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Public affairs, se l’Europa punta al mercato italiano

luigi ferrata
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Il settore del Public affairs italiano continua la sua evoluzione con società in costante crescita, investimenti da parte di fondi, nuove acquisizioni, fusioni e soprattutto espansioni sia all’interno che all’esterno del territorio italiano – solitamente meta Bruxelles – al fine di agevolare la gestione dei dossier europei.

Tuttavia questo processo di espansione non è unidirezionale. Infatti, se è vero che ormai le società italiane non possono esimersi dall’avere, sempre più, una dimensione europea, lo stesso si può dire delle società di consulenza europee che non possono trascurare il livello nazionale e, quindi, il mercato italiano. Ne abbiamo discusso con Luigi Ferrata, Managing Partner della sede italiana di Rud Pedersen Public Affairs, una delle maggiori società di consulenza europee nel settore Public affairs e comunicazione che può contare sedi in 18 Paesi dell’UE.

La vostra azienda è in rapida espansione e lo scorso marzo avete aperto una sede qui in Italia. Perché proprio ora?

Rud Pedersen è in una fase di grande espansione e solo nell’ultimo anno ha allargato la sua presenza all’Ucraina, Spagna, Repubblica Ceca. Un processo simile non può prescindere dall’Italia, in quanto il nostro è uno dei Paesi fondatori dell’Unione Europea, la terza economia del continente, la seconda industria manifatturiera d’Europa e un grande esportatore a livello mondiale. A questo aspetto prettamente economico, vanno aggiunte alcune considerazioni di carattere politico legate al ruolo dell’Italia all’interno del Parlamento, dove la nostra rappresentanza risulta essere una delle più numerose, della Commissione dove storicamente deteniamo portafogli di grande rilevanza e da ultimo del Consiglio dove il nostro Paese è una delle presenze più importanti. Inoltre, è da considerare il ruolo ricoperto da Bruxelles. La capitale belga si sta caratterizzando come punto di approdo di clienti internazionali che sempre più spesso preferiscono assumere una società di consulenza “one shop” che agisca come unico interlocutore sia a livello centrale che nei vari Paesi membri per le diverse attività di supporto. È per tale motivo, quindi, che si rende necessario garantire un presidio nelle principali capitali europee e quindi anche a Roma.

Quindi non si può prescindere dall’Italia, soprattutto in vista delle prossime elezioni.

Si certo. In questo periodo storico il nostro Paese, proprio in virtù della sua storia e delle sue dimensioni può giocare un ruolo importante su molti dossier difficili. Tuttavia, il nostro peso reale dipenderà in gran parte sia dalle scelte politiche che verranno prese nei prossimi mesi dai decisori istituzionali (vedasi PNRR) sia, soprattutto, dai nuovi parlamentari che rappresenteranno l’Italia e da chi entrerà a far parte della prossima Commissione.

A proposito di Europa, cosa vuol dire per un player abituato ad agire all’interno di sistemi regolamentati, approdare nel sistema italiano che invece è ancora alla ricerca di un quadro normativo sul settore?

In passato anche io ho fatto parte di gruppi di lavoro organizzati dai precedenti Governi e Parlamenti per arrivare a una regolamentazione dell’attività di lobby e ovviamente anche oggi, Rud Pedersen è pronta a collaborare e a mettere a disposizione del legislatore la sua esperienza internazionale. È, però, anche vero che regolamentare la lobby è un compito molto difficile perché ci sono numerosissime scappatoie che impediscono di individuare una legislazione completa ed esaustiva in grado di essere applicata a tutte le casistiche. È sufficiente guardare cosa è successo in Europa dove vi sono numerosi obblighi in capo al lobbista ma molti meno sui politici o su chi ha lasciato da poco la politica.

Si sta riferendo ai casi di interferenze estere attraverso parlamentari ed ex parlamentari?

Esattamente. Questo è un esempio ma ce ne sono tanti altri che dimostrano come ci siano talmente tante e tali casistiche che anche la miglior regolazione è imperfetta. In principio è bene che ci sia una regolazione, ma è molto molto più importante che un grandissimo ruolo sia lasciato alla società civile, ai ‘watchdogs’ e alla stampa che devono monitorare e vigilare, portando all’attenzione dell’opinione pubblica comportamenti dubbi o scorretti, senza con questo voler essere forcaioli e celebrare processi in piazza.

Dall’altro lato, però, abbiamo un problema di autorevolezza delle fonti. Questo controllo può essere sempre messo in dubbio dal problema delle fake news.

È vero, tutto può essere manipolato e le fake news sono un grande problema. Premesso che problemi complessi hanno risposte complesse e che si tratta di una battaglia molto lunga e molto difficile, a mio parere abbiamo due strade: quella di creare una coscienza critica nelle persone investendo nella formazione, sicuramente un processo non di breve periodo che, però, può portare dei risultati molto importanti; la seconda è rappresentata dall’utilizzo della tecnologia mediante l’uso di sistemi legati all’intelligenza artificiale che permettono di individuare più agevolmente le fake news. Agendo in questo modo, forse potremo gestire con maggior consapevolezza il problema.

Lei ha una lunga esperienza che l’ha vista ricoprire ruoli importanti in numerose aziende, anche internazionali, del settore. Cosa differenzia Rud Pedersen Public Affairs dalle altre società di consulenza?

Il mercato italiano si è evoluto in maniera estremamente positiva grazie alla presenza di società che offrono servizi di grande qualità in linea con le migliori practice a livello europeo. In questi ultimi mesi, stiamo anche assistendo a una fase di consolidamento con l’ingresso dei fondi di private equity. Fatte le dovute premesse del caso e un giusto plauso ai nostri competitor, ritengo che ci siano però alcuni aspetti distintivi nella nostra attività che ci contraddistinguono e ci caratterizzano: i) la nostra matrice europea. Secondo alcune analisi circa il 75% della normativa che viene adottata a livello nazionale viene dall’Unione europea. Rud Pedersen è una delle più importanti società a Bruxelles con un team di 80 persone e solida presenza nelle principali capitali europee. Il nostro obiettivo, oltre alla crescita nel mercato domestico, è di accorciare la distanza tra Roma e Bruxelles e di creare un ponte con le diverse capitali; ii) le competenze sui fondi europei, sempre più importanti nella nascita e crescita delle imprese. Grazie al nostro dipartimento di Funding e Partnership, puntiamo ad accompagnare le aziende nell’accesso ai fondi comunitari; iii) per ultimo, a completamento della nostra offerta, vi è un Senior Advisor Board di altissimo livello, all’interno del quale ci sono ex leader politici, Ambasciatori, Generali, Direttori e Capi di Gabinetto della Commissione e importanti manager aziendali, che può offrire un grandissimo supporto nella definizione di strategie e approcci tailor made.

Questo approccio come vi permette di inserirvi in un mercato molto particolare con piccole boutique iperspecializzate da un lato e grandi player dall’altra?

Innanzitutto, per quanto concerne la dimensione e visti gli sviluppi del mercato italiano, credo sia importante sottolineare che siamo una società controllata totalmente dai partner e non ci sono investitori esterni, fondi o aziende controllanti. A livello di servizi, invece, entriamo in questo mercato offrendo un ponte con Bruxelles. A differenza dei nostri competitor nazionali, che prima si sono strutturati in Italia e poi hanno aperto sedi in Europa, noi abbiamo effettuato il percorso inverso. Siamo europei per nostra stessa natura, il nostro è il bagaglio di una società presente in 17 Paesi membri dell’UE che ha strutturato un’offerta profondamente improntata su un approccio multilevel capace di rispondere a tutte le necessità delle aziende.

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