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Manovra e pensioni, il maxi-emendamento e le reazioni di medici e infermieri

contratto medici
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Non si placano le polemiche sulle pensioni dei medici, nonostante le aperture arrivate da esponenti dell’Esecutivo, sotto forma di un maxi-emendamento. La norma inserita in Manovra, ha detto nei giorni scorsi a Radio24 il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, “spinge i medici ad andare in pensione subito. C’è la possibilità di correggerla. Non ci saranno emendamenti, ma come Governo possiamo, in qualche modo e a saldi invariati, cercare di gestire questa situazione. Se c’è la necessità per correggere alcune cose, faremo un maxi-emendamento, come sempre accade se c’è qualche cosa da cambiare”.

Le richieste dei medici

Non si è fatta attendere la reazione dei ‘camici bianchi’, pronti allo sciopero contro la misura. “Apprezziamo l’apertura arrivata dal Governo sulle pensioni dei medici – ha sottolineato il presidente della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, Filippo Anelli – Valutiamo positivamente l’impegno per trovare una soluzione concreta a una questione complessa, tramite un maxi-emendamento che dia risposte reali ai professionisti in tema di diritti acquisiti. In assenza di queste risposte, lo sciopero è giusto e inevitabile”.

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Se la norma non sarà modificata “la conseguenza sarà l’abbandono del Servizio sanitario nazionale da parte dei medici ospedalieri, che il sindacato Anaao-Assomed stima essere almeno 6.000, che hanno maturato i requisiti per andare in pensione e che prevedevano invece di rimanere ancora per qualche anno. Questo, a sua volta avrà fortissime ricadute sulle liste d’attesa, che il Governo, al contrario, si propone di ridurre, proprio attraverso la Finanziaria”, ha detto Anelli.

La fuga degli infermieri

Non solo medici. Se la norma che modifica il rendimento della quota retributiva (precedente al 1996) delle pensioni liquidate dal 2024 non verrà rivista, l’Italia rischia di perdere già dal prossimo anno circa 13mila infermieri. La stima arriva da Fnopi, Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche.

La riforma, puntualizzano gli infermieri riduce le aliquote di rendimento dei contributi versati tra il 1981 e il 1995, colpendo il personale attualmente in servizio con una perdita stimabile tra il 5% e il 25% dell’assegno pensionistico annuale, da moltiplicare per l’aspettativa di vita media.  Con un invitabile “effetto fuga” da ospedali e territorio. Dunque anche Fnopi saluta con soddisfazione le parole  di Durigon.

Il caso liste d’attesa

In attesa del sospirato maxi-emendamento, la questione pensioni rischia di impattare su un altro fenomeno annoso: quello delle liste d’attesa. Ebbene, il 58,5% dei medici non è disponibile a lavorare di più per abbatterle. Almeno secondo un sondaggio lanciato dal sindacato dei medici Federazione Cimo-Fesmed. Il piano del Governo per ridurre i tempi d’attesa per l’accesso alle prestazioni sanitarie, previsto dalla Manovra, rischia dunque di essere un flop.

In particolare, il 29% dei medici dichiara di lavorare già molte ore oltre l’orario di lavoro e non intende sacrificare ulteriormente la propria vita privata; il 21,5% ritiene che non sia questa la soluzione al problema delle liste d’attesa; solo il 3,5% preferisce prolungare il proprio orario di lavoro lavorando in intramoenia o privatamente mentre il 4,6% ritiene insufficiente l’aumento delle tariffe previsto. D’altra parte il 18% lavorerà di più per abbattere le liste d’attesa perché sente il dovere di farlo mentre il 23,4% aderirà alla richiesta per arrotondare lo stipendio.

Guido Quici, presidente Cimo-Fesmed, non è affatto stupito dai risultati: “Ci troviamo dinanzi ad una situazione che ha del grottesco. Da un lato le Regioni non assumono il personale e risparmiano risorse ingenti, dall’altro si utilizzano milioni di euro per pagare cooperative e medici a gettone che non possono garantire la stessa continuità, qualità e sicurezza delle cure del personale dipendente. Infine, il Governo non solo colpisce i medici dipendenti con tagli inaccettabili ai loro assegni pensionistici, ma è chiaramente non intenzionato a superare il tetto alla spesa per il personale. Se veramente si vuole intervenire per ridurre le liste d’attesa occorrono interventi strutturali. Senza il superamento del tetto alla spesa per il personale, incentivi veri che rendano il Servizio sanitario nazionale nuovamente attrattivo e un piano straordinario di assunzioni, non si otterrà alcun risultato, se non quello di sprecare ogni anno 280 milioni di euro”. Soldi che, conclude Quici, potrebbero invece essere utilizzati per assumere medici e infermieri.

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