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Sanità e liste d’attesa, la mappa delle criticità

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Regione che vai, emergenza che trovi: la sanità italiana fa ancora i conti con i ritardi accumulati negli anni della pandemia e il risultato è sotto gli occhi di tutti. Le liste d’attesa si allungano e prenotare una visita o un esame nel pubblico può diventare davvero molto complicato. In particolare in alcune Regioni: è il caso della Puglia e della Liguria, dove le attese arrivano a sfiorare l’anno in alcune Asl per determinati esami diagnostici, contro i massimo 30 previsti dalla legge.

La ‘fotografia’ emerge da una nuova analisi sulle liste d’attesa in sanità, condotta da Cittadinanzattiva in alcune Regioni. Si tratta di un tema caldo per i cittadini: l’organizzazione civica nelle scorse settimane ha avviato una campagna di mobilitazione permanente dal titolo “Urgenza sanità” e una petizione su Change.org per chiedere il superamento delle liste di attesa.

L’indagine

Il lavoro ha indagato sui tempi d’attesa in sanità per 6 diverse tipologie di visite specialistiche ed esami diagnostici (visita cardiologica, ginecologica, pneumologica, oncologica, ecografia addominale, mammografia) in 12 grandi Asl di quattro Regioni: Lazio (Asl Rm1, Asl Rm4, Asl Viterbo), Emilia Romagna (Ausl Bologna, Ausl Reggio Emilia, Ausl Parma), Liguria (AS Ligure 1, AS Ligure 3 e AS Ligure 5) e Puglia (Asl Bari, Asl Lecce, Asl Taranto).

Le strutture sono state scelte in base alla disponibilità ed aggiornamento dei dati presenti sulle piattaforme web (per Lazio, Emilia Romagna e Liguria i dati sono aggiornati alla prima settimana di luglio, per la Puglia invece al 21 aprile).

La Puglia

Quelli pugliesi sono “dati molto negativi in quanto al rispetto dei tempi di attesa previsti dal Piano nazionale di governo”, dice Cittadinanzattiva. Ad esempio nella Asl di Lecce nessuna visita pneumologica con priorità D è garantita entro i 30 giorni previsti; nell’Asl di Bari soltanto il 9,38% delle visite ginecologiche con priorità B e il 14,39% delle ecografie complete all’addome sempre con priorità B, sono garantite entro i 10 giorni previsti. La situazione migliora leggermente nell’Asl di Taranto, dove i tempi di attesa vengono rispettati almeno nel 33% dei casi, ma anche qui si possono registrare picchi negativi: per una visita pneumologica con priorità B per la quale i tempi vengono rispettati solo nel 20,83% dei casi.

La Liguria

Qui ci imbattiamo in “una serie di picchi negativi molto importanti registrati nelle diverse Asl prese in esame”: per una visita cardiologica con priorità D (entro 30 gg), nell’AS Ligure 1 Imperia si registrano tempi di attesa pari a 159 giorni; per una mammografia con priorità P (da svolgere entro 120 gg), nell’AS Ligure 5 Spezzino si arriva addirittura ad attendere 253 giorni; per un’ecografia addominale completa con priorità D (entro 60 gg), nell’AS Ligure 3 – Area metropolitana di Genova si registrano addirittura tempi di attesa pari a 270 giorni, quasi cinque volte superiori a quelli previsti dalla legge.

E ancora: nell’Asl Liguria 1 (Imperiese), per l’ecocolordoppler con priorità D si attendono 318 giorni rispetto ai 30 massimi previsti dalla legge, 301 i giorni di attesa per la colonscopia sempre priorità D; nell’ASL Liguria 5 (Spezzino), si registrano criticità per la colonscopia (tempi registrati di 242 giorni per prestazione con codice B, 350 giorni per la categoria D e 546 per la categoria P); nell’Asl Liguria 3 (area metropolitana Genova), si registrano criticità per la risonanza magnetica encefalo ( per il codice D, i tempi registrati sono di 221 giorni rispetto ai max 30 previsti), e la visita medicina fisica e riabilitativa (tempi di 209 giorni rispetto ai 60 previsti per le visite con codice D).

L’Emilia Romagna

La situazione in Emilia-Romagna è sicuramente migliore, anche se i dati qui disponibili sono soltanto aggregati e non distinti per codice di priorità, “il che – afferma Cittadinanzattiva – non permette di fare una analisi ben ponderata”.

Molte le situazioni positive riscontrabili nelle Asl prese in esame, ma anche qui si nota il picco negativo per la visita pneumologica nell’Ausl di Reggio Emilia, dove le tempistiche vengono rispettate solo nel 39% dei casi, o nella Ausl di Bologna dove i tempi di attesa per la visita cardiologica sono rispettati nel 57% dei casi. Altre criticità riscontrate: nell’Ausl Bologna il rispetto dei tempi di attesa per le prenotazioni di visita endocrinologica è garantito solo nel 13%; nell’Ausl Reggio Emilia per la visita diabetologica nel 57%; nell’Ausl Parma nel 42% per l’ecografia della mammella.

