Sanità digitale tra Pnrr e formazione

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Sanità digitale alla prova del Pnrr e del post-pandemia. Senza un cambio di marcia si rischia di perdere l’occasione di dare un vero impulso e far fare un salto di qualità a un comparto che in Italia vale 1,69 miliardi di euro.

É il monito lanciato stamani dagli esperti riuniti dal Politecnico di Milano per la presentazione del Osservatorio sulla Sanità digitale dell’ateneo ambrosiano. Che la digitalizzazione in sanità sia un must a cui non si può più rinunciare, dopo il grande contributo che diverse applicazioni dell’information technology hanno dato nel garantire la continuità delle cure nei periodi più difficili degli ultimi due anni, è cosa nota.

Meno consapevolezza vi è invece sulle dinamiche che stano interessando la sanità digitale più di recente. In particolare, a rappresentare un campanello d’allarme è ciò che accade a quanto è compreso sotto il cappello “telemedicina”. Se per molti mesi, con l’uso delle più svariate piattaforme di messagistica e condivisione di file, è stata facilitatrice della collaborazione tra professionisti della salute e soprattutto mezzo di comunicazione medico-paziente, già nello scorso anno il suo utilizzo si è ridotto notevolmente tra i medici.

Cosa che rappresenta un “segnale dell’esigenza di innovazione più strutturale, un passaggio da una soluzione di emergenza a una opportunità per migliorare il sistema di cura”, ha evidenziato Cristina Masella, responsabile scientifico dell’Osservatorio.

Molto va ancora fatto per attuare ciò che davvero significa “telemedicina”: ben oltre il semplice scambio di messaggistica. Il fatto è che, dice l’indagine, per medici e infermieri ciò è qualcosa che va ad aggiungersi al normale lavoro clinico. Qualcosa che andrebbe strutturato e anche contrattualizzato. Perchè ritenuto assolutamente utile nella pratica quotidiana e da mantenere anche in futuro per più di un medico e un infermiere su due. Per non parlare dei pazienti: per l’80% di loro non si può pensare di tornare indietro.

Già, ma come fare? Le criticità da superare sono molteplici e di diversa natura. E non sono prettamente di carattere tecnologico. Software e portali in grado di far dialogare soggetti e strutture diverse ci sono, così come esistono già molti esempi di successo in cui la Pubblica amministrazione e i privati sono divenuti partner di un progetto comune a vantaggio della sanità collettiva.

Il nodo da sciogliere è piuttosto quello della volontà politica di agire in tal senso. Perchè manca la cultura della digitalizzazione e anche le skill in materia. In effetti, sebbene le direzioni delle strutture sanitarie ritengano molto strategico investire in ambiti quali la cartella clinica elettronica piuttosto che in sistemi per l’integrazione ospedlae-territorio, il 38% di esse indica che è proprio la carenza di competenze digitali a rappresentare la principale barriera all’innovazione.

Di conseguenza si rende necessario investire molto sulla formazione del personale; proprio sulla cartella clinica digitale, sulla privacy e sul tema della sicurezza dei dati sanitari, ma anche sulle nozioni di base relative alle opportunità offerte dale diverse applicazioni della telemedicina.

Una svolta potrebbe arrivare dagli investimenti attuabili con il Pnrr: la Missione 6 destina 16,63 miliardi di euro proprio alla salute. Con particolare riferimento a “potenziamento della sanità territoriale, anche grazie allo sviluppo di servizi di telemedicina, e la raccolta e valorizzazione dei dati in sanità, in particolare attraverso la diffusione del Fascicolo sanitario elettronico, che rappresentano alcune delle principali sfide per i prossimi anni”, ha ricordato Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio. Che però ha poi avvertito: “L’effettiva disponibilità e l’efficace messa a terra di queste risorse è tutt’altro che scontata. Lo sblocco di questi fondi da parte delle istituzioni europee è condizionato allo sviluppo in tempi rapidi di programmi e riforme la cui realizzazione non è semplice, soprattutto a causa della frammentazione della governance del sistema sanitario pubblico”.

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