Pensi di essere felice? Il potere dei ricordi e quello del denaro

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“Chiedimi se sono felice”. Non pensate solamente al titolo del film con Aldo Giovanni e Giacomo, ma ad una sorta di autotest da fare per verificare il proprio livello di felicità e comprendere come mai la percezione del benessere psicologico possa mutare così tanto da soggetto a soggetto.

Una risposta viene da una ricerca apparsa su Psychological Science, che mostra chiaramente come la chiave della felicità è la discrepanza tra situazione attuale e valutazione del passato. Quanto più i ricordi impattano sulla nostra mente, tanto più difficile sarà riuscire a gustare il bene che si sta vivendo. Il sottile margine tra benessere psicofisico, felicità e percezione viene descritto come una specie di viaggio verso la felicità che dipende sempre dal passato.

Chi si ritiene felice, in pratica, ha la tendenza a sopravvalutare il miglioramento delle proprie condizioni di vita, mentre chi invece guarda con nostalgia al passato tende a dare un peso eccessivo al calo della felicità stessa nel tempo. Queste persone, alla fine, tendono ad incamminarsi verso un percorso non propriamente positivo, con tendenza all’umore scuro.

La ricerca, coordinata da Alberto Prati dell’University College di Londra e dell’Università di Oxford e Claudia Senik della Sorbona di Parigi, diventa quindi una vera e propria analisi scientifica sulla sensazione che ci rende più o meno gioiosi e sereni in un determinato periodo della nostra vita.

Per giungere a queste osservazioni gli esperti hanno valutato i risultati di quattro diversi analisi di popolazione condotte in diversi Paesi (Germania, Regno Unito e Usa), mirate a valutare quanto i sentimenti legati al passato influenzino l’attuale benessere psicologico.

Leggendo i dati analizzati viene da pensare che la percezione di felicità sia da correlare con il tempo: sentirsi felici oggi, in pratica, vuol dire semplicemente sentirsi meglio di ieri. Queste indicazioni impattano molto sul futuro delle persone, anche in ambito lavorativo: chi è felice o ha comunque una percezione di miglioramento della propria situazione tende ad avere una visione più ottimistica della vita, diventa maggiormente aperto al nuovo e soprattutto ha una percezione dei rischi come minori e comunque non insormontabili, come invece potrebbero apparire a chi invece ha una visione non proprio rosa del presente e del futuro. 

Viene da chiedersi, a questo punto, quanto e come la situazione economica possa impattare su questo aspetto. Ed allora, in chiave di felicità, probabilmente l’accumulo di denaro e beni non è un sotterfugio per sentirsi meglio. Come dice il proverbio, infatti, “i soldi non danno la felicità”. Almeno da qualche parte sul pianeta.

Stando ad una ricerca apparsa sulla prestigiosa rivista PlosOne e condotta all’Università McGill, ci sono zone in cui avere scarse disponibilità si collega ad un maggior livello di felicità, ovviamente se le condizioni economiche non sono al centro di ogni pensiero.  Un esempio? Basti pensare che chi vive nelle isole Salomone, stando allo studio, presenta un livello di appagamento per il proprio stato del tutto simile a quello degli abitanti dei Paesi nordici, che sono da tempo in testa alla classifica dei valori di felicità sul pianeta.

L’importante è che il denaro venga utilizzato poco e non sia fondamentale per vivere. Semmai, se volete, per sentirvi più felici puntate sul bene degli altri. Perché fare beneficenza può rendere più felici.

E l’altruismo può essere un rigenerante per la psiche. Lo dice una ricerca apparsa ieri sulla prestigiosa rivista Science e coordinata da Elizabeth Dunn, psicologa presso l’Università della British Columbia di Vancouver in Canada. Per arrivare a dire quanto fa bene essere buoni, e saper rinunciare a qualche acquisto per un’offerta solidale, gli studiosi hanno fatto tre diverse valutazioni. Prima hanno chiesto ad un campione di 632 persone quanto si sentivano felici, mettendo in rapporto le risposte con la condizione economica e soprattutto con la beneficenza effettivamente fatta.

Risultato: i più felici erano anche coloro che più volentieri davano qualcosa per gli altri. La tendenza è stata poi confermata osservando 16 impiegati studiati prima di ricevere il “bonus” dall’azienda e poi dopo aver ottenuto il premio. Tra loro chi partecipava finanziariamente a progetti sociali era globalmente più felice dei colleghi. Infine, a 46 persone sono stati dati cinque o venti dollari, e poi gli individui sono stati divisi in due gruppi: al primo è stato detto di pensare a spese personali, al secondo di fare un regalo a qualcuno, compresi anche enti umanitari di caritatevoli. La felicità “testata” scientificamente è risultata maggiore in quanti hanno avuto l’opportunità di sentirsi utili, attraverso i propri soldi.

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