Alzheimer, speranze dall’anticorpo gioiello per Eisai e Biogen

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La Borsa accoglie con freddezza il nuovo farmaco approvato in Usa per frenare l’Alzheimer. Dopo un primo flop con aducanumab, sarà lecanemab l’occasione per Biogen di ripartire nel settore delle neuroscienze?

Il nuovo anticorpo monoclonale – sviluppato da due aziende farmaceutiche, la giapponese Eisai e la statunitense Biogen – ha appena ottenuto l’approvazione accelerata da parte della Fda (Food and Drug Administration) americana e promette di rallentare il declino cognitivo dei pazienti nella prima fase della malattia.

Una malattia destinata a crescere nei prossimi anni, con l’invecchiamento della popolazione. Le stime, solo per gli Stati Uniti, parlano di qualcosa come 14 milioni di persone entro il 2060 (sono circa 6 mln attualmente). Ma lecanemab non è solo un’innovazione: è anche l’occasione di ripartire per Biogen.

Non è ancora possibile vedere quali siano state le conseguenze dell’approvazione per Eisai: la società è quotata alla Borsa giapponese, chiusa per festività il 9 gennaio.

Gli effetti della notizia si possono vedere intanto sul titolo di Biogen: la società di biotecnologie americana, quotata sul Nasdaq con una capitalizzazione da 40 mld di dollari, guadagna quasi un punto percentuale nelle contrattazioni premarket di oggi, dopo il +2,8% dell’ultima chiusura. Ma all’apertura odierna del Nasdaq il titolo è in discesa del 2%.

Quando a settembre erano stati comunicati i risultati di lecanemab, il titolo della biotech americana era arrivato a guadagnare il 50%, chiudendo a un +36,5% la seduta del 28 settembre. Dai 276 dollari di allora, il titolo oggi viaggia sui 279 (anche Eisai viaggia sugli stessi livelli raggiunti il 28 settembre, ed è passata da 62 a 64 dollari). C’è ottimismo, dunque, ma anche cautela da parte dei mercati.

Inoltre l’annuncio sul nuovo trattamento non è l’unico di rilievo, per Biogen, nelle ultime settimane.

Biogen, il rilancio dopo il flop 

E’ fresco l’annuncio del nuovo Ceo di Biogen: Christopher Viehbacher, ex Sanofi, che ha sostituito Michel Vounatsos, il cui mandato era stato caratterizzato, nell’ultimo periodo, proprio dalle difficoltà per la gestione di un altro farmaco per Alzheimer, l’aducanumab.

Questo farmaco, il primo del genere ad avere l’approvazione Usa in quasi 20 anni e sviluppato sempre con i giapponesi di Eisai, prometteva di essere una soluzione per il rallentamento della progressione della malattia, ma si è poi rivelato un fallimento: l’Ema in Europa non l’ha approvato, mentre in America, dopo l’ok da parte della Fda nel 2021, numerose polemiche ne hanno segnato il cammino.

Addirittura, recentemente il Congresso americano ha messo in dubbio la regolarità del processo di approvazione del farmaco. Si è parlato di ‘collaborazione atipica e piena di irregolarità’ tra Fda e azienda.

Farmaci gioiello

Altro problema al centro del dibattito è stato il prezzo del farmaco. Nel caso di lecanemab si parla di 26.500 dollari l’anno a persona. Per aducanumab si parlava inizialmente di 56mila dollari l’anno, poi scesi a 28mila. C’è dunque un nodo legato all’accessibilità per la popolazione.

Un problema che non sembra risolto: il Wall Street Journal sottolinea che la Medicare americana non coprirà la spesa dei pazienti a meno che non facciano parte di studi clinici sovvenzionati dal Governo. Una restrizione istituita proprio con l’aducanumab dal CMS (Center for Medicare and Medicaid Services) americano, la scorsa primavera.

Per chi è indicato il nuovo farmaco

I risultati del trial di fase 3 su lecanemab, che ha coinvolto 1.800 partecipanti con Alzheimer iniziale, mostrano che la terapia somministrata via flebo ha ridotto i segni clinici della malattia nelle forme precoci.  Il medicinale è dunque indicato solo per i pazienti in fase iniziale.

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