Vaccini e protezione, ultimi studi e l’analisi del microbiologo Perno

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Le notizie sono di quelle positive. E riguardano tre vaccini anti-Covid: Vaxzevria di Oxford-AstraZeneca, Spikevax di Moderna e Comirnaty di Pfizer-Biontech.

Nel primo caso, secondo una pre-pubblicazione sul sito della prestigiosa rivista Lancet, l’immunità indotta dal vaccino dura anche un anno dalla prima dose e una robusta risposta immunitaria è possibile anche quando la seconda dose del vaccino viene somministrata fino a 45 settimane di distanza dalla prima.

Per quanto riguarda i vaccini di Moderna e Pfizer invece, le novità arrivano da uno studio pubblicato su Nature: i vaccini a mRna determinerebbero “una risposta persistente delle cellule B del centro germinativo, che consente la generazione di una robusta immunità umorale”.

Cosa significa tutto ciò in termini di protezione contro Covid-19 e di modulazione della campagna vaccinale? Lo abbiamo chiesto a Carlo Federico Perno, direttore della Microbiologia dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma.

“Il lavoro relativo al vaccino di AstraZeneca ci dice che una seconda somministrazione fatta fino a 45 settimane di distanza dalla prima sviluppa una risposta anticorpale molto positiva; addirittura potrebbe essere più positiva rispetto alla seconda somministrazione fatta dopo i classici 3 mesi. Tengo a precisare che in vaccinologia, la prima somministrazione serve per iniziare il percorso dell’immunizzazione, ma il vero sviluppo della risposta anticorpale avviene con la seconda dose. Il messaggio che possiamo trarne è positivo ed è il seguente: qualora per i più diversi motivi – come quello della ridotta disponibilità delle dosi – non si riescano a rispettare i tre mesi di distanza per l’inoculazione della seconda dose, si può procedere comunque con il richiamo senza che l’intero ciclo vaccinale perda efficacia. Non deve invece passare il concetto di poter dilazionare il richiamo perché tanto il vaccino funziona lo stesso. Il nostro obiettivo è quello di vaccinare quante più persone possibile nel più breve tempo possibile”.

Il paper scientifico parla anche di una risposta immunitaria 18 volte superiore, qualora la distanza tra la prima e la seconda dose sia prolungata fino a 45 settimane. Lei che ne pensa?

“È un dato molto buono. Ma arriva dall’analisi di quanto rilevato solo su 30 persone prese in esame. Partendo da queste premesse credo sia necessario estendere il campione per capire se è un dato potenzialmente estendibile a tutti coloro che si vaccinano con il vaccino Az. Per ora, quindi, direi molto bene, ma approfondiamo. La cosa importante che vorrei comunicare è che i vaccini di norma richiedono più dosi per poter esplicitare al meglio la loro efficacia. Se lei mi chiedesse ‘e il vaccino Johnson&Johnson che è monodose, come si comporta?’ Io le risponderei che è stato un prodotto ottimo per lanciare la vaccinazione tra le persone che avevano difficoltà a sottoporsi a più richiami. Oggi però si sta già ventilando l’ipotesi che anche per J&J sarà necessaria una seconda dose”.

Secondo lei ci sarà la possibilità di allungare l’intervallo di tempo tra prima e seconda dose anche per i vaccini anti-Covid a mRna?

“Questo è un punto nodale e va spiegato sotto il profilo scientifico. Il vaccino è fatto partendo dalla proteina virale Spike. Ma i diversi vaccini cambiano a seconda del modo in cui questa proteina è presentata al sistema immunitario affinché esso sviluppi una risposta immunitaria completa. Nei vaccini AstraZeneca e J&J la proteina è veicolata attraverso un vettore adenovirale, mentre per Pfizer e Moderna l’Rna messaggero che codifica per la proteina Spike è veicolato attraverso particelle liposomiali, in pratica delle microgoccioline di grasso. Queste diverse forme di presentazione possono determinare diverse risposte, sia qualitative che quantitative, da parte del sistema immunitario. Allo stato attuale non abbiamo studi scientifici che comparino due vaccini basati su queste due diverse tecnologie, e che ci dicano se la possibile estensione dei vaccini a vettore adenovirale (come AZ) sia fattibile anche per i vaccini ad Rna (come Pfizer e Moderna)”.

E per quanto riguarda il lavoro pubblicato su Nature?

“Si tratta di uno studio lineare, ma di grande importanza. Ci dice che i vaccini a mRna attivano bene il sistema immunitario nel suo complesso – fatto di risposta persistente delle cellule B del centro germinativo e di titolo anticorpale – rendendo la risposta immunitaria molto valida contro tutte le varianti contro cui questi vaccini sono stati testati. Ad esempio, anche se la variante Beta sembra essere leggermente meno sensibile a questi vaccini, la produzione di anticorpi anti-Sars-CoV-2 e’ talmente alta, e il sistema immunitario nel suo complesso funziona così bene, da superare questa possibile criticità. Il messaggio è quindi molto positivo”.

Vedremo piu’ avanti, se compariranno altre varianti, se la situazione sarà, come speriamo, altrettanto buona. Un’ultima battuta sulla durata della copertura vaccinale. Cosa sappiamo ad oggi?

“Un vaccino deve funzionare per anni. Sembrerebbe che la risposta immunitaria dei vaccini contro Covid-19 sia abbastanza duratura. Al punto che si pensa che l’ipotesi di una vaccinazione da ripetersi annualmente, come quella del vaccino antiinfluenzale, non abbia senso. Va ricordato che la vaccinazione anti-influenzale viene fatta stagionalmente perché il virus dell’influenza cambia di anno in anno, non perché il vaccino dell’anno precedente non funzioni. Nel caso di Covid-19, potremmo dover fare un terzo richiamo come accade in molte altre profilassi vaccinali, ma se il virus non muterà in modo sensibile non sarà necessaria una vaccinazione periodica. Questo comunque lo sapremo in modo definitivo solo osservando le dinamiche evolutive del virus”.

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