Covid e la lezione dell’influenza russa

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Un virus misterioso che si manifestava con sintomi respiratori e neurologici, inclusa la perdita di olfatto e gusto, ma anche una spossatezza estrema nei guariti e una particolare virulenza nei confronti di anziani e soggetti obesi o con patologie. Suona molto simile a Covid, ma non lo è. Si tratta invece dell’influenza russa, un’antica pandemia che mostra straordinarie analogie con quella attuale.

L’influenza russa fu favorita anche dai moderni (all’epoca) sistemi di trasporto, in particolare dalla rete ferroviaria. E – secondo alcuni esperti – potrebbe fornire interessanti elementi per prevedere l’andamento dell’attuale virus pandemico.

Questa pandemia, che ha ucciso circa 1 milione di persone in tutto il mondo, è durata dal 1889 al 1890. Ma poi ha avuto una serie di ‘recidive’ fino al 1895 e probabilmente il virus è rimasto in circolazione molto più a lungo. Forse anche fino ad oggi, come si legge su ‘Fortune’.

Arrivata prima dell’ormai arcinota influenza spagnola del 1918, che a sua volta ha ucciso circa 50 milioni di persone in tutto il mondo, l’influenza russa probabilmente non era affatto un’influenza, come sostengono alcuni esperti. I suoi sintomi assomigliano infatti più  a quelli di un coronavirus, famiglia di virus chiamata così per l’aspetto simile a una corona al microscopio, che abbiamo imparato a conoscere bene con Sars-Cov-2, il virus di Covid-19.

I coronavirus in genere causano infezioni delle vie respiratorie superiori da lievi a moderate negli esseri umani e sono responsabili del raffreddore. Ma alcuni sono diventanti patogeni mortali: è il caso di Sars (sindrome respiratoria acuta grave), epidemia emersa nel 2002 che ha ucciso centinaia di persone, e di Mers (sindrome respiratoria mediorientale), un’altra epidemia emersa nel 2012 che ne ha uccise altrettante.

“L’epidemiologia e i sintomi clinici dell’influenza russa sono molto più in linea con Covid-19  di quanto sappiamo sulle pandemie influenzali”, ha affermato Harald Brüssow, editore di Microbial Biotechnology e professore presso la KU Leuven in Belgio. “Hai un’infezione respiratoria, ma allo stesso tempo ci sono forti sintomi neurologici”, e questo è il caso sia dell’influenza russa che di Covid, spiega l’esperto. “Ci fu anche qualcosa di simile al Long Covid  osservato dopo la pandemia di influenza russa”. Persone messe fuori gioco per molto tempo, con un aumento del tasso di suicidi e l’impossibilità di tornare alla piena capacità lavorativa. “Tutto questo fa pensare di aver avuto a che fare con un’infezione da coronavirus negli anni ’80 dell’Ottocento”.

Diciamo allora che la cosiddetta influenza russa sia stata originata da un coronavirus. Quali lezioni possiamo imparare? Se sosteniamo che l’influenza russa si sia estinta a causa di un evento improvviso, “le probabilità per Covid sono molto più basse”, ha detto a Fortune Arijit Chakravarty, Ceo di Fractal Therapeutics e ricercatore impegnato su Covid-19. “Abbiamo superato quel punto”.

Quando nessuno è riuscito davvero a prevedere l’andamento della pandemia di Covid-19, frustrato da simulazioni al computer a breve termine con una tendenza all’imprecisione, Brüssow si è rivolto a il passato. La Spagnola era dovuta a un virus diverso, così l’esperto andando indietro nel tempo si è imbattuto nell’influenza russa. E, ironia della sorte, la prima questa è stata anche la pandemia per la quale i dati sono stati raccolti in massa.

“L’influenza russa è stata in realtà il caso migliore di una pandemia respiratoria di dimensioni paragonabili a Covid sufficientemente documentata dal punto di vista medico”, ha detto Brüssow. Si pensa che l’infezione abbia avuto origine nei bovini del Turkestan prima di diffondersi nell’impero russo e poi nel mondo.

