chiedere ad Amazon di condividere i propri dati con Walmart”, dice.

Blumenthal riconosce di non essere riuscito a cogliere queste perverse dinamiche imprenditoriali e a prevedere quanto fosse grande la sfida di far parlare i sistemi gli uni con gli altri. E aggiunge che forzare gli obiettivi di interoperabilità all’inizio, quando il 90% dei fornitori della nazione ancora non aveva sistemi o dati per lo scambio, sembrava irrealistico. “Usavamo un’espressione: dovevano operare prima che potessero interoperare” dice.

In assenza di veri incentivi per dei sistemi che comunicassero, il settore zoppicava; alcuni operatori si collegavano direttamente ad altri operatori selezionati o attraverso scambi regionali, ma gli sforzi erano discontinui. Nel 2013 è nata una rete per l’interoperabilità sostenuta da Cerner, denominata Commonwell, ma alcune aziende, inclusa Epic, non hanno aderito. “Inizialmente, Epic non è né stata invitata né le è stato permesso di unirsi” dice Sumit Rana, vicepresidente senior della R&D di Epic. Dall’altra parte, Jitin Asnaani, direttore esecutivo di CommonWell, controbatte: “abbiamo inviato ripetuti inviti ad ogni grande azienda Ehr… e numerosi inviti pubblici e privati a Epic”.

Epic più avanti ha messo in piedi per conto suo un’iniziativa molto simile a quella di CommonWell.

La scorsa primavera, Verma ha cercato di far decollare questa iniziativa di condivisione dei dati e poi ha promesso una guerra al “blocco delle informazioni”, minacciando sanzioni per i cattivi attori del sistema. Ha promesso di ridurre il fardello della documentazione per i medici e di eliminare le clausole di riservatezza che proteggono l’industria degli Ehr. Almeno per quanto riguarda il primo sforzo, “erano tutti d’accordo sul fatto che andasse fatto e che sarebbe servito il governo per aiutare il processo”, dice. Un segno di progresso in questo senso risale all’estate scorsa, quando è iniziata la condivisione di informazioni tra le due iniziative ‘affini’ di Epic e Cerner, i due più grandi player del settore, uno sforzo che è ancora alle prime armi.

Quando si tratta di pazienti, però, troppo spesso la vera condivisione si ferma. Nonostante i requisiti federali che prevedono che gli operatori diano ai pazienti i loro fascicoli sanitari in modo tempestivo, nel formato scelto, e a basso costo (il governo raccomanda un canone forfettario di 6,5 dollari o meno), i pazienti spesso devono lottare per ottenerli. Uno studio del 2017 condotto da ricercatori di Yale ha scoperto che degli 83 migliori ospedali d’America, solo il 53% offre moduli che danno ai pazienti la possibilità di ricevere la loro intera cartella clinica. Meno della metà condividerebbe i fascicoli via email. Addirittura un ospedale richiederebbe più di 500 dollari per rilasciarli.

A volte il semplice tentativo di accedere ai registri si traduce con una causa in tribunale. Jennifer De Angelis, un avvocato di Tulsa, si è scontrata spesso con gli ospedali per il rilascio delle cartelle cliniche dei suoi clienti. De Angelis racconta che o tentano di addebitare somme enormi ai pazienti o la costringono a ottenere un ordine del tribunale prima di rilasciarle. De Angelis aggiunge che a volte sospetta che le cartelle siano state sovrascritte per coprire gli errori medici.

Consideriamo il caso di Uriah R. Roach, 5 anni, che si è fratturato e tagliato il dito il 2 ottobre 2014, quando gli è stato accidentalmente chiuso in una porta a scuola. Cinque giorni dopo, un’operazione chirurgica per riparare il danno è andata storta, e ha subito danni cerebrali permanenti, apparentemente a causa di un problema di anestesia. Il fascicolo sanitario elettronico di Epic era stata consultata più di 76mila volte durante i 22 giorni in cui il ragazzo era in ospedale, e nella causa intentata dai genitori del bambino si evidenziava che numerose voci erano state “corrette, alterate, modificate ed eventualmente eliminate dopo un risultato inatteso durante l’induzione dell’anestesia”. L’ospedale ha negato illeciti. Il caso si è chiuso nel novembre 2016, e i termini sono riservati.

Più di una dozzina di altri avvocati intervistati hanno citato casi simili, soprattutto nell’avere accesso agli ‘audit trail’ computerizzati. In molti casi, gli atti giudiziari mostrano che gli avvocati del governo si sono opposti alla consegna di file elettronici provenienti da ospedali gestiti a livello federale. È successo a Russell Uselton, un avvocato dell’Oklahoma che rappresentava un’adolescente incinta ricoverata al Choctaw nation health care center di Talihina, in Oklahoma. Shelby Carshall, 18 anni, era incinta di più di 40 settimane. I medici non erano riusciti a eseguire un parto cesareo, e in seguito a questa mancanza il bambino è nato cerebralmente danneggiato, ha sostenuto Carshall in una causa intentata nel 2017 contro il governo degli Stati Uniti. Il bambino ha iniziato ad avere convulsioni a 10 ore dalla nascita e “probabilmente non potrà mai camminare, parlare, mangiare, o vivere normalmente”, secondo gli atti relativi alla causa. Anche se il governo federale richiede agli ospedali di produrre cartelle cliniche elettroniche per i pazienti e le loro famiglie, Uselton ha dovuto ottenere un ordine del tribunale per ottenere le cartelle cliniche complete del bambino. Gli avvocati del governo hanno negato qualsiasi negligenza nel caso, che è pendente.

“Cercano di nasconderti tutto quello che possono nasconderti – dice Uselton – Rendono estremamente difficile ottenere i fascicoli, così costoso e complicato che la maggior parte degli avvocati non riescono a prenderli”, ha detto.

E non ci riescono nemmeno, a quanto pare, gli alti funzionari federali. Quando il marito di Seema Verma è stato dimesso dall’ospedale dopo lo spavento preso in estate, gli sono stati consegnati alcuni documenti e un CD-ROM contenente alcune immagini mediche, ma mancavano dei test chiave e i dati di monitoraggio. “Lasciammo quell’ospedale e ancora oggi non abbiamo le sue informazioni”, afferma Verma. È successo quasi due anni fa.

 

Articolo di Erika Fry e Fred Shulte apparso sul numero di Fortune Italia di maggio 2019.

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