Trapianti, la storia del primo uomo con un cuore di maiale Ogm

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Il signor David Bennett, un 57 enne del Maryland affetto da una grave cardiopatia, vive da venerdì scorso con un cuore di maiale nel petto. L’intervento, un ‘first’ assoluto, è stato effettuato durante il fine settimana dai cardiochirurghi del Medical Center dell’Università del Maryland.

Per ora, questo cuore di maiale geneticamente modificato (è stato fornito dalla Revivicor, una company americana specializzata in medicina rigenerativa), sembra funzionare, cioè assolvere alla funzione di ‘pompa idraulica’ di un cuore normale, anche se il paziente è ancora collegato alla macchina ‘cuore-polmoni’ che lo teneva in vita già prima dell’intervento.

Vengono monitorati con grande attenzione i segnali di un possibile rigetto, ma anche di un’infezione (ad esempio da retrovirus suino, un virus che può passare dal maiale all’uomo). Nessuno naturalmente è in grado di prevedere cosa ci sia dietro l’angolo e ne è ben cosciente anche David, che ha definito il suo intervento ‘uno sparo nel buio’. Ma l’alternativa era morire, di lì a poco. Come accade a decine, forse centinaia di pazienti in lista trapianto ogni giorno, in tutto il mondo, per la cronica, grave carenza di organi. Perché sono oltre 100 mila gli americani e oltre 8.000 gli italiani in lista d’attesa per un trapianto.

E sono in molti a sperare che gli xenotrapianti, soprattutto questi di ultima generazione, ‘ritoccati’ con il gene editing per renderli più ‘tollerabili’ al nostro sistema immunitario, possano rappresentare una soluzione concreta in questo campo. Ma è bene mantenere la giusta prospettiva, auspica il dottor David Klassen, medico trapiantologo e direttore dello United Network for Organ Sharing americano.

Ci vorrà insomma prevedibilmente molto tempo per rendere routinarie procedure di questo tipo, che per ora rappresentano solo esperimenti di frontiera, quasi in articulo mortis, quando cioè la lista delle terapie a disposizione si è esaurita e la conta dei giorni è molto prossima alla fine. Nel caso del cuore ‘ingegnerizzato’ della Revivicor trapiantato al signor Bennett, è stato necessario effettuare una decina di modifiche genetiche; una di questa ha inattivato un gene responsabile di una reazione di rigetto aggressiva; un’altra è servita a bloccare la crescita del cuore di maiale, per evitare che diventasse enorme nel petto del paziente. Infine, sono stati inseriti 6 geni in grado di nascondere la natura ‘xeno’ di questo trapianto e renderlo più ‘tollerabile’ al sistema immunitario del paziente. Ovviamente il paziente è comunque in trattamento con farmaci anti-rigetto.

Lo scorso ottobre, uno xenotrapianto ‘umanizzato’ di rene era stato effettuato su un paziente del NYU Langone Health (New York). Per la prima volta al mondo a un essere umano (in quel caso già in coma) era stato ‘collegato’ un rene di maiale geneticamente modificato. In quel caso il rene non era stato tecnicamente trapiantato, cioè posizionato nel corpo del paziente, ma solo collegato all’esterno, come se fosse una macchina da dialisi. Esperimento riuscito per una manciata di giorni, con i test di funzionalità renale in miglioramento; poi però, come ci si attendeva dall’inizio, il paziente era morto. Comunque una pietra miliare, un intervento ‘proof of concept’ che ha aperto la strada a questa nuova generazione di xenotrapianti e di speranze.

L’idea di ricorrere agli xenotrapianti per far fronte alla carenza cronica di donazioni non è certo nuova. Tra i più celebri tentativi, quelli del chirurgo americano Thomas Starzl con i fegati di babbuino trapiantati a due pazienti negli anni ’90, uno dei quali riuscì a sopravvivere per 70 giorni.

Ma l’idea degli xenotrapianti risale ad almeno quattro secoli fa, quando Jean Baptiste Denis cominciò a trasfondere sangue di animali ad alcuni pazienti, finché la Francia non mise al bando questa pratica. Nell’800 fu la volta degli orrifici tentativi di trapianto di cute dalla pecora all’uomo, seguiti da quelli da conigli, cani, gatti, ratti, rane, polli e addirittura piccioni. E anche la storia dei trapianti di cornea si inaugura nel 1838 con uno xenotrapianto da maiale; da quel momento, sarebbe stato necessario attendere ben 65 anni – fino al 1905 – per assistere al primo allotrapianto (da uomo a uomo) di cornea.

Il primo a trapiantare reni di primati sull’uomo è stato invece Keith Reemtsma (Tulane University, Louisiana, Usa); negli anni ’60, in Francia e in America si facevano già trapianti di rene, ma i donatori – allora come oggi – scarseggiavano e non esisteva ancora la terapia dialitica cronica. Reemtsma decise di utilizzare degli scimpanzé come donatori ed effettuò ben 13 xenotrapianti, utilizzando entrambi i reni degli animali. La maggior parte di questi fallì nell’arco di 4-8 settimane, per rigetto o complicanze infettive; ma un paziente sopravvisse per ben 9 mesi.

Questo indusse il cardiochirurgo James Hardy a pensare che fosse questa la strada da percorrere, anche per i trapianti di cuore. Un cuore di scimpanzé fu dunque trapiantato ad un uomo con una malattia aterosclerotica avanzata, già semicomatoso al momento dell’intervento e che morì dopo un paio d’ore. Fu necessario attendere il 1983 per assistere ad un nuovo xenotrapianto di cuore, questa volta di babbuino, su una piccola paziente, Baby Fae; anche in questo caso, il trapianto fu un successo chirurgico, ma la piccola morì per rigetto acuto dopo una ventina di giorni.

Rispetto a quelli di babbuino, gli organi di maiale hanno una serie di vantaggi. Intanto, un cuore di maiale, raggiunge dimensioni adatte ad un trapianto nell’uomo dopo soli 6 mesi. Da molti anni inoltre valvole cardiache porcine (cosiddette ‘biologiche’) vengono impiantate di routine ai pazienti valvulopatici; anche al signor Bennet ne era stata impiantata una, una decina di anni fa.

La strada degli xenotrapianti è comunque in salita. Quelli ‘geneticamente modificati’ di rene e quest’ultimo di cuore rappresentano l’ultima frontiera. Ma è ancora presto per dire se questo sarà il futuro. Di certo è già una pietra miliare nella storia dei trapianti.

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