Autismo in Italia, tra ricerca e ‘mercato delle cure’

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Si parla poco di autismo in Italia, in genere succede ad aprile, in occasione della Giornata mondiale dedicata a questa malattia. Ma è sbagliato, e questo non solo per via della sua diffusione, ma anche per l’impatto che una diagnosi di autismo ha sulle famiglie. Se la pandemia da Covid-19 ha complicato l’accesso alle strutture, con una inevitabile ricaduta sui tempi della diagnosi, resta l’annoso problema dei costi degli interventi per questi pazienti, che oltretutto, una volta maggiorenni, rischiano di ‘scomparire dai radar’. Fortune Italia ne parla con Giovanni Valeri, neuropsichiatra infantile responsabile del Centro per il disturbo dello spettro autistico dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, una struttura che accoglie 500 bambini l’anno. E che nell’ultimo anno ha attivato un ambulatorio dedicato a bambini con meno di 30 mesi, per la diagnosi precoce.

Ma di che numeri parliamo? “A livello mondiale l’autismo ha una diffusione stimata nell’1% della popolazione. Questo vuole dire che in Italia, tra bambini e adulti, avremmo 600 mila persone affette da disordini dello spettro autistico. L’Istituto superiore di sanità ha realizzato il primo studio epidemiologico su bambini di 8 anni, ed è emersa una prevalenza di un caso su 77, quindi più o meno in linea con altri Paesi occidentali”.

Questo vuol dire che in Italia abbiamo una prevalenza di più di un bambino su 100 con autismo. “Si tratta non solo di un disturbo frequente, ma anche complesso, sia in termini diagnostici che terapeutici”, avverte il responsabile dell’Unità operativa sul disturbo dello spettro autistico del Bambino Gesù.  Ma cosa comporta una diagnosi di autismo? “La presenza di compromissioni socio-comunicative associate a comportamenti ripetitivi. Questo è presente in tutto lo spettro – spiega Valeri – A fare la differenza sono tre elementi: la gravità dei sintomi (lievi, medi o gravi), il livello cognitivo (il 40% delle persone con autismo ha associata una disabilià intellettiva) e il livello delle competenze linguistiche”.

Questi 3 elementi permettono di inquadrare la persona all’interno dello spettro. Se non è semplice arrivare a una diagnosi precoce, ancor più in pandemia, uno dei grandi problemi dei genitori dei bambini e ragazzi con autismo è legato alla spese per le cure.

“E’ vero, ci sono persone che hanno acceso un mutuo per pagare le terapie al figlio. Allora cerchiamo di dare informazioni corrette: le linee guida attualmente in vigore dell’Iss (in attesa delle nuove indicazioni per adolescenti e adulti, ndr) dicono che esistono 4 famiglie di interventi con evidenze scientifiche per l’autismo, due raccomandati perché con forti evidenze, e due consigliati. Nel primo caso abbiamo gli interventi mediati dai genitori, che si stanno dimostrando molto efficaci, e gli interventi comportamentali intensivi: il famoso metodo Aba, un’opzione importante ma non indicata automaticamente per tutti i bambini”.

Nell’altro gruppo “ci sono gli interventi a supporto della comunicazione (ad esempio con ausili visivi) e la strutturazione dell’ambiente, in modo da renderlo prevedibile e comprensibile. Una buona presa in carico – sottolinea Valeri – dovrebbe usare queste 4 famiglie trovando il mix più utile al singolo bambino”.

Molte Asl però non danno una risposta utilizzando queste 4 famiglie di interventi. A volte propongono neuropsicomotricità o logopedia, “così i genitori vanno nel privato a cercare gli interventi comportamentali intensivi, con costi veramente molto alti: si arriva a 1.000-1.500 euro al mese”, testimonia Valeri. Come si può intervenire? “Occorre far sì che le Asl si attrezzino per tutti e 4 i tipi di interventi, e solo quando le Aziende sanitarie avranno professionisti formati, potranno capire qual è il mix più adatto per il singolo bambino”. Insomma, c’è ancora molto da fare su questo fronte.

