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Celiachia, la pillola magica che ancora non c’è

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“Sei fortunata, perché la cura della tua malattia è la dieta”. Tanti celiaci se lo sono sentito dire, ma sono pochi in realtà quelli che si sentono davvero fortunati. Specie se hanno provato il prima: quando mangiare pasta, pizza, pane non scatenava dolori, crampi, gonfiore o stipsi. Quando per di uscire con gli amici non si doveva verificare che il ristorante offrisse piatti gluten free o, meglio ancora, avesse la doppia cucina. Quando non si era costretti a dare lunghe spiegazioni prima di accettare un invito a cena. Quando ogni viaggio doveva essere attentamente pianificato. Inconvenienti superabili per un adulto, ma più pesanti per un adolescente. Ecco perché non stupisce il pullulare sui social – TikTok soprattutto – di sedicenti sperimentatori della pillola anti-glutine, un farmaco che sarebbe in grado di annientare gli effetti dannosi del glutine per i celiaci. Ma questo medicinale esiste davvero? E a che punto è la ricerca?

Per cercare di fare chiarezza ne abbiamo parlato con due esperti: Giovanni Cammarota, direttore dell’Unità operativa complessa di Gastroenterologia presso il Policlinico Gemelli di Roma e Alessandro Granito, professore associato all’Irccs azienda ospedaliera Sant’Orsola Malpighi di Bologna.

Cos’è il glutine

Basta andare al supermercato per accorgersi che il glutine – frazione proteica alcol-solubile di grano, orzo, farro e segale che innesca una risposta infiammatoria abnorme a livello dell’intestino tenue – si trova un po’ dappertutto. Pane, pasta, pizza, biscotti e snack dolci e salati, ma anche prodotti insospettabili come lenticchie, zuppe e yogurt possono contenerne tracce. Chi soffre di celiachia deve diventare abile nel leggere le etichette. Questo perché il glutine innesca una risposta immunitaria che genera un’infiammazione cronica in grado di danneggiare i tessuti dell’intestino e di portare alla scomparsa dei villi intestinali, importanti per l’assorbimento dei nutrienti. Un celiaco quindi, oltre al danno diretto, rischia la malnutrizione.

“La prevalenza della celiachia è aumentata negli ultimi anni – sottolinea Cammarota – Fino a poco tempo fa si pensava che questa malattia colpisse una persona su 100, ora le stime parlano di una su 70, con una prevalenza del sesso femminile. Nei decenni passati c’era una minor sensibilità da parte dei medici e dei pediatri, adesso le cose sono cambiate e la nuova legge approvata di recente all’unanimità dal Senato fissa l’avvio di un programma pluriennale di screening nella popolazione pediatrica su base nazionale per celiachia e diabete di tipo 1 già dal 2024. Una buona notizia, anche perché queste patologie sono spesso associate”.

La diagnosi

“È molto facile individuare la malattia: attraverso un’analisi del sangue si rileva la presenza di anticorpi specifici e molto sensibili. Certo, occorre anche una predisposizione genetica”, aggiunge il gastroenterologo del Gemelli. La positività degli anticorpi anti-transglutaminasi e anti-endomisio, unita a un test genetico positivo (presenza del DQ2 o del DQ8), consente già di fare una diagnosi di celiachia in età pediatrica. Nell’adulto è utile associare anche l’esecuzione della biopsia duodenale per valutare i danni che il glutine può aver creato nell’intestino (e per la certificazione). “Attenzione: da sola la genetica non è indicativa ma se i geni ‘chiave’ non ci sono la persona non può essere celiaca”, puntualizza l’esperto.

“I campanelli d’allarme della celiachia – prosegue Cammarota – sono la carenza di ferro, l’infertilità, la stomatite aftosa. Nell’uomo un segno importante è la carenza di smalto sui denti già in bambini o giovani. Altra caratteristica comune a entrambi i sessi è l’aumento delle transaminasi (2-3 volte la norma) senza causa apparente”. Ma di che numeri parliamo? La stima è di “600mila persone colpite in Italia”, a fronte di oltre 233.000 diagnosticati (secondo l’ultima Relazione annuale al Parlamento). La diagnosi può avvenire in età infantile, nell’adolescenza, dopo una gravidanza o comunque in età adulta. “In quest’ultimo caso spesso la celiachia è paucisintomatica, ma ci sono delle spie che possono insospettirci: la carenza cronica di ferro, una osteoporosi precoce. Fenomeni che non ti spieghi e che devono spingere a cercare la celiachia. Fra i sintomi oltre all’anemia citerei gonfiore, mal di pancia, pallore, magrezza o fastidio quando si mangia pane e pasta. Esistono anche delle forme cutanee rare, come la  dermatite erpetiforme, che possono indirizzare verso la celiachia”, continua Cammarota.

