Ricerca, il ‘rientro dei cervelli’ e l’obiettivo del circolo virtuoso

ricerca scientifica

Un ‘rientro dei cervelli’ da 600 mln di euro, e un meccanismo di “chiamate dirette” dalle università agli studiosi che lavorano fuori dall’Italia. Il piano per la ricerca italiana lo ha ricordato il ministro dell’Università e Ricerca, Maria Cristina Messa, nel corso della sua audizione sull’attuazione del Pnrr, davanti alle Commissioni riunite 1 e 7 del Senato.

Il ministro ha parlato di “un nuovo meccanismo di incontro tra ”domanda” da parte delle università e ”offerta” di disponibilità da parte di studiosi dall’estero”, oltre a ricordare la disponibilità di fondi per la ricerca arrivata con il Next Generation Eu. ”Il Pnrr prevede risorse per 11 miliardi. Abbiamo fatto bandi per 6 miliardi quest’anno, per la ricerca applicata”, ha detto in un’intervista ad Adnkronos Live.

La domanda, a questo punto, rimane una sola: basterà? Per capirlo, si può andare a guardare come funzioni, attualmente, la ‘mobilità’ dei giovani ricercatori italiani abituati a lavorare in una dimensione internazionale. Ricordando che, tra questi, sono migliaia quelli che decidono di lavorare stabilmente all’estero.

Claudio Colaiacomo, vice president global academic relations di Elsevier, ha detto a Fortune Italia che “l’annuncio della ministra Messa è un’ottima notizia per tre motivi: la quantità dei fondi, l’attenzione alla ricerca scientifica e la probabilità che si inneschi un circolo virtuoso a partire dalle già dimostrate eccellenti performance dei ricercatori italiani. Faccio un esempio: nel campo dell’AI lo scorso anno, 1 investimento su 4 proveniente dall’UE è finito in Italia. Sono davvero fiducioso che l’Italia andrà molto molto bene perché i presupposti e i dati già puntano in questa direzione”.

Oltretutto, “dati alla mano”, dice Colaiacomo, “sappiamo che i ricercatori italiani hanno una spiccata abilità ad attrarre fondi non ordinari. Mi riferisco a quei fondi che non fanno parte del fondo di funzionamento ordinario e che quindi non sono erogati dal ministero, ma che provengono dalla comunità europea, come, ad esempio, i progetti Horizon”.

Quello che è certo è che fuori dall’Italia, per la ricerca, c’è un tesoro da sfruttare. Il paradosso è che all’estero esistono sicuramente più chance per i giovani accademici Made in Italy, ma a restare in Italia non sono necessariamente gli studiosi che valgono meno.

Secondo una ricerca Elsevier, sono 33mila i giovani ricercatori under 35 che hanno maturato nel corso della loro carriera almeno un’esperienza all’estero. Quasi il 20% dei ricercatori analizzati dallo studio lascia il nostro Paese per intraprendere un percorso accademico al di fuori dell’Italia, ma chi rientra ha un livello mediamente più alto di chi sceglie di lavorare stabilmente all’estero. Però sono più di 5000 quelli che perdiamo stabilmente, e che abbandonano l’Italia per continuare il loro percorso accademico all’estero, iniziando a pubblicare stabilmente fuori dal nostro Paese.

“Abbiamo analizzato la mobilità non solo verso l’estero, quindi la mobilità permanente, ma anche la mobilità transitoria, ovvero chi è uscito per qualche tempo ed è poi rientrato in Italia”, ha spiegato Colaiacomo presentando in Senato la ricerca, dal titolo eloquente: ‘Fuga dei cervelli, circolo virtuoso di scambio internazionale o deficit strutturale del sistema italiano?’.

Una domanda ancora più valida, alla luce del piano del Governo italiano: si riuscirà a creare un ‘circolo virtuoso’ con chiamate dirette e fondi del Pnrr? “In merito a come legare questi fondi al rientro dei cervelli e alle chiamate dirette, vanno evidenziate due dinamiche: prima di tutto, avere un Paese ben finanziato può incoraggiare a restare e fare ricerca di ottimo livello, per quanto allo stesso tempo fare un’esperienza all’estero permetta sicuramente di essere poi più performanti”, dice Colaiacomo.

