Riscaldamento globale, alle radici del negazionismo

riscaldamento globale

A leggere le cifre e le statistiche, i dati appaiono eclatanti nella loro significatività. Esiste una curva che si rinnova costantemente e spiega, a suon di numeri, quanto e come il fenomeno del riscaldamento globale sia una realtà. In mezzo a questo percorso si affollano dimostrazioni pratiche e ben visibili, dalla semplice lettura delle temperature in una determinata area e in periodi dell’anno ben definite nei decenni, con innalzamento della temperatura media, fino alle immagini di ghiacciai che lasciano spazio a desolanti piane e rocce grigiastre.

Eppure… ci sono persone, e non sono poche, che anche di fronte ai dati alzano le spalle. Che non entrano per percorso razionale dei dati, ma si limitano sostanzialmente a considerare il “global warming” come una fase temporanea. Capire cosa ci può essere dietro questo atteggiamento non è certo semplice. E soprattutto, andare a intravvedere i meccanismi psicologici che possono spiegare questa sorta di negazionismo diventa complesso.

Ma ora arriva un’analisi che in qualche modo prova a svelare cosa accade nella mente di chi non accetta il riscaldamento climatico. E, soprattutto, non se ne ritiene in alcun modo corresponsabile, sia pure se in minima parte, con le sue scelte e soprattutto con i suoi comportamenti.

La chiave di comprensione del negazionismo climatico, che porta ad autogiustificarsi, e quindi anche ad autoingannarsi, sembra risiedere (anche) in quello che gli esperti definisco “ragionamento motivato”.

A spiegare di cosa si tratta e a chiarire con un’indagine online su 4.000 persone adulte cosa scatta nella testa di chi non percepisce quanto avviene e, soprattutto, non vede la propria (seppur infinitesimale) potenziale responsabilità, è uno studio apparso su Nature Climate Change.

La ricerca è stata condotta da un team di studiosi dell’Università di Bonn e dell’Institute of Labour Economics (IZA). Ma cosa accade? E come mai ci sono persone che minimizzano il ruolo delle attività antropiche nei mutamenti climatici?

Il “ragionamento motivato”, come spiegano gli scienziati, nascerebbe quasi da un bisogno e da un auspicio: visto che si pensa che il futuro non sarà così cupo come viene dipinto, diventa molto più facile accettare le proprie azioni. E così? Si trovano sotterfugi psicologici che chiariscono come l’impatto di ognuno sulla problematica sia minimo.

Pensate solamente ai trasferimenti in aereo per vacanza, che magari si ripetono spesso. E a quante soluzioni si potrebbero trovare per “conservare” la nostra immagine positiva. Ad esempio, ci si può dire che intanto il velivolo viaggia lo stesso, sia che noi ci siamo, sia che non saliamo. Oppure che un volo in più o in meno non cambia la situazione in termini di clima… Insomma, le vie per trovarsi d’accordo con sé stessi, magari partendo da un punto di riferimento errato, ci sono. O si possono trovare.

In qualche modo, insomma, troviamo sempre la maniera di dare ragione a noi stessi. E lo studio lo dimostra. Partendo da una donazione del valore di 20 dollari. I partecipanti sono stati assegnati a random ai due gruppi. Nel primo si sono divisi 20 dollari tra due organizzazioni, impegnate nella lotta al cambiamento climatico. Nel secondo, si è lasciata la libertà di decidere se tenere i soldi o donarli.

Risultato? Quasi la metà dei partecipanti al secondo gruppo ha deciso di tenersi il denaro. Vista la casualità nel reclutamento delle persone, viene da pensare che le idee non corrette e il negazionismo nascano sostanzialmente da “una variante del ragionamento motivato, in particolare dal fatto che negare l’esistenza del riscaldamento globale provocato dall’uomo faccia parte dell’identità politica di alcuni gruppi di persone”, come spiegano gli autori.

Insomma, non riconoscere il riscaldamento globale potrebbe diventare una chiave distintiva. Che va oltre la scienza. Oltre le esperienze dei ricercatori. Per sfociare nel negazionismo.

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