Ma c’è un altro problema testimoniato dalle famiglie: il bambino con autismo, da adolescente o maggiorenne, scompare. “E’ terribile, anche perché si tratta di un momento delicatissimo – sottolinea lo specialista – I pochi studi sulle persone con autismo in età adulta hanno evidenziato che a fare la differenza è sì la diagnosi precoce, ma allo stesso modo ciò che accade con la transizione all’età adulta. A 18 anni sta terminando la scuola, un contesto socializzante importante, ma nei servizi per gli adulti c’è l’idea che l’autismo sia un disturbo dei bambini”. Insomma, il filo con i servizi rischia di spezzarsi.

La buona notizia è che “si sta facendo un lavoro di formazione degli psicologi e psichiatri dell’età adulta. Occorre creare servizi che seguano il paziente ormai cresciuto, offrano momenti di socializzazione, e su questo fronte c’è un’urgenza enorme”.

A terrorizzare i genitori è anche il ‘dopo di noi’. “Negli ultimi 10 anni le cose stanno cambiando, anche se con molta lentezza: dalla formazione nelle Asl, alla legge sul dopo di noi, ma è ancora  importante riconoscere questo problema. Dall’autismo non si guarisce, è vero, ma sappiamo che, grazie a diagnosi e interventi precoci, il destino della persona autistica è cambiato: prima andavano nelle scuole speciali e poi nelle strutture. Oggi il numero di autistici che finiscono la loro vita nelle strutture è crollato. Inoltre questi interventi hanno migliorato la comunicazione: oggi solo il 20% circa dei pazienti è non verbale, contro il 50% di pochi decenni fa”, evidenzia Valeri.

Intanto la ricerca va avanti: sono allo studio sostanze pensate per alleviare alcuni sintomi dei pazienti. “Anche noi come Bambino Gesù parteciperemo a un trial multicentrico internazionale su un farmaco per l’autismo. Al momento però non c’è un medicinale per i sintomi ‘core’ dell’autismo, mentre ce ne sono per alcuni sintomi associati allo spettro, come irritabilità e iperattività. In questi casi l’uso del farmaco va preso in considerazione”.

Ma in che modo due anni di Covid-19 hanno pesato sull’autismo? “In parte hanno ritardato alcune diagnosi, per problemi organizzativi rispetto alle misure anti-Covid. Ma devo dire che se i problemi associati all’autismo sono aumentati, paradossalmente per quanto riguarda la sintomatologia autistica una parte di bambini è andata meglio: l’organizzazione della giornata con rapporti sociali più prevedibili e organizzati, in un sottogruppo di pazienti appare essere stata utile. Insomma, accanto a problemi di accesso ai servizi – dice Valeri – abbiamo registrato anche una reazione diversa e insolita a livello individuale, che merita di essere approfondita”.

Cosa chiedono oggi i genitori dei bimbi con autismo? “Ci siamo posti il problema delle terapie, ci confrontiamo tutti i giorni con la disperazione delle famiglie. Noi seguiamo un numero limitato di bambini con la terapia mediata da genitori, e abbiamo fatto uno studio randomizzato controllato su questo modello, che si è dimostrato efficace. Pochi mesi fa è stata pubblicata l’ultima meta-analisi su questo tipo di terapia nel mondo: 30 studi randomizzati controllati, di cui 27 arrivano da aree anglofone, uno dalla Cina, uno dalla Thailandia e uno dall’Italia. Siamo l’unico Paese europeo che ha esaminato questo metodo in un contesto non anglosassone”.

La ricerca è importante, ma lo è anche la formazione. “Stiamo facendo la formazione ad alcune Asl in Italia su questo modello, per insegnare ai genitori come stimolare quotidianamente e bene il bambino”. Un approccio efficace e sostenibile, promosso dalla scienza. “Questa – conclude Valeri – è una possibile risposta alla disperazione dei genitori: offrire interventi sostenibili, oltre che evidence based, senza lasciare i genitori alla mercé di un mercato nel quale si devono orientare, da soli, tra professionisti validi e millantatori”.

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