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Cure migliori e più sostenibili grazie ai dati, il caso del tumore del colon-retto

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Migliorare gli esiti dei trattamenti chirurgici per il tumore del colon-retto. Una sfida importante, per il Sistema Sanitario e per il paziente. Ma non si tratta di una “mission Impossible”. Modificare in positivo gli esiti a breve termine dell’intervento, passaggio chiave nella traiettoria di trattamento dei pazienti che scoprono questa neoplasia, si può, con un occhio alla sostenibilità e all’appropriatezza dei trattamenti.

Il tutto, offrendo ad ogni paziente ciò di cui ha bisogno e ottimizzando progressivamente le prestazioni delle diverse strutture che si mettono in gioco nel processo di Audit. Pare essere proprio questa la parola chiave per il futuro. In un percorso che passa attraverso la misurazione delle performance, la raccolta dei dati, la condivisione delle esperienze tra le diverse strutture. Per giungere ad un miglioramento comune e diffuso, con una crescita condivisa di prestazione e di valore, nell’ambito di una determinata area geografica.

Questa narrazione vi sembra fantascienza? Tranquilli, stiamo parlando di realtà. Una realtà che diventa “Best Practice” operativa e che consente di misurare i progressi dei team chirurgici e delle unità operative coinvolte. A tutto vantaggio del paziente. La prova viene da Roma, dove è in corso il Congresso Nazionale ACOI (Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani). Nell’ambito di un simposio sostenuto da J&J MedTech in occasione del 41 Congresso ACOI a Roma sono stati presentati i risultati dello studio ESCA (Emilia-Romagna Surgical Colorectal Cancer Audit), condotto in 7 ospedali della regione Emilia-Romagna, che ha coinvolto oltre il 90% dei pazienti sottoposti a intervento chirurgico per cancro del colon-retto nell’ambito di un’osservazione che è arrivata fino a 54 mesi.

Più di 3.000 sono i pazienti coinvolti, con consegna di feedback regolari ai centri, nell’ambito di un percorso di crescita che diventa davvero utile per gli operatori, per il Sistema, per i malati e le loro famiglie. “Lo studio è importante per il nostro Paese ed è nato sulla base dell’esempio di un progetto dei colleghi olandesi che per anni hanno misurato gli esiti della chirurgia oncologica colorettale con real-world data, per offrire poi dei feedback a tutti i centri sulla base di Key Performance Indicator”, racconta Giampaolo Ugolini, Direttore dell’Unità Operativa di Chirurgia Generale di Ravenna.

“Grazie a questo percorso – continua – si sono generati miglioramenti continui della qualità delle cure, con una riduzione della mortalità, una riduzione delle complicanze e un aumento dell’uso della laparoscopia. Nella nostra esperienza abbiamo arruolato più di 3.000 pazienti e abbiamo iniziato a dare dei feedback ai vari centri. I primi risultati ottenuti rispecchiano quanto osservato nei Paesi Bassi. Ma soprattutto, pur se si tratta solamente di resoconti preliminari, stiamo riscontrando un miglioramento progressivo di tutti gli outcome”.

Cosa accade? I chirurghi coinvolti raccolgono i dati. Un team di informatici, statistici ed epidemiologi dell’IRCCS Istituto Romagnolo per lo studio dei tumori (IRST) “Dino Amadori” aiuta i clinici ad analizzare i dati e a confrontare i dati clinici con i dati amministrativi.

“L’obiettivo dello studio è di avere un tasso di arruolamento dei pazienti che aspira al 100% dei casi – riprende Ugolini – Solo così si può fare un’attività di Audit & Feedback che ha una potenza incredibile nel generare un cambiamento e un miglioramento nella qualità delle cure e una riduzione dei costi. Dall’analisi dei dati è emerso che la chirurgia mininivasiva è nettamente migliore rispetto alla open, comporta un miglioramento degli outcome oncologici, una riduzione delle complicanze, della mortalità e dei costi. Un approccio che quindi è in grado di portare benefici non solo ai pazienti ma anche al Servizio Sanitario Nazionale. Se questa metodologia fosse applicata a tutti gli interventi di colon-retto svolti in Italia si potrebbero evitare più di 3000 decessi ogni anno e ridurre le complicanze fino al 50% dei casi”.

La ricerca, davvero interessante e potenzialmente espandibile in altre realtà, è stata condotta grazie al contributo non condizionante di Johnson & Johnson Medtech Italia.

“Siamo da sempre impegnati a fianco degli operatori sanitari e non per rendere disponibili strumenti e soluzioni per il trattamento chirurgico di patologie – commenta Maria Velleca, Health Economics & Market Access Director, presso J&J Medtech – L’approccio laparoscopico rappresenta il gold standard di trattamento per i pazienti ma è ancora oggi utilizzato in maniera non omogenea su tutto il territorio nazionale. Guardando alla chirurgia si può affermare che un approccio chirurgico è ottimale non solo quando ha un’efficacia dimostrata sugli outcome clinici del paziente ma anche quando questo approccio è associato alla raccolta di dati oggettivi, a misurazioni che siano utili a dimostrare efficacia ed efficienza del processo. Promuovere degli audit clinici che hanno la finalità di valutare attraverso la raccolta di dati affidabili, di misurazioni puntuali e di feedback sistematici se l’assistenza sanitaria sia conforme o meno agli standard di cura, è una priorità e una opportunità per costruire un sistema sanitario sempre più sostenibile”.

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