La pillola magica

“Ebbene, in caso di diagnosi occorre eliminare il glutine dal menù. Bisogna essere chiari: al momento non esiste una pillola che ‘spegne’ la celiachia. L’idea che si sta esplorando, e che è molto suggestiva, è quella di somministrare enzimi in grado di scindere il glutine rendendolo innocuo e consentendo anche al paziente celiaco di ingerirlo. Alcune linee di ricerca stanno studiando una sorta di vaccino capace di neutralizzare gli anticorpi anti-transglutaminasi prima che possano produrre il danno, con una specie di desensibilizzazione. Sono in corso delle sperimentazioni, ma al momento – ribadisce Cammarota – c’è solo la dieta priva di glutine, che va fatta senza terrorismo o inutili paure: le stoviglie e le pentole una volta lavate sono sicure”.

Le sperimentazioni in corso

Questi filoni di ricerca sono esplorati anche in Italia: all’Irccs Sant’Orsola Malpighi di Bologna si sperimentano due nuove molecole da affiancare alla dieta priva di glutine per tollerare meglio le possibili contaminazioni. Non sono però prodotti che permetteranno ai celiaci di mangiare alimenti con glutine impunemente. “Stiamo valutando l’efficacia di due terapie in pazienti che, nonostante una dieta senza glutine, continuano a lamentare dei disturbi. Un problema che può riguardare fino al 30% dei celiaci e che, nella maggioranza dei casi, è legato a micro-contaminazioni involontarie e accidentali”, spiega  il professor Alessandro Granito, dirigente medico dal Centro per la diagnosi e il follow-up della malattia celiaca dell’Irccs bolognese. “Questo significherebbe un miglioramento della qualità di vita, soprattutto in caso di pasti fuori casa e viaggi”.

Gli studi stanno esplorando diversi approcci per neutralizzare gli effetti del glutine. “Una via è quella di ridurre i peptidi immunogeni del glutine, in grado di attivare il sistema immunitario prima che possano raggiungere la mucosa dell’intestino e innescare la risposta immunitaria. Poi ci sono altre terapie che mirano a bloccare la risposta immunitaria stessa. Il farmaco che stiamo sperimentando anche noi al Sant’Orsola agisce sull’inibizione selettiva della transglutaminasi, l’enzima che determina la formazione dei peptidi tossici del glutine. Si tratta di un farmaco che viene assunto in compresse e ha già dimostrato la sua efficacia nella fase 1. Nella fase 2, che coinvolge attualmente i volontari seguiti dal Centro bolognese, dovremo stabilire la dose e il profilo di sicurezza del prodotto”.

Il secondo progetto di ricerca, che partirà a Bologna entro la fine del 2023, punta ad altri ‘bersagli’. “Questo farmaco è una glutenasi, un enzima che è in grado di degradare nello stomaco il glutine frammentandolo e impedendo la formazione di quei frammenti che, una volta giunti nell’intestino, innescano la reazione infiammatoria. Insomma agisce a monte della reazione stessa. Questi prodotti sperimentali al momento non ambiscono a sostituire la dieta senza glutine – puntualizza Granito – Possono partecipare a questi studi pazienti celiaci che non rispondono in maniera completa alla dieta”.

Se si dimostreranno sicuri ed efficaci, i nuovi farmaci potranno essere affiancati alla dieta per tollerare meglio le piccole tracce di glutine contenute negli alimenti o nei piatti mangiati al ristorante. Se tutto andrà bene però, l’arrivo di questi prodotti non segnerà l’addio alla dieta senza glutine. “Questo obiettivo è ancora lontano – dice Granito – Dobbiamo ricordare a questo proposito che l’unica terapia di comprovata efficacia è l’esclusione rigorosa e costante del glutine dalla dieta. Rispetto agli anni passati, l’offerta alimentare si è molto arricchita e sappiamo che la dieta ha un valore protettivo rispetto allo sviluppo di malattie associate alla celiachia e delle sue complicanze. Ma è importante che i pazienti siano bene informati: all’Irccs Sant’Orsola abbiamo creato un corso di educazione alimentare per i soggetti neo-diagnosticati, che così possono ricevere le indicazioni corrette per una dieta gluten free sana e bilanciata”.

“Insomma quella che è in vista a mio parere – conclude l’esperto – non è una rivoluzione per il mondo della celiachia, ma un’evoluzione: qualcosa che si affianca alla dieta per migliorare sicurezza alimentare e qualità di vita dei pazienti celiaci”. Non proprio una pillola magica, dunque, ma una specie di dispositivo di sicurezza in caso di contaminazione sospetta.

 

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