“In seconda battuta, i fondi del PNRR sono davvero un’ottima notizia anche da un altro punto di vista: un Paese ben finanziato è ‘attraente’ per chi volesse fare un periodo di ricerca fuori dalla propria nazione di provenienza”, aggiunge.

L’Italia però, nel complesso, non offre un contesto particolarmente favorevole, dice Colaiacomo, “e la conseguenza è che raramente un ricercatore viene a fare un percorso nel nostro Paese per ragioni che esulano dalla ricerca. Serve portare avanti un lavoro organico insieme al resto del Paese, perché il punto non è solo quanto sia performante un laboratorio, ma anche se siano o meno disponibili servizi e infrastrutture adeguati, come, per esempio, scuole internazionali e trasporti pubblici efficienti. Quindi, tornando alle chiamate dirette, se si creano le condizioni descritte sopra, sicuramente ci potrebbe essere un impatto e innescare un circolo virtuoso”.

Per creare condizioni reali di attrazione in Italia dei giovani ‘cervelli’ eccellenti, ha detto il ministro Messa, le nuove misure “si fanno carico, da un lato, di incentivare le università ad accogliere questi studiosi, stabilendo che le chiamate avvengano in deroga ai cosiddetti ‘punti organico’”.

Ma si cerca anche di creare un nuovo meccanismo di incontro tra ”domanda” da parte delle università e ”offerta” di disponibilità da parte di studiosi dall’estero, “che, nelle nostre intenzioni, potrà anche riequilibrare la cronica carenza di chiamate dall’estero delle Università del mezzogiorno. Stimolarle, quindi, a reclutare di più”.

Lo studio di Elsevier

In sintesi, la “fuga di cervelli” per come la conosciamo è una questione di opportunità, e non di bravura del singolo ricercatore, secondo la ricerca di Elsevier. Un problema sistemico, quindi, che riguarda anche il rapporto tra Nord e Sud Italia.

I Paesi con cui si collabora di più sono gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, segue a distanza al 3° posto la Francia. Ma la ricerca di opportunità migliori non riguarda solo la mobilità tra Italia e estero. Quello che emerge analizzando i ricercatori con esperienza internazionale, sempre secondo l’analisi Elsevier, è che se è vero che i giovani studiosi del Nord lasciano l’Italia per l’estero (23%), quelli del Centro e soprattutto del Sud Italia molto spesso lasciano il loro polo universitario per uno che si trova al Nord, dove generalmente sono situati i centri di eccellenza e si hanno maggiori opportunità lavorative. Il 10,5% degli accademici under 35 del Centro e l’8% di quelli del Sud si spostano in Università del Nord Italia. E anche in questo caso ad orientare le scelte è il ventaglio di opportunità che un determinato ateneo può offrire e non la qualità del ricercatore, dicono da Elsevier: quanti al Sud hanno maturato un’esperienza internazionale tendono a pubblicare di più, con un valore qualitativo pari a quello del resto d’Italia.

Altro tema sottolineato dallo studio Elsevier: la diversità. Dalla composizione del segmento di studiosi presi in considerazione, emerge che fra i giovani accademici con esperienza internazionale c’è una tendenza al gender balance, con un 45% di donne e un 55% di uomini in termini di parità di genere. Tra i ricercatori under 35 italiani, in particolare, il gender balance è migliore rispetto al resto della ricerca in generale e anche della media europea. Nonostante questo, le discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) restano appannaggio dei ricercatori uomini, mentre le ricercatrici sono avanti rispetto ai colleghi uomini nel campo della medicina.

Infine, un’altra peculiarità relativa al genere: gli uomini pubblicano più delle donne, ma questo non ha a che vedere con la qualità delle studiose e degli studiosi, che è pressoché simile, piuttosto con la tendenza dei ricercatori uomini a frazionare il lavoro di ricerca, pubblicando non necessariamente al termine dell’intera speculazione, ma anche risultati intermedi, dicono da Elsevier.

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