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Annegamento, i rischi per i bambini e le regole Sip

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La prevenzione degli annegamenti ha una sua Giornata mondiale, che si celebra il 25 luglio. Può sembrare strano parlare di questo tipo di rischio ancora oggi, eppure secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sono ben 326mila le persone che perdono la vita ogni anno nel mondo proprio per annegamento, in mari fiumi e più spesso proprio nei bacini d’acqua urbani o domestici.

A dover far riflettere è anche un altro aspetto. Non tanto quello legato alle attività natatorio-ricreative, bensì quello connesso ai percorsi migratori degli esseri umani che fuggono dai Paesi in guerra alla ricerca di un’esistenza migliore o almeno più dignitosa. Siccome le rotte dei migranti sono predominanti nel Mar Mediterraneo, dove decine di migliaia di persone rischiano la vita su barchini e barconi carichi all’inverosimile di esseri umani, è facile comprendere perché l’Oms indichi che il numero di annegamenti annuo complessivo sia sottostimato addirittura del 30-50%.

Un problema, quello dell’annegamento, che colpisce quando le vittime sono bambini. In Italia secondo la Società italiana di Pediatria (Sip) il tasso più elevato di mortalità per annegamento tra bambini e ragazzi si registra in due fasce d’età: tra il primo e il quarto anno di vita e nell’adolescenza tra i 15 e i 19 anni, come spiega a Fortune Italia il consigliere e tesoriere della Sip Rino Agostiniani.

Dottor Agostiniani, perché il rischio di annegamento è più marcato in queste due fasce d’età: 1-4 e 15-19?
Nei più piccoli perché non è ancora sviluppato il senso e la percezione del rischio e al contempo è molto spiccato il desiderio di esplorare l’ambiente. Cosa che rende i maschietti quattro volte più a rischio delle femmine. Per quanto riguarda gli adolescenti e i giovani adulti invece il discorso è diverso. La percezione e la consapevolezza del rischio normalmente è presente. Ma deve fare i conti con il desiderio di mettersi alla prova, che porta a una valutazione del rischio reale molto appannata

Quanti sono i decessi per annegamento registrati ogni anno in Italia ai danni dei più giovani?
I dati disponibili sono relativi al periodo pre-Covid. Annualmente muoiono per annegamento circa 10 bambini piccoli e circa 20 adolescenti.

Quali sono le circostanze che maggiormente sono teatro di questi eventi?
Anche in questo caso dobbiamo distinguere per fasce d’età. Gli incidenti che vedono protagonisti i più piccoli avvengono prevalentemente in acque interne. Che vuol dire piscine, ma anche semplici bacini di raccolta d’acqua come le fontane. Dobbiamo sfatare il mito per cui l’annegamento avviene solo in acqua profonda: per i bimbi bastano 10 centimetri d’acqua. E quando in un respiro l’aria viene sostituita dall’acqua la tragedia può consumarsi nell’arco di 20 secondi. I ragazzi invece sono a maggiore rischio in mare, dove non si tengono in considerazione adeguatamente le condizioni del luogo in cui si nuota o ci si tuffa.

Quali sono i tempi in cui si può verificare un annegamento? E quindi quanto tempestivo deve essere il soccorso?
Come dicevo prima un bambino piccolo può perdere conoscenza e la capacità di reagire in soli 20 secondi dall’aver incamerato acqua nei polmoni. E questo può avvenire anche in piscinette con pochi centimetri d’acqua. Per i più grandicelli invece la maggior parte del rischio e dei decessi è legato al mare, specialmente in relazione al tuffarsi in zone dove non si conosce bene la profondità. Spesso non si considera che l’impatto con l’acqua derivante da un tuffo può determinare anche degli shock che possono rendere difficile riuscire a tornare in superficie in tempo per respirare.
Ecco allora che nei primi anni di vita la morte per annegamento può sopraggiungere in soli tre-sei minuti. Poco di più nei ragazzi.

