Psoriasi per 1,5 mln italiani, l’identikit

psoriasi

Chiazze e macule sul corpo, spesso in parti difficili da trattare, come cuoio capelluto, unghie, palmi delle mani e dei piedi e che, in alcuni casi, si associano a manifestazioni a carico delle articolazioni, a prurito o a un dolore improvviso al ginocchio, al polso o alla caviglia. Si tratta della psoriasi, patologia infiammatoria immunomediata che colpisce, solo in Italia, circa 1.500.000 persone (circa 14 milioni in Europa e 125 milioni nel mondo).

In occasione della Giornata Mondiale della Psoriasi che si celebra in tutto il mondo oggi, per aumentare la conoscenza verso questa patologia, Alfasigma è al fianco di Apiafco, a supporto dei pazienti. Inoltre l’azienda ha avviato anche una propria iniziativa di sensibilizzazione informativa attraverso i canali social corporate.

Ma come riconoscerla? La psoriasi, nella sua forma più comune, si manifesta con placche eritemato-squamose localizzate sulle superfici del corpo. La prevalenza nella popolazione generale italiana è stimata al 2,8% e l’insorgenza avviene prevalentemente intorno ai 20-30 anni, o a circa 60 anni. In Italia l’incidenza stimata della psoriasi è 2.30-3.21 casi per 1000 persone all’anno.

La psoriasi non è solo un problema estetico ma soprattutto un vero e proprio problema di salute. “Come peraltro molte altre malattie croniche della pelle, viene spesso percepita come un mero problema estetico e pertanto poco considerata dal non addetto ai lavori così come dal decisore politico di turno. Tuttavia il suo impatto sulla vita della persona che ne è affetta risulta devastante – spiega Francesco Cusano, presidente Adoi (Associazione Dermatologi Venereologi Ospedalieri Italiani) Ciò si verifica non soltanto come conseguenza dei frequenti coinvolgimenti di altri organi cui si estende la patologia, quali articolazioni, tratto gastroenterico, apparato cardio-vascolare, occhio, né come semplice riduzione della qualità della vita in un tratto più o meno lungo della stessa, quanto piuttosto condizionando in maniera significativa l’individuo nei momenti cruciali e nelle tappe della sua esistenza, impedendogli di esercitare alcune professioni, ad esempio, di frequentare ambienti collegiali quali spiagge o piscine, di praticare sport o altre attività ludiche o ricreative, fino al forte condizionamento o alla rinuncia a una vita familiare o comunque strettamente relazionale”.

La ricerca ha infatti dimostrato che la psoriasi è una malattia complessa, autoimmune, sistemica. “L’infiammazione della pelle è soltanto la manifestazione esterna – dichiara Valeria Corazza, presidente Apiafco (Associazione Psoriasici Italiani) – La persona psoriasica spesso ha problemi cardiocircolatori, molto spesso reumatologici. Altre co-morbidità che hanno un impatto significativo sono la sindrome metabolica, l’obesità e in moltissimi casi la depressione. Ecco perché la definisco la malattia dei forti, data la sofferenza fisica psicologia e sociale che provoca”.

A tutto questo si aggiunge il problema della diagnosi, che spesso avviene dopo molti anni dalla comparsa dei primi sintomi, quando invece una diagnosi corretta ed in tempi brevi permetterebbe un accesso al trattamento ed un miglioramento più probabile e rapido della malattia. Da uno studio condotto dal Censis su di un campione di 300 pazienti è infatti emerso che il 70% di questi passa da uno specialista ad un altro per ottenere una diagnosi corretta e il 50% si rivolge in media a 4 diversi specialisti o centri prima di individuare il medico referente cui affidarsi per le cure. “Autodiagnosi, diagnosi sbagliate, cure iniziali non efficaci e prolungate nel tempo. Presa in carico ritardata dello specialista di un paziente sfiduciato, diffidente, critico e poco collaborativo. Sono gli ingredienti di una situazione grave – aggiunge Corazza – La tutela del paziente perché abbia la migliore assistenza disponibile ovunque è una delle missioni e lotte di Apiafco.”

Quello con psoriasi è un paziente cronico e va gestito nel lungo periodo, circa per 30-40 anni. “Le terapie tradizionali, così come la stessa fototerapia – continua Cusano – rappresentano opzioni ancora valide, non soltanto nei pazienti che non possono o non vogliono praticare terapie con i più moderni farmaci biotecnologici. L’adattamento dell’organismo a un certo tipo di farmaco biotecnologico induce talvolta una progressiva perdita di efficacia del farmaco stesso. Considerando appunto che si tratta di terapie da praticare per tutta la vita, si capisce come sia opportuno mantenere una opzione terapeutica in più con un farmaco che, oltre a consentire di controllare con successo una certa percentuale di pazienti a tempo indeterminato, ritardi spesso l’accesso al biologico di alcuni anni posticipando quindi il potenziale esaurimento delle risorse terapeutiche a nostra disposizione”.

Aggiunge Corazza: “Trattandosi di una patologia cronica non esiste una cura, ma gli effetti possono essere tenuti sotto controllo attraverso le alternative terapeutiche a disposizione, comunemente distinte in tre gruppi: i trattamenti topici, indicati per i pazienti che presentano forme lievi della patologia, i trattamenti fototerapici e i trattamenti sistemici biologici e non, utilizzati, invece, per i casi moderati-gravi”.

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