Alzheimer, in Usa ok a primo farmaco in quasi 20 anni

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Una notizia clamorosa, destinata a sollevare speranze e interrogativi fra neurologi, medici e associazioni di pazienti con Alzheimer. La Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha infatti approvato l’uso del farmaco sperimentale aducanumab per i pazienti nelle prime le fasi di malattia di Alzheimer.

Si tratta, sottolinea la Cnn, del primo via libera a un medicinale contro questa malattia dal lontano 2003. Arrivato oltretutto nonostante il comitato consultivo della Fda avesse concluso lo scorso anno che non c’erano prove sufficienti per supportare l’efficacia del trattamento.

L’anticorpo monoclonale aducanumab (Biogen) è indicato per chi soffre di forme lievi di deterioramento cognitivo o demenza allo stadio iniziale causate dall’Alzheimer.

Questo prodotto è il primo farmaco progettato per influenzare il decorso della malattia, rallentando il deterioramento delle funzioni cognitive, e non solo per alleviare i sintomi.

Biogen e il suo partner giapponese Eisai hanno sviluppato aducanumab, somministrato tramite infusione endovenosa, proprio per il trattamento precoce dell’Alzheimer. “Questo medicinale è mirato alla prima fase sintomatica della malattia, il cosiddetto lieve deterioramento cognitivo dovuto all’Alzheimer”, ricorda Richard Isaacson, direttore dell’Alzheimer’s Prevention Clinic di Weill Cornell Medicine e NewYork-Presbyterian di New York alla Cnn.

L’esperto, coinvolto nella prima fase di sperimentazione, invita alla cautela. “Dobbiamo davvero moderare le aspettative e spiegare alle persone che questo farmaco è pensato per le prime fasi sintomatiche”, ha aggiunto. “Mi addolora dirlo, ma se ho un malato di Alzheimer grave che non può più parlare o interagire molto con gli altri e un suo familiare mi implora di dargli questo farmaco, non sarò in grado di farlo”.

La strada di questo farmaco è stata accidentata. Nel marzo 2019 lo studio di fase 3 era stato interrotto perché un’analisi aveva concluso che difficilmente il lavoro avrebbe avuto successo.

Diversi mesi dopo, Biogen ha annunciato che una nuova analisi, che includeva più pazienti, aveva mostrato che chi aveva ricevuto alte dosi di aducanumab aveva sperimentato una riduzione del declino cognitivo. Alla luce di questi risultati, l’azienda ha ripresentato domanda alla Fda.

Ci sono state anche preoccupazioni relative ai costi di questa nuova terapia ‘gioiello’. Secondo l’Institute for Clinical and Economic Review il farmaco dovrebbe costare tra 2.560 e 8.290 dollari l’anno, non fino a 50.000 dollari come secondo le stime degli analisti di mercato.

In ogni caso, organizzazioni come l’Alzheimer’s Association hanno salutato il via libera con entusiasmo. “E’ un momento importate”. Per i pazienti coinvolti nella sperimentazione, come Jenny Knapp, l’infusione offre una “speranza” contro la malattia.

Ma cosa ne pensano i ricercatori italiani? “Un altro anticorpo monoclonale che si unisce ai 79 già approvati dalla Fda contro il cancro, l’Aids e molte malattie croniche come l’artrite e la psoriasi. E’ una bella notizia – ci dice il genetista Giuseppe Novelli dell’Università di Roma Tor Vergata – che, se confermata dagli studi estesi di fase 4, apre una nuova prospettiva per le malattie degenerative come l’Alzheimer, per la quale oltre 15 anni di studi su modelli animali hanno visto fallite tutte le molecole sperimentali prodotte”.

Decisamente entusiastico il commento dell’azienda. “Oggi è stato raggiunto un traguardo storico per le comunità che si occupano dei pazienti con malattia di Alzheimer – ha affermato Giuseppe Banfi, amministratore delegato di Biogen Italia – L’Alzheimer è una malattia subdola che colpisce il cervello molti anni prima che si manifestino i primi sintomi. Per anni la scienza ha cercato, senza successo, la chiave di volta per la cura di questa patologia”.

“Oggi, finalmente, dopo numerosi tentativi da parte di molte aziende e ricercatori, possiamo dire che esiste una speranza concreta per il trattamento della malattia d’Alzheimer. La ricerca ci dice che è possibile intervenire in modo significativo nella riduzione del declino cognitivo e funzionale, ma ci dice anche che dobbiamo cambiare un paradigma culturale consolidato: bisogna intervenire precocemente e tempestivamente, bisogna supportare i sistemi sanitari perché siano pronti ad accogliere le nuove terapie, bisogna educare alla prevenzione. Anche su questo faremo la nostra parte. Ora aspettiamo che si pronuncino anche altre agenzie regolatorie, tra cui l’Ema, a cui abbiamo sottoposto il dossier nello scorso ottobre”.

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