Social media alleati dell’aggiornamento dei medici (e della lotta alle fakenews)

medici e social media

Se una volta a far sollevare il sopracciglio a schiere di medici era il ‘dottor Google’, con l’avvento dei social media la pratica del ‘chiedi alla rete’ per problemi di salute (veri o presunti) di qualunque natura è decisamente sfuggita di mano. Al punto da diventare oggetto di studi sociologici e medici, soprattutto per capire quali sono i problemi di salute più ‘ricercati’ su Internet e attraverso quali canali viaggiano e si diffondono fake news e cattiva informazione.

Ma adattarsi al cambiamento e trasformare una criticità in una risorsa sono le chiavi del successo. Un esempio di questo viene dal fenomeno #MedEd. L’atteggiamento un tempo passivo e censorio dei professionisti della salute nei confronti del social media ha infatti lasciato il posto, anche se con una notevole latenza temporale, ad una controreazione costruttiva. Molti medici hanno infatti hanno cominciato ad utilizzare i social per fare educazione e divulgare notizie scientifiche.

Tante iniziative, sparse e non coordinate, ma sempre più numerose, hanno trovato una casa comune nell’hashtag #MedEd; solo su Twitter (oggi ‘X’) dal 2012 al 2022 si contavano circa 4,4 milioni di post sotto quest’egida e in crescita esponenziale (nel 2021 sono stati quasi 700 mila e nel 2022 quasi 1,18 milioni). Più di recente, accanto a questi ‘cinguettii’ slegati, in rete si stanno moltiplicando piattaforme e iniziative utilizzate da professionisti della salute, comunità medica e studenti per condividere esperienze, discutere e aggiornarsi su quanto di nuovo compare nell’orizzonte scientifico, dimostrando in pratica le enormi potenzialità educative dei social media nelle scienze mediche.

Ma di cosa hanno veramente bisogno i medici oggi? Il vero problema non è tanto trovare le informazioni (di quelle ce ne sono fin troppe), quanto selezionarne e farne una sintesi immediatamente fruibile per la pratica clinica. Molte di queste piattaforme offrono proprio questo tipo di servizi, condividendo ‘riassunti’ di ricerche scientifiche, take home message e discutendone le implicazioni pratiche. E le ricadute di tutto questo sono enormi, dall’aggiornamento scientifico, all’implementazione delle linee guida nella pratica clinica, oltre a rappresentare un baluardo contro le fake news originate dagli utilizzatori ‘laici’ della rete.

Un’analisi così su larga scala e dettagliata di quanto viene pubblicato sulle riviste scientifiche consente inoltre di ‘correggere’ e aprire un dibattito, in una sorta di processo globale di ‘peer review’, “incoraggiando una cultura di scrutinio critico e rigore scientifico”, scrivono John W. Ayers e colleghi della University of California San Diego in un articolo su JAMA che si è occupato del fenomeno.

I social media hanno messo il turbo alla velocità di reaction ad una pubblicazione scientifica, aprendo dibattiti su scala planetaria. Ma le ricadute di tutto questo non hanno ancora ricevuto adeguata considerazione proprio dal mondo della scienza.
Il fenomeno #MedEd si lega e dà corpo anche al dibattito sull’open-source dell’educazione medica, perché i social offrono un accesso diretto e immediato agli autori di una ricerca a milioni di utenti in tutto il mondo.

“Da questo punto di vista – commentano gli autori – #MedEd ha la potenzialità di democratizzare le conoscenze mediche”. E addirittura di diventare un mezzo per fare educazione medica continua, coinvolgendo nel dibattito anche tutti i medici sia sul territorio, che negli ospedali. #MedEd rappresenta dunque un potenziale meccanismo di empowerment della classe medica, sia sul fronte degli educatori, che dei discenti; e i medici, come è noto, dovrebbero essere ‘studenti a vita’, per rimanere sempre aggiornati.

Insomma, secondo gli autori del paper su JAMA è ora che la scienza presti più attenzione al fenomeno #MedEd, finora indagato solo da quattro studi indicizzati su PubMed nel periodo 2018-2022. Analizzare a fondo #MedEd, consentirebbe di sviluppare delle strategie di social medica per migliorare la pratica clinica e mitigare i rischi potenziali.

I social insomma non vanno ‘snobbati’ (o al più utilizzati come ‘metro’ di interesse di una pubblicazione scientifica attraverso lo strumento Altmetric), ma utilizzati come mezzo per migliorare l’offerta di salute e limitare disinformazione e impatto delle ‘bufale’ tra il pubblico.

Perché voltare le spalle alla filosofia #MedEd e dunque ai social, concludono gli autori, a questo punto portebbe più problemi che vantaggi. E dunque, è arrivato il momento di investire risorse in #MedEd, “facendo leva sulla crescita e su una rigorosa valutazione scientifica delle interazioni sui social media, per accomunare medicine di milioni di professionisti sanitari in tutto il mondo, nell’apprendimento e nell’insegnamento continui”.

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