Neuralink e il chip nel cervello, i lati ancora oscuri della ricerca

Neuralink

Dalle parole ai fatti. Il progetto di Neuralink, che si inserisce nel filone del transumanesimo, fa un salto in avanti con il primo impianto di un chip wireless nel cervello di un essere umano che – come ha annunciato lo stesso Elon Musk su X – sta “riprendendosi bene”.

Ma quali sono gli obiettivi di questo ambizioso e un po’ inquietante programma di ricerca, che riporta alla mente tanti film di fantascienza, e come dobbiamo leggere l’annuncio del miliardario americano? A rispondere è Paolo Maria Rossini, direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’Irccs San Raffaele di Roma, che invita alla cautela.

“Non ci sono ancora evidenze scientifiche – sottolinea l’esperto – Ora è prematuro e fuorviante pensare di utilizzare questo tipo di approccio in casistiche estese e in patologie come i pazienti colpiti da stroke, Parkinson e addirittura da malattie psichiatriche”.

Neuralink, Elon Musk annuncia: primo impianto umano effettuato con successo

Musk ha annunciato l’impiato sulla sua piattaforma social, e già questo complica la ‘lettura’ del trial Neuralink. “Non è mai facile – riflette Rossini – commentare una notizia scientifica che non sia stata pubblicata su una rivista di settore, con tutte le informazioni e i dettagli del caso. L’annuncio dell’impianto cerebrale su di un essere umano è interessante, ma l’entusiasmo che ha suscitato è per ora poco motivato”.

I precedenti

Sfruttiamo poco il nostro cervello: nel mondo numerosi gruppi di ricerca – anche italiani – sono al lavoro su questo fronte. È il caso dell’ultima ricerca di Silvestro Micera sulla respirazione, utilizzata per controllare un terzo braccio robotico indossabile, come quelli di Octopus in Spiderman. Uno strumento in più, che in futuro potrà assisterci nella vita e nel lavoro.

Braccio robotico extra controllato col respiro, la ricerca italiana/VIDEO

Dal canto suo Neuralink aveva annunciato a maggio di aver ottenuto dalla Fda (Food and Drug Administration) l’autorizzazione ad avviare i test per impiantare il suo chip in un cervello umano.

Già numerosi tentativi “sono stati fatti con un approccio simile da un punto di vista teorico – ricorda Rossini – anche se, ovviamente, le tecnologie diventano sempre più avanzate in termini di miniaturizzazione del device e di autonomia delle batterie,  con impianti di microelettrodi su piastrine inserite chirurgicamente sulle aree motorie, visive e acustiche in varie tipologie di malati”.

Per il momento da Neuralink “sappiamo solo che il paziente si sta riprendendo bene dall’intervento – continua il neurologo – e che i contatti tra microelettrodi e neuroni sono funzionanti”.

Gli step

Le prossime giornate per l’uomo con un chip nel cervello e i ricercatori Usa saranno determinanti. Ma quali sono i potenziali beneficiari della ricerca? “Parliamo di pazienti completamente paralizzati, per i quali un device di questo tipo può rappresentare un ‘ponte’ verso il mondo circostante per accendere/spegnere un apparecchio, per comunicare, per spostarsi con una sedia a rotelle. Si dovrà dunque verificare quante volte il comando inviato dal paziente viene interpretato in modo corretto dall’apparecchio – continua il neurologo – e viene quindi eseguito con efficacia. E quanti errori e di quale portata (anche in termini di rischio)” vengono fatte dalla ‘cavia umana’.

L’analisi di Silvestro Micera

A guardare con attenzione il lavoro è Silvestro Micera, professore di Bioelettronica e Ingegneria neurale presso l’EPFL di Losanna e la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. “Esiste già dal 2006 – dice a Fortune Italia lo scienziato – una tradizione scientifica di impianti intracorticali per leggere il pensiero, dunque non è un’idea completamente folle. Inoltre la tecnologia impiantata da Elon Musk è molto innovativa perchè meno invasiva potenzialmente e con un numero di elettrodi molto superiore rispetto allo standard. Inoltre Neuralink ha avuto autorizzazione all’impianto nei pazienti dalla Fda, dunque è qualcosa di solido e scientificamente promettente. Quanto promettente – conclude Micera – sarà il tempo a dirlo, sulla base dei risultati che avranno con il primo paziente”.

Tante domande

Si dovrà anche verificare la durata del sistema nel tempo, continua Rossini, “perché attorno alla punta degli elettrodi si crea una reazione fibrosa che ne diminuisce l’efficacia. Occorrerà inoltre valutare il rischio di interferenze con le onde elettromagnetiche emesse da comuni apparecchiature che riempiono oggi l’ambiente di una casa normale. E si dovrà verificare se la presenza di microelettrodi inseriti nella corteccia cerebrale induca una irritazione dei neuroni”, con un eventuale aumento del rischio di epilessia.

Tra speranza e realtà

Insomma: siamo all’inizio di un cammino che potrebbe portare l’uomo a superare i propri limiti grazie alla tecnologia. Dando origine a una nuova generazione di esseri umani equipaggiati da arti bionici, chip e sensori. Ma, appunto, siamo solo all’inizio.

“Pensare già di utilizzare questo tipo di approccio in casistiche estese e in patologie di grandi numeri come i pazienti colpiti da ictus, Parkinson e addirittura da malattie psichiatriche è non solo molto prematuro, ma fuorviante perché induce speranze del tutto immotivate in malati e famiglie già troppo provati dalle loro condizioni – avverte il neurologo – La speranza per ora si focalizza in una nicchia di soggetti totalmente privati della capacità di movimenti”, con Sla in fase molto avanzata, lesioni del midollo cervicale alto o polineuropatie acute, “in cui un intervento di tipo invasivo con apertura della teca cranica è giustificato anche sul piano etico”.

La sfida

Sarà poi “molto, molto complicato – avverte Rossini – utilizzare i segnali derivati da un cervello malato per fargli poi compiere delle azioni e prendere delle decisioni come se fosse un cervello sano”. Inoltre le informazioni derivanti da pochi punti della mente umana potranno riuscire a produrre ordini complessi, che normalmente coinvolgono tante aree cerebrali? “Un salto teorico – conclude lo scienziato italiano – sulla cui possibilità ci sono ancora pochissime prove”. Le risposte del trial targato Neuralink potranno rivelarsi preziose. (Credits foto: Shutterstock).

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