Maternità surrogata, l’analisi di Giorlandino

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La maternità surrogata, che ciclicamente torna a far parlare di sé, al di fuori ed al di sopra dei divieti politici, come nel nostro Paese, o delle condanne di alcune religioni, come la nostra, è un processo riproduttivo che priva la donna di quanto di più profondo dona la maternità.

Innanzitutto, va ricordato che esistono, fin dagli anni ’80, una serie di maternità surrogate che hanno, come comune denominatore il fatto che il bambino è geneticamente derivato dalla madre genetica (chiamata “intended parent”) ma non da colei che lo porta in grembo (chiamata “gestational carrier”).

Nel caso più frequente l’embrione viene creato utilizzando lo sperma del padre e un ovocita della madre che desiderano il figlio (“intended parents”). Oppure l’embrione viene creato utilizzando lo sperma del padre intended e un ovocita di donatrice estranea al processo. In terza ipotesi l’embrione viene creato utilizzando l’ovocita della madre “intended” e lo sperma di un donatore estraneo alla coppia.

Per ultimo si utilizza un embrione di una coppia completamente estranea al processo e si trasferisce nel grembo della “gestational carrier”. Quest’ultimo caso veramente è incomprensibile poiché non vi è nessuna differenza con una adozione.
Fatta tale necessaria premessa, se esaminiamo con razionalità il problema troveremo due tipi di donne che a tale metodica si rivolgono.

Le prime sono quelle che hanno difficoltà o impossibilità a portare avanti una gravidanza a causa di problemi medici o di fertilità, ad esempio per condizioni che rendono pericolosa o impossibile una gestazione oppure, più frequentemente, per essere state sottoposte a interventi chirurgici che hanno reso impossibile per loro portare avanti una gravidanza allo stesso modo di coloro che nascono senza l’utero. Tutte queste, però, come premesso, hanno ovaie in grado di produrre ovociti fecondabili che, una volta fecondati verranno trasferiti un una donna ricevente, la cosiddetta “gestational carrier”. Ovviamente, in questi casi, la maternità surrogata può rappresentare l’unica opzione per avere un figlio biologico.

Le seconde sono quelle che vogliono semplicemente preferire evitare i rischi e i disturbi associati alla gravidanza e al parto, ma desiderano comunque avere un figlio biologicamente legato a loro. La maternità surrogata offre loro la possibilità di realizzare questo desiderio senza doversi sottoporre personalmente a una gravidanza, aborrendo la complicazioni o i semplici gli effetti che questo stato può riservare sui loro corpi.

Perché, quindi, l’effetto di una maternità surrogata, per le donne, è comunque una “perdita” un fallimento, una sconfitta? Perché un figlio portato in grembo comunica profondamente con la madre e la madre con lui.

Con questo non voglio banalizzare o condannare la maternità surrogata, ma voglio affermare, con forza, che una donna, quando soprattutto vi si rivolge per semplice edonismo, per salvaguardare il suo corpo, alla fine non ci guadagna, ma ci perde. Perde quel rapporto intimo oramai perfettamente noto, che si chiama “limbic imprinting”.

Una connessione profonda e, un tempo misteriosa, che tutte le madri hanno da sempre sperimentato e che sentono esistere in modo indissolubile e profondo. E’ quel processo mediante il quale le esperienze prenatali, si imprimono sul sistema limbico, attraverso la madre e che la madre, da parte sua, vive e sperimenta come un primitivo senso di nutrizione, di accudimento, di legame indissolubile e profondo verso il suo prodotto di concepimento che le cresce e vive dentro di se scalciando ed adattandosi ai suoi bioritmi.

Il sistema limbico comprende le strutture del cervello che controllano le emozioni, i ricordi, la passionalità ma anche la commozione, l’eccitazione, la sensibilità, l’empatia dialogando ed imponendo il suo “punto di vista” ancestrale alla corteccia prefrontale adattando le sue scelte ed il comportamento che ne consegue. Questo importante meccanismo onto e filogenetico differisce tra l’uomo e la donna.

La natura ha fatto in modo che la donna, per essere madre, usa la porzione limbica evoluta più recentemente rispetto a quella maschile. Tutto serve a fare, della gravidanza, una esperienza, un processo infinitamente più profondo, ricco e incredibilmente più strutturante la personalità femminile che la semplice biologia placentare.

*Claudio Giorlandino, Direttore generale Italian College of Fetal Maternal Medicine

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