Malattie rare e Piano nazionale, a che punto siamo

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Prevenzione primaria, diagnosi, trattamenti farmacologici e non farmacologici, ricerca e percorsi assistenziali. Sono i capitoli in cui si articola il nuovo Piano nazionale per le malattie rare, attualemente in attesa dell’approvazione da parte della Conferenza Stato-Regioni, che delinea le azioni da intraprendere per il quadriennio 2023-2026.

Atteso da tanti anni dalla comunità medica e soprattutto dalle famiglie che convivono con un congiunto con malattia rara – il precedente risaliva al 2013-16 – il nuovo Piano rappresenta il “braccio operativo del Testo Unico sulle malattie rare del 2021, noto anche come legge 175 o legge Bologna, ne definisce gli obiettivi e gli interventi.

“Un passo molto importante”, commenta a Fortune Italia Domenica Taruscio, già direttrice del Centro nazionale Malattie Rare dell’Istituto superiore di sanità e co-autrice del Piano. Un vero e proprio strumento di programmazione e pianificazione centrale, concordato con le Regioni, per definire i Livelli essenziali di assistenza per le malattie rare, che “tiene conto del lavoro condotto dal 2001 a oggi. Cioè da quando fu istituita la Rete nazionale delle malattie rare e il relativo Registro”.

Come si legge sul portale interistituzionale dedicato alle malattie rare,  www.malattierare.gov.it, in Europa una malattia si definisce rara quando colpisce non più di 5 individui ogni 10 mila persone. E il numero di malattie rare noto sinora sarebbe davvero enorme: circa sei-otto mila patologie diverse tra loro. Molte delle quali così rare da renderne quasi impossibile la diagnosi. E la più parte senza alcuna possibilità di cura.

Per avere un’idea delle dimensioni del “fenomeno malattie rare”, e capire che non sono così rare se si ragiona in termini assoluti, basti pensare che globalmente queste patologie interessano 300 milioni di persone. E che in Italia arriviamo a stimarne circa 1 milione, nonostante il Registro nazionale ne censisca 325 mila, solo in funzione di quelle che trovano una qualche corrispondenza di supporto sanitario nei Livelli essenziali di assistenza (Lea).

Grazie a una dotazione finanziaria specifica, 25 milioni di euro per il 2023 e altri 25 milioni per il 2024 che saranno attinti dal basket del Fondo sanitario nazionale, sarà possibile attuare molteplici obiettivi che potrebbero realmente cambiare la prospettiva con cui le persone con malattia rara e le loro famiglie potranno affrontare il futuro.

Tra gli aspetti più significativi che l’esperta tiene a evidenziare, quello che pone a carico del Sistema sanitario nazionale (Ssn) anche le terapie non farmacologiche. Afferma infatti Taruscio: “Le terapie farmacologiche sono ovviamente fondamentali; tuttavia, per molte malattie rare non esiste ancora una terapia risolutiva e vengono curate mediante terapie sintomatiche. Inoltre la riabilitazione rappresenta un’ottima opportunità per molti pazienti. A tale proposito, la legge 175/2021 (art. 4, comma a-d) prevede che siano posti a totale carico del Servizio sanitario nazionale i trattamenti sanitari, già previsti dai Lea o qualificati salvavita, compresi nel piano diagnostico terapeutico assistenziale personalizzato e indicati come essenziali, appartenenti nelle categorie specificate e che includono anche le cure palliative e le prestazioni di riabilitazione motoria, logopedica, respiratoria, vescicale, neuropsicologica e cognitiva, di terapia psicologica e occupazionale, di trattamenti nutrizionali, in regime ambulatoriale, semiresidenziale, residenziale e domiciliare. Pertanto da parte dei pazienti e delle famiglie c’è molta attesa affinché tutto ciò venga tradotto in concretezza”.

Il nuovo Piano colma anche diversi ‘buchi’ normativi che erano rimasti aperti da alcuni anni. “Tra questi il fatto che i centri di expertise delle reti di riferimento europee (Ern) siano incluse nella rete nazionale delle malattie rare. Questa è una cosa fondamentale per garantire un flusso virtuoso di conoscenze, competenze, dati e informazioni tra i centri europei e la rete italiana e viceversa”, spiega Taruscio. Che desidera anche portare l’attenzione sul fatto che vengono definiti, finalmente, gli indicatori di outcome, per valutare ciò che viene realizzato attraverso il Piano nazionale.

Ancora, “è molto ben esplicitato il capitolo relativo alla prevenzione primaria, con definizione di obiettivi, azioni strumenti ed indicatori; mentre la prevenzione secondaria, ed in particolare gli screening neonatali, è stata inclusa nel capitolo Diagnosi”.

Cosa attende allora, in prospettiva, i malati rari e le loro famiglie grazie al nuovo Piano nazionale? Risponde l’esperta dell’Iss: “Mi aspetto che in una proiezione futura trovino attuazione i principi della Risoluzione dell’Onu del 2021 che riconosce i diritti delle persone con malattie rare e delle loro famiglie secondo cui queste persone hanno diritto ad un accesso equo a tutti i servizi (sanitari e sociali), ma che anche alla scolarità, all’istruzione, finanche all’inserimento nel mondo lavorativo, economico, culturale per assicurare una piena e significativa partecipazione nella società. La mia Stella Polare, quando penso al futuro nel campo delle malattie rare, è proprio questa Convenzione che va nella direzione di rafforzare il diritto alla salute e i processi di inclusione per oltre 300 milioni di donne e uomini che vivono con una malattia rara nel mondo. Finalmente si potrà realizzare una tutela a 360 gradi del paziente e della sua famiglia, che viene impattata in toto da un uragano quando uno dei suoi componenti è colpito da una di queste patologie. Tutti noi che lavoriamo in questo settore dobbiamo tendere a far sì che il malato raro possa vivere una vita piena, al meglio delle sue potenzialità. E quindi dobbiamo agire per realizzare un approccio olistico. Un vero e proprio cambio di paradigma che tende a rendere queste persone il più indipendenti possibile”.

Secondo Taruscio la strada è tracciata e va nella direzione giusta. Anche se, avverte, “bisogna superare il concetto di silos. La persona con malattia rara non necessita solo, seppure importantissime, di cure sanitarie, ma è necessario garantire la maggiore integrazione e inclusione sociale e culturale possibile, pertanto dovranno essere coinvolte tutte le istituzioni interessate e non solo quelle sanitarie”.

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