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La lunga estate calda della sanità

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L’estate è nel vivo. Ma la sanità non può andare in vacanza. Eppure il personale avrebbe diritto per legge a due settimane di riposo tra giugno e settembre, recuperando almeno una parte dei cinque milioni di giorni di ferie non godute da parte, ad esempio, dei medici ospedalieri. Trovare la quadra tra la necessità di garantire un’adeguata assistenza sanitaria in città e nelle località ad alta vocazione turistica e il diritto alle ferie di medici e infermieri non è semplice. E anche quest’anno si ricorre a misure contingenti, che cercheranno di ‘mettere una pezza’ alle falle lasciate dalla mancanza di interventi strutturali.

L’impatto delle ferie del personale sanitario sulle prestazioni diagnostiche e mediche delle strutture sanitarie italiane è difficile da stimare. In primis perché ogni struttura programma le ferie in modo indipendente dalle altre. Ciò che è certo, però, è il diritto di medici e infermieri di poter usufruire di almeno 15 giorni continuativi di assenza dal lavoro tra il 15 giugno e il 15 settembre. Così stabiliscono i contratti di lavoro di coloro che operano nel Servizio sanitario nazionale.

Questo è quanto è scritto sulla carta. Che si scontra però con la realtà dei fatti. In primis l’atavica carenza di personale, che crea problematiche anche nel resto dell’anno.

Stando a quanto riferisce il sindacato degli infermieri Nursind, è verosimile prevedere che la riduzione del personale infermieristico non andrà oltre il 10-15% dell’organico. Una percentuale contenuta tutto sommato. Ma che, innestata sulla carenza cronica di operatori, produce effetti molto maggiori.

In qualche modo l’effetto ferie si potrebbe paragonare a quello prodotto da Covid sul personale sanitario. In altri termini, durante la pandemia sull’organico che poggiava su fondamenta già sgretolate dalla carenza sistemica di risorse umane si abbatteva il temporale dei sanitari che infettandosi dovevano stare a casa. Oggi il temporale è quello delle ferie estive. E la tempesta perfetta è nuovamente servita. Naturalmente con la differenza sostanziale della minore emergenza sanitaria rispetto a quella determinata da Sars-Cov-2.

“Lo stato di criticità del personale in cui versano le aziende sanitarie è comune. Anche se varia a seconda dei casi in termini di entità”, spiega il segretario nazionale di Nursind Andrea Bottega. “La carenza di base del personale infermieristico deriva dall’insufficiente numero di infermieri formati a livello universitario. Come conseguenza non è possibile far fronte al turnover dei colleghi che vanno in pensione”.

Ma la questione è ancora più complessa nella pratica. Infatti i numeri devono fare i conti con la situazione contingente di ciascun infermiere. Come chiarisce Bottega: “Dobbiamo considerare che il 75% degli infermieri è donna. Ciò implica che una parte può non essere operativa nel periodo di maternità. E ciò porta a una diminuzione della reale disponibilità presso le strutture sanitarie. Disponibilità su cui incide anche l’eventuale ricorso alla Legge 104 e al fatto che non tutti gli infermieri possono operare in tutti i reparti a seconda delle condizioni fisiche personali”.

Se questa è la situazione degli infermieri, non è migliore quella che devono affrontare i medici. “Solo nel 2021 complessivamente avevamo accumulato cinque milioni di giorni di ferie non godute. E il numero è certamente aumentato oggi, dal momento che spesso i medici non possono prendere tutte le ferie previste dal contratto perché cooptati al lavoro per sopperire alle carenze del personale e garantire l’erogazione dei servizi sanitari. Tutto ciò contribuendo all’aumento del burnout. Che può arrivare a determinare anche l’uscita anticipata dal lavoro”, avverte il segretario nazionale di Anaao Assomed Pierino Di Silverio.

E allora gli italiani resteranno senza adeguata assistenza ospedaliera? “Naturalmente no”, commenta Di Silverio, “ma l’offerta potrà essere fortemente ridotta”. A farne le spese saranno soprattutto le prestazioni meno essenziali e la diagnostica. Infatti “i direttori generali delle strutture sanitarie saranno costretti a optare per una riduzione dell’attività, operando una riorganizzazione dei reparti, accorpandone alcuni e anche chiudendone altri per il periodo estivo, dando precedenza alle urgenze”.

Anche così facendo però, dicono medici e infermieri, sarà assai difficile riuscire a godere di un meritato riposo estivo. Anche perché la richiesta di assistenza sanitaria non va in vacanza insieme agli italiani. Ma si sposta in riva al mare. E così le strutture sanitarie in prossimità dei 7.500 chilometri di coste italiane, in generale di piccole dimensioni, andranno sotto pressione a seguito dei flussi turistici. E a farne le spese saranno nuovamente gli operatori, “cui saranno richieste prestazioni extra, impedendo o limitando i periodi di ferie”, aggiunge il rappresentante sindacale degli infermieri. Insomma, un cortocircuito. Come uscirne? Medici e infermieri concordano sull’esistenza di una soluzione: incentivare le nuove leve con stipendi competitivi e allineati al resto d’Europa e percorsi di carriera che premino le competenze acquisite. Che, tradotto, significa valorizzare queste professioni mediche. Perché, chiosa Bottega “l’esigenza di infermieri e medici non potrà che aumentare nel futuro, visto l’andamento demografico. Si tratta di ruoli che non potranno essere sostituiti dall’intelligenza artificiale. Prendersi cura degli altri è un’attività prettamente umana”.

 

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