Covid e il rifiuto dei trattamenti salvavita

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Hanno detto no al vaccino, probabilmente per paura delle reazioni avverse o perché ancora, dopo due anni di pandemia, non credono ai rischi legati a Covid-19. Ma quando poi si trovano a fare i conti con il virus, le reazioni dei non vaccinati per scelta sono divergenti: ci sono i no vax pentiti, che dal letto d’ospedale lanciano appelli pro vaccino, ma anche gli irriducibili, che in punto di morte arrivano a rifiutare trattamenti salvavita.

Situazioni al limite del comprensibile, messe in luce dalle testimonianza degli operatori sanitari. Con un testo pubblicato sul suo portale – Pandemia e rifiuto dei trattamenti di supporto vitale – la Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione Terapia Intensiva-Siaarti ha sentito la necessità di richiamare alcuni elementi riguardanti il consenso alle cure e il relativo percorso decisionale riferiti all’attuale fase della pandemia da Sars-Cov-2.

“Poiché sempre con maggior frequenza sono segnalati casi di pazienti con quadri clinici severi correlati a Covid-19 che rifiutano il ricovero in Terapia Intensiva e/o di sottoporsi a trattamenti di supporto vitale giudicati utili e appropriati dai curanti, riteniamo opportuno richiamare alcuni elementi di carattere generale riguardanti il consenso alle cure e il relativo percorso decisionale”, sottolineano i rianimatori.

Nel testo si richiamano “alcuni elementi di carattere generale riguardanti il consenso alle cure e il relativo percorso decisionale”, in preciso riferimento al Codice di Deontologia Medica, che sottolinea che “nessun trattamento sanitario può essere imposto a chicchessia, anche se il trattamento diagnostico o terapeutico proposto sia per lui/lei un trattamento ‘salva vita’. Anche sotto il profilo etico, non è possibile ipotizzare condotte differenti”.

Ebbene, quello della Siaarti suona come un appello agli operatori a non farsi scoraggiare da questo atteggiamento, e a tenere il più possibile aperto il canale del dialogo. Scrive infatti la Società scientifica: “Pur consapevoli delle circostanze (elevato carico di lavoro, tempi decisionali ridotti, forte pressione ambientale, ecc), la relazione con il paziente non può ridursi ad avere le caratteristiche di un atto di tipo meramente burocratico, cioè una semplice “presa d’atto” della volontà del paziente, quale che essa sia e quali che siano le sue motivazioni”.

“La tensione per offrire chance di vita e di salute, sempre orientata a valutare con attenzione la proporzionalità delle cure, richiede a tutti noi lo sforzo di spiegare e motivare: 1) per tempo; 2) con la massima attenzione e rispetto; 3) in modo chiaro, veritiero e documentato e, se le circostanze lo consentono; 4) con ragionevole insistenza e in modo ripetuto, l’indicazione e l’utilità dell’impiego di trattamenti di supporto vitale (ivi compresa, se clinicamente appropriata, la ventilazione invasiva)”.

Ma come è possibile? Non dobbiamo dimenticare che nei mesi scorsi sono state diffuse, soprattutto sui canali social no vax e no Covid, fake news relative a pazienti ‘uccisi dalla ventilazione invasiva’. Ma di fronte a persone che, ingannate dalle bufale, rischiano la vita rifiutando le terapie, non bisogna farsi scoraggiare, è l’invito di Siaarti ai medici.

Inoltre “tutte le fasi, le motivazioni e le decisioni relative al consenso a trattamenti diagnostico-terapeutici (compresi quelli di supporto vitale) o al loro rifiuto devono essere documentati di volta in volta nella cartella clinica”.

“Laddove gli operatori sanitari si trovano ad avere a che fare con persone appartenenti al cosiddetto mondo “negazionista” o “no-vax”, il personale sanitario di terapia intensiva non deve mai venir meno un atteggiamento rispettoso e “non giudicante”, anche se questo rappresenta “oggettivamente un aspetto gravoso e doloroso per i medici e per gli infermieri”, ammette la società scientifica.

Insomma, “per quanto le circostanze possano essere difficili e faticose, al rifiuto ripetuto e ostinato del paziente non deve far seguito il suo “abbandono”. Deve piuttosto essergli sempre garantito un adeguato livello di cure e, qualora necessario, la loro rimodulazione in chiave palliativa”.

Il presidente Siaarti, Antonino Giarratano, va oltre e sottolinea anche le difficili condizioni psicologiche degli stessi professionisti, sottoposti in questi anni di pandemia a un impegno notevole e usurante: “Le tematiche correlate alla prioritaria tutela della salute e della autodeterminazione del paziente nel prestare il proprio consenso o come in questo caso nel rifiutarlo a trattamenti e interventi terapeutici spesso salvavita, devono porre all’attenzione di tutti, e la Siaarti in tal senso vuole sottolinearlo, il tema del burnout professionale, cioè di quella ‘usura psicologica’ che in questi ultimi mesi è cresciuta in modo esponenziale tra gli anestesisti rianimatori che nelle Terapie Intensive italiane hanno affrontato la pandemia così carica di sofferenza e morte”.

Alla “usura professionale – conclude Giarratano – che fa parte della professione, si è infatti aggiunta una usura da negazione della correttezza del proprio ruolo e competenza messa in atto durante il periodo pandemico, spesso con minacce anche di azioni legali, una criticità inattesa e gravissima che rischia di creare un pericoloso vulnus tra paziente e medico, rischiando di determinare l’allontanamento anche dei giovani da una professione che oggi e ancor più domani necessiterà invece di crescente impegno”.

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