Sebbene all’epoca fosse considerata un’influenza, gli scienziati non avevano ancora una solida conoscenza di ciò che causava la malattia, con la teoria dei germi quasi contemporanea e le confusioni generate dalla teoria del miasma: l’idea che la malattia fosse causata da “aria cattiva” che sorgeva da il terreno.

In uno dei suoi articoli Brüssow fa riferimento a un report medico di 344 pagine del 1891, a Londra, che descrive i pazienti con influenza russa come affetti da “tosse secca e dura”, febbre, “mal di testa frontale di severità speciale”, “dolori ai bulbi oculari”, “sensazione generale di debolezza e grande depressione dello spirito” ma anche “pianto, irrequietezza nervosa, incapacità di dormire e talvolta delirio”.

Come per Covid i bambini sembravano relativamente meno colpiti o solo in forma lieve. Andava molto peggio agli anziani, specie se già affetti da malattie pre-esistenti. Nel 10% dei casi i sintomi duravano molto a lungo. Ancora come nel caso di Covid-19, i pazienti con influenza russa potevano reinfettarsi: è il caso di un uomo ammaltosi a dicembre 1889 in Francia e poi di nuovo a gennaio in Inghilterra.

Si ritiene che l’influenza russa sia durata dal 1889 al 1890, ma in realtà ha colpito molto più a lungo, secondo la National Library of Medicine dei National Institutes of Health degli Stati Uniti. Picchi maggiori di mortalità, come si vede nei dati sanitari del Regno Unito, sono continuati fino al 1899 o al 1900, ha detto Brüssow.

Non è noto se le morti successive siano dovute a ulteriori ondate di influenza russa o a qualcos’altro. Ma i rapporti sui segnali di potenziali ondate successive, trovati su The Lancet e altre riviste mediche britanniche, sono “sorprendentemente simili”. Tutto questo “mi fa pensare che dovremmo considerare la possibilità che l’agente influenzale russo si stesse evolvendo e circolasse, causando  un importante picco di mortalità nel Regno Unito e altrove”, ha concluso l’esperto. Un po’ come sta accadendo oggi con le varianti di Covid-19.

Sebbene non sia noto se l’influenza russa fosse davvero dovuta a un coronavirus, alcuni credono che sia presente ancora oggi come OC43, un coronavirus umano che spesso causa malattie delle vie respiratorie superiori. Sebbene la sua presentazione sia spesso lieve, è noto che l’agente patogeno causa bronchite, bronchiolite e polmonite nei bambini e negli anziani, nonché nei pazienti immunodepressi.

Il pensiero che l’influenza russa sopravviva come OC43 è un’ipotesi sviluppata quando gli scienziati si sono resi conto di quanto OC43 fosse geneticamente simile al coronavirus bovino e hanno ipotizzato un antenato comune intorno al 1890: l’era, appunto, dell’influenza russa. Insomma, il sospetto è che il patogeno, di mutazione in mutazione, si sia conservato fino a noi.

L’influenza russa potrebbe davvero “uccidere ancora le persone, e semplicemente non stiamo prestando attenzione, il che è totalmente plausibile”, ha detto Chakravarty. “Pensavamo che il virus di Epstein-Barr fosse innocuo” e ora sappiamo che aumenta il rischio di sviluppare la sclerosi multipla di oltre 30 volte. “C’è un sacco di ‘materia oscura’ nel mondo delle malattie infettive”. Un futuro analogo potrebbe attendere Covid-19, sostiene Brüssow.

“Alcune persone pensano che la variante Omicron che domina ora stia già andando in questa direzione, perché colpisce molto meno i polmoni e molto di più il tratto respiratorio superiore”. Brüssow spera che Omicron sia l’ultima fiammata della fase acuta di Covid – l’influenza russa è durata circa tre anni – ma è ben consapevole che potrebbe non essere così. “Personalmente, sarei un po’ scettico” sul fatto che Omicron segni la fine della pandemia. Anche se l’influenza russa alla fine è diventata meno grave, non c’è motivo di pensare che Covid-19 seguirà la stessa strada, avverte Brüssow. L’articolo completo si può consultare su Fortune.com. 

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