Il Lazio

Anche nel Lazio la situazione si presenta abbastanza positiva, ma si registrano alcune criticità: per un’ecografia addominale completa con priorità B (da eseguire entro 10 gg), nell’Asl Roma 4 i tempi di attesa sono rispettati solo nel 18,2% dei casi; per una visita cardiologica con priorità D (entro 60 gg), nell’Asl di Viterbo si registrano tempi di attesa rispettati nel 47,2% dei casi. Situazione migliore nell’Asl Roma 1, dove si registrano comunque criticità per la visita pneumologica e l’ecografia addominale completa, entrambe con priorità P (entro 120 gg), dove i tempi sono rispettati nel 61,6% e nel 58,6% dei casi.

E ancora: nell’Asl Roma 1, solo il 14,3% delle ecografie mammella monolaterale sono eseguite entro i tempi previsti (dato aggregato); nell’Asl Roma 4, si riscontrano criticità per le varie risonanze magnetiche, con tempi rispettati solo in percentuali comprese tra il 12 e il 33%; nell’Asl Viterbo problemi per la visita fisiatrica (16%), tac del capo con contrasto (14,3%) e senza contrasto (22,2%), oltre che per la tac addome completo senza MDC (25%).

In Campania il caso intramoenia

Cittadinanzattiva nelle scorse settimane ha avviato anche una istanza di accesso civico presso le Regioni per conoscere i dati relativi alle prestazioni della sanità erogate in regime pubblico e in intramoenia, e verificare gli eventuali provvedimenti messi in atto dalle amministrazioni laddove sia stato superato il limite previsto dal Piano nazionale di governo delle liste di attesa nel rapporto tra le due attività.

Particolarmente allarmante il quadro della Campania, dove la Regione segnala che il numero di prestazioni erogate nel canale pubblico è inferiore, per tutti gli esami e le visite monitorate, a quelle erogate in intramoenia, e questo vale presso tutte le Aziende ospedaliere.

Ecco alcuni dati particolarmente negativi nel 2022: all’Ospedale Cardarelli di Napoli sono state eseguite 1.255 visite ortopediche in intramoenia mentre nel pubblico 112; presso l’Ospedale dei Colli sempre a Napoli, nessun eco addome è stato somministrato nel pubblico, ne sono stati fatti 111 in intramoenia; presso l’Ospedale Moscati di Avellino, sono state somministrate 7 visite cardiologiche pubbliche e 979 in regime di intramoenia; al San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona a Salerno, effettuate 91 ecografie ostetriche nel canale pubblico e 329 in intramoenia.

L’uso distorto dell’intramoenia

“In alcune situazioni l’intramoenia, insieme al pronto soccorso, è diventata per paradosso la principale porta di accesso dei cittadini al Servizio Sanitario nazionale, rallentato da tempi di attesa troppo lunghi – commenta Anna Lisa Mandorino, Segretaria generale di Cittadinanzattiva – Siamo di fronte ad un uso distorto di quella che dovrebbe essere una possibilità di scelta per il cittadino, e non una necessità. Mentre le liste d’attesa rimangono una emergenza che va contrastata urgentemente per riaffermare il diritto dei cittadini alla salute pubblica. Come? Attraverso un investimento sulle risorse umane e tecniche e un conseguente ampliamento degli orari di apertura al pubblico degli ambulatori, nonché attraverso la messa in rete nei Cup delle agende di prenotazione di tutte le strutture sanitarie pubbliche e private convenzionate per favorire una migliore programmazione e trasparenza dei tempi di attesa”.

Mandorino suggerisce di bloccare “a livello regionale, le prestazioni in intramoenia laddove queste superino come numero quelle erogate nel canale pubblico, come previsto dallo stesso Piano Nazionale di Governo delle liste di attesa”.

Se i fondi (non spesi) ci sono

Se in sanità si sente spesso dire che la coperta è corta, “un terzo dei 500 milioni di euro messi a disposizione dal livello centrale per il recupero delle prestazioni non erogate a causa della pandemia, non sono stati impiegati dalle Regioni: si tratta di circa 165 milioni che rischiano di andare sprecati. Gli ultimi monitoraggi pubblici ci dicono che il Molise ha investito solo l’1,7% di quanto aveva a disposizione, circa 2,5 milioni; male anche la Sardegna (26%), la Sicilia (28%), la Calabria e la Provincia di Bolzano (29%)”, conclude Mandorino.

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