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Il mondo dei retreat continua ad evolversi nel segno dell’ospitalità di alta gamma

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Altro che semplice proxy, In certe lande ‘far, far away’ c’erano una volta gli antenati dei retreat contemporanei: avevano connotazione spirituale, allure sovente misticheggiante e ci si andava per ritrovare un qualche sé senza interagire col contesto. Più centripeti che centrifughi, promuovevano e promettevano soggiorni che ora impropriamente chiameremmo detox ma che in quei lontani albori si rivolgevano a nicchie di viaggiatori in cerca di altro oltre al mero staccare la spina.

La matrice eremitica s’è pian piano stemperata con la dimensione commerciale saldata in un mainstream alla riscoperta di micro-destinazioni: è stata così la volta di realtà esclusive, in un’accezione varia (e non eventuale) del termine. Hideaway, nestled, secluded, etc: le parole dicono molto – David Foster Wallace annuirebbe, con la sua ossessione per il ‘to pamper’ dell’universo crocieristico ha tracciato una scia – e queste tre contribuiscono a declinare la componente ‘remote’ nella ricerca dell’immersivo.

Naturalis, wellness resort in Salento.

In quegli anni ’90 e Duemila prevaleva tuttavia la prima, per la versione matura della seconda c’è voluto un altro po’. Quindi il boom delle ‘experience’ a tutti i costi, in tutti i luoghi, per tutti (o quasi). Ci hanno creduto in tanti – anche nell’extralberghiero, a partire da Airbnb – investendo parecchio ma la scommessa non è stata sempre vincente. Anzi: pensate come incursioni in vari tasselli del mosaico travel, le proposte “vivi-come-un-locale” hanno alimentato un mantra che ha finito per risuonare su uno sfondo di diversivi divertenti ma scarni di contenuto. E, soprattutto, di conoscenza: tanti assaggi che saziano più di quanto nutrano.

Le originali bioarchitetture di Laghi Nabi vicino a Castel Volturno.

Certe traiettorie del comparto travel hanno nel frattempo compiuto giri in tondo, tra flessioni e parecchi salti in avanti. Soprattutto negli ultimi due anni, spinte dal volano del turismo trasformativo (delle persone) e con le ambizioni – inevitabili, improrogabili – di quello rigenerativo (dei luoghi). La dimensione di evasione resta ma nei retreat pare adesso non fine a sé (soddisfatta com’è in altri modi e luoghi) mentre l’offerta ha incorporato elementi di conoscenza mirati e post-oleografici: meno nozioni, più storie di chi i posti li vive e li rappresenta.

Soltanto una fase? Evoluzione o rivoluzione? Insomma: merito di un marketing che interpreta, innesca e intercetta nuovi bisogni o c’è altro? Per Susanna Mensitieri, coordinatrice del Master Turismo e Territorio della Luiss School of Government, “trasformazione e rigenerazione si intrecciano nel nome dell’esperienza, fattore abilitante per entrambe, cercando originalità e autenticità. I retreat potrebbero qualificarsi come risposta non effimera ai trend di cambiamento di valori e aspirazioni di una parte crescente della domanda: un’occasione per valorizzare e conservare risorse irriproducibili di competitività distintiva. Una volta depauperate queste ultime, si è fuori mercato”.

Ogni tanto qualche fiammata punta al super-specifico: quiet (o listening) stays, sleep tourism, etc. Tutti ovviamente in inglese ché la trasversalità linguistica sottintende (e dunque suggerisce) universalità e naturalità. Torniamo all’autenticità, cardine dell’accoglienza di alta gamma. Enrico Ducrot – decano del tour operating e ideatore di EcoLuxury, fiera b2b specializzata (a novembre la settima edizione) – sottolinea quanto sia “fondamentale armonizzare gli standard di lusso con l’identità di un luogo.

Giorno per giorno ma con una visione ché quella con fornitori, operatori locali e altri elementi della filiera (e dell’indotto) non è solo un’alleanza operativa, si diventa ben presto ambasciatori delle eccellenze locali. Il cliente queste cose le riconosce e un po’ alla volta le apprezza, tornando e ritornando”. Per quanto ben inserita e porosa – se non addirittura emblematica, appunto, del territorio – la struttura resta in ogni caso una capsula-nido, no? “Non sempre, non più come una volta. Lo stacco si avverte, certo. Ma va orientato e bilanciato, per questo la governance è cruciale: senza un supporto serio e duraturo delle istituzioni, orientato a valorizzare e tutelare i contesti intorno, non si può pensare di demandare agli operatori la gestione dell’equilibrio e del dialogo tra struttura, ospiti e fruizione di quanto si trova subito oltre i confini del retreat”.

Dando un’occhiata al panorama nostrano ne emerge un quadro piuttosto frammentato e concentrato in buona parte nel centro-Italia, in certe aree montane nel Nordest, intorno ai laghi lombardi, in Puglia. Dieci nomi da segnare? In Umbria Eremito (nei verde non lontano da Orvieto), Reschio e La Dogana (entrambi dalle parti del Trasimeno), tra i tanti presenti sul suolo toscano Il Borro Relais & Châteaux mentre sul Tirreno laziale La Posta Vecchia. E poi il Sextantio in Abruzzo e nel Salento il bio resort Naturalis (a Martano). Risalendo oltre il Po, sul versante occidentale del lago d’Orta il Mandali, a un’ora da Riva del Garda il Lefay e infine il Seehof Nature Retreat vicino a Bressanone. A ognuno il suo. Naturalmente.

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