Ecco perché la prevenzione è fondamentale per evitare questo tipo di morti. Nel caso dei più piccoli ciò significa essenzialmente sorveglianza a vista e in modo continuo. Quindi senza parlare al telefono o guardare i social. L’idea dello sbracciamento di un bimbo che sta annegando esiste solo nei film. Nella realtà dopo un solo respiro d’acqua non è già più in grado di attirare l’attenzione.

Qualora si veda un bambino o un ragazzo in acqua in evidente difficoltà, quali sono le cose da fare per prestare un primo soccorso?
In entrambi i casi dobbiamo distinguere se la persona è cosciente o no. Nel primo caso bisogna cercare di tranquillizzarla e metterla in posizione seduta. Poi bisogna inviarlo a tossire per espellere l’acqua dai polmoni. In caso di persona che ha perso conoscenza chiamare subito i soccorsi e, qualora si abbia seguito qualsiasi corso di primo soccorso, mettere in atto quanto si ricorda. In primis, cercare di liberare le vie aeree se ostruite, ripristinare il battito cardiaco e la respirazione.

Qualora si riesca a rianimare il bambino o il ragazzo è sempre bene rivolgersi ai servizi di emergenza urgenza per ulteriori controlli, o passato il momento critico possiamo considerare risolta la situazione?
Dipende da come si presentava la situazione all’inizio. Se la ripresa è molto rapida non è necessario andare dal medico. Se invece c’è stata un’iniziale difficoltà nella ripresa della respirazione, consiglio sempre un controllo medico.

La Sip ha stilato anche un elenco di sei regole (si veda di seguito) utili a prevenire l’annegamento di bambini e ragazzi. Quale ritiene sia la più rilevante?
Al primo posto in assoluto ritengo si debba continuare a sensibilizzare i genitori sull’esistenza del rischio di annegamento e sulla necessità di sorveglianza, fatta come dicevo prima in modo vigile, continuo e attento. Poi è bene ricordare di recintare i bacini di raccolta d’acqua, anche se in luoghi remoti. Anche insegnare a nuotare sin dalla tenera età può contribuire a prevenire l’annegamento dei più piccoli.

Più in generale sarebbe buona norma allargare la conoscenza di base delle prestazioni di primo soccorso alla massima parte della popolazione. ‘Basic life support’, diciamo in gergo tecnico. Che significa appunto sapere come fare a liberare le vie aeree ripristinare la circolazione con un massaggio cardiaco e ripristinare la respirazione con il classico bocca-bocca. Procedure semplici che però possono fare la differenza e salvare vite.

Ecco le sei regole della Società italiana di Pediatria per la prevenzione degli annegamenti di bambini e adolescenti.

1) Non lasciare i bambini sia piccoli che grandi, da soli o affidati alle cure di un altro bambino mentre si trovano in vasche da bagno, piscine, terme, vicino a canali di irrigazione o altre acque stagnanti aperte. I seggiolini per il bagnetto o gli anelli di supporto non sostituiscono la supervisione di un adulto.

2) Garantire che un adulto supervisore con abilità natatorie si trovi ad una distanza di un braccio (supervisione tattile), non distratto o impegnato in altre attività come parlare al telefono, socializzare o occuparsi delle faccende domestiche. La supervisione deve essere stretta, costante e attenta.

3) Saper riconoscere immediatamente un bambino in difficoltà al fine di eseguire in sicurezza un soccorso.

4) Imparare le tecniche di sicurezza in acqua e insegnare ai bambini a nuotare, monitorando i progressi. Si ricorda ai genitori che acquisire la capacità del nuoto non esenta i bambini dal rischio di annegamento.

5) Prestare attenzione ai tuffi in acqua per il rischio di trauma; è importante conoscere la profondità dell’acqua e la posizione dei pericoli sottomarini prima di saltare o tuffarsi.

6) Attenzione a un corretto utilizzo di acquascivoli, sempre più diffusi.

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