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Artrite reumatoide, i numeri e le novità dalla ricerca

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Costa tre miliardi di euro l’anno e, quando va bene, la diagnosi arriva con un ritardo di almeno 2 anni, lasciando dunque tutto il tempo alla malattia di far danno, sulle articolazioni e non solo. È l’identikit dell’artrite reumatoide, tracciato a linee essenziali dagli esperti della Società Italiana di Reumatologia.

E tra tutti, il problema principale è proprio la mancanza di una diagnosi precoce. Colpa delle liste d’attesa certo, ma anche di una scarsa conoscenza della patologia.

Eppure, assicurano gli esperti della Sir, la remissione sarebbe possibile in almeno il 50% dei casi se si potesse contare su un intervento terapeutico tempestivo, preceduto – è ovvio – da un’adeguata diagnosi. Ma al momento, solo il 18% dei pazienti riesce a dare un nome alla propria malattia entro i primi tre mesi dalla comparsa dei sintomi.

“I pazienti – ricorda il professor Giandomenico Sebastiani, presidente della Società Italiana di Reumatologia (Sir) – aspettano fino a 7 anni prima di scoprire di avere l’artrite psoriasica o la fibromialgia, 5 anni per la spondilite anchilosante, 3 per la sclerosi sistemica e 2 per l’artrite reumatoide. Anni nei quali il paziente assiste ad un peggioramento dei sintomi, che poi renderà più difficile il trattamento e il recupero”.

Importante dunque fare awareness a livello del pubblico e investire in aggiornamenti e formazione per gli specialisti reumatologi e i medici di medicina generale. La diagnosi precoce è il primo passo verso la cura perché consente di agire su un’articolazione non ancora distrutta dalla malattia. “Oggi i farmaci consentono di bloccare la progressione della malattia – prosegue Sebastiani – garantendo un buon recupero funzionale e una ripresa soddisfacente della vita personale e lavorativa. Sempre che l’intervento terapeutico sia tempestivo, a partire dai primi sintomi, per evitare che si producano danni articolari e si consolidi la disabilità a questi legata”.

Spesso infatti si dimentica che le malattie reumatologiche sono tra quelle più impattanti a livello di disabilità, come invece sa bene l’Inps. “Il 57% dei pazienti che ne è affetto necessita di aiuto per svolgere le normali attività quotidiane”, ricorda Ennio Lubrano di Scorpaniello, vicepresidente Sir.

L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica immuno-mediata che si manifesta con dolore, rigidità e gonfiore a carico di alcune articolazioni e che può progredire fino alla loro distruzione e alla perdita di funzionalità articolare. Non sono noti i trigger di questa infiammazione; uno studio appena pubblicato su BMJ Open chiama in causa addirittura l’esposizione ai fumi della carne arrostita (idrocarburi policiclici aromatici), notizia che di certo non farà piacere agli entusiasti del barbecue.

“Nell’artrite reumatoide – ricorda il professor Roberto Giacomelli, ordinario di Reumatologia Università Campus Biomedico, direttore della Uoc di Immuno-reumatologia della Fondazione Campus Bio-Medico di Roma e componente del Comitato Scientifico dell’Eular – il sistema immunitario gioca un ruolo fondamentale nell’aggredire la sinovia e vari altri componenti dell’articolazione; col passare degli anni poi, da ‘articolare’, la malattia diventa ‘sistemica’, coinvolgendo diversi organi e apparati”. Il decorso procede attraverso episodi di acuzie e periodi di relativa remissione.

L’obbiettivo della terapia è la remissione clinica, intesa come assenza di segni e sintomi riconducibili all’infiammazione, caratteristica della patologia. “Il trattamento – precisa il professor Giacomelli – è mirato a bloccare la risposta autoimmune, alla base di tutti i danni della malattia. Nell’ultimo decennio sono stati fatti molti progressi nel campo del trattamento; in particolare negli ultimi 2-3 anni si è aperta la possibilità di usare la sinovia, il tessuto intra-articolare bersaglio dell’aggressione immunologica, come biomarcatore per la scelta terapeutica; attraverso la biopsia sinoviale (per ora effettuabile solo in pochi centri selezionati, ma in via di espansione) è possibile valutare quale risposta autoimmune si sta realizzando, così da poter utilizzare dei farmaci diretti contro quella specifica attivazione del sistema immunitario”.

I farmaci a disposizione oggi sono gli anti-reumatici disease modifying (DMARD), divisi in ‘tradizionali’ (metotrexate), ‘biologici’ (bDMARD), anticorpi monoclonali diretti contro varie ‘vie’ dell’infiammazione e i ‘target sintetici’ (JAK inibitori), i più recenti. “I JAK inibitori – spiega Giacomelli – svolgono un ruolo intracellulare, inibendo la cascata infiammatoria in quelle cellule immunologiche responsabili del danno. Questi farmaci inibiscono l’effetto delle citochine sulle cellule target e hanno il grande vantaggio della somministrazione orale. La terapia dell’artrite reumatoide oggi è dunque estremamente sofisticata e si basa su farmaci altamente tecnologici, che permettono di ottenere importanti risultati. Per questo riteniamo che il futuro del trattamento di questa condizione sia davvero roseo”.

 

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