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La voce dei Radicali, parla il giovane segretario Matteo Hallissey

Matteo ha 20 anni ed è il più giovane segretario di partito di sempre. Bolognese, militante fin da giovanissimo del Partito Radicale, si racconta senza freni e con una passione fuori dal comune. Marco Pannella, Emma Bonino, Roberto Cicciomessere, Riccardo Magi e Marco Cappato sono tra i suoi punti di riferimento. “Quando sono sceso in piazza per lottare per i diritti, l’eutanasia, i referendum, non immaginavo un percorso all’interno dei partiti. Pensavo esclusivamente che fosse arrivato il momento di smettere di lamentarmi e provare a dare un contributo”. Matteo non ha paura di usare parole come ‘rivoluzione generazionale’ perché “troppo spesso si è costretti a superare gli stereotipi e i luoghi comuni di chi lega la giovane età all’immaturità”.

L’intervista

Perché un partito come quello Radicale?

I Radicali Italiani non sono un partito nel senso tradizionale del termine, non lo sono mai stati. Quella radicale è una prospettiva, un movimento di idee e di persone che si uniscono di volta in volta in nome di battaglie comuni. Il nostro non è un ennesimo apparato votato all’occupazione del potere. Questa differenza è la nostra identità. Tocca a noi continuare ad essere avanguardia.

Come mobilitare i giovani?

I giovani oggi fanno politica. Non credo alla visione nichilistica di una generazione cristallizzata sui social. Le piazze sono piene di energia. Manca però quella visione che dovrebbero dare proprio i partiti, ma sono poche le forze che hanno a cuore le nostre necessità e sono in grado di valorizzarci.

I giovani sono una classe sociale?

Lo siamo e abbiamo interessi comuni. Non avremo tutti le stesse idee o risposte, ma condividiamo le medesime incertezze e difficoltà. Quella che manca è la consapevolezza della nostra forza. Molti pensano di dover imitare l’attuale classe dirigente per potersi inserire, mentre, paradossalmente, l’unico modo in cui possiamo farlo sta nell’agire e pretendere spazi.

Siamo una generazione rassegnata?

Non dobbiamo cedere alla retorica del disimpegno. La nostra generazione è attraversata da una rabbia che ha una radice profondamente politica. Tramutare questo sentimento nel motore di un impegno civile è fondamentale se non vogliamo che il futuro sia pregiudicato da scelte sulle quali non abbiamo responsabilità. Serve far sentire la nostra voce.

In Italia però i giovani non ricoprono ruoli apicali.

Prendiamoci spazio. Stare ad aspettare il proprio turno può significare restare in attesa per decenni.
Diamo vita al diritto a restare. Investiamo in scuola, università, ricerca e politiche giovanili. Dovrebbe essere priorità di tutti. Sicuramente è la nostra.

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