Aggressioni ai medici: numeri da escalation (ma poche denunce)

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Due aggressioni a Napoli nel giro di poche ore, tra Cto e Villa Betania: a segnalarle è Nessuno tocchi Ippocrate, che ha censito 22 episodi di violenza agli operatori sanitari in città dall’inizio dell’anno. Di vera e propria escalation parla l’ultima indagine diffusa da Anaao Assomed su un campione rappresentativo di professionisti: l’81% dei medici che hanno risposto riferisce di essere stato vittima di aggressioni fisiche o verbali. 

Di questi, ben il 23% segnala aggressioni fisiche, il 77% verbali, mentre il 75% ha assistito personalmente ad aggressioni ai colleghi. Dati preoccupanti, ancor di più alla luce del fatto che ben il 69% dei sanitari non denuncia l’aggressore. Sfiducia, paura, rassegnazione: sia come sia, appare chiaro che i tanti, troppi episodi che arrivano sulla stampa rappresentano solo la punta di un iceberg. Ma cerchiamo di capire meglio – alla vigilia della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e sociosanitari – cosa scatena questi episodi. E perchè sono collegati all’organizzazione del Ssn.

I reparti più colpiti

Iniziamo col dire che i medici di tutte le discipline hanno risposto al sondaggio. Ma ben il 13% dei responders lavora in Psichiatria e l’11% in Pronto Soccorso/Medicina d’emergenza-urgenza. Pronto Soccorso e Psichiatria sono infatti i reparti dove si registra il maggior numero di aggressioni da parte dei pazienti e dei loro parenti.

Pazienti e parenti

In effetti le aggressioni sono compiute dal paziente solo nella metà dei casi (51,3%), mentre i parenti sono responsabili del 42,3% degli eventi, soprattutto in Pronto Soccorso. Nei reparti di psichiatria è il paziente ad aggredire, in condizioni di acuzie psicopatologica, quando non è ancora compensato dalla terapia farmacologica, o di una condizione di intossicazione da sostanze. Negli ultimi anni le diagnosi psichiatriche sono significativamente aumentate mentre in parallelo i medici psichiatri sono diminuiti e sono stati chiusi servizi territoriali, con gravi carenze in tutte le regioni e frequenti dimissioni spontanee dei colleghi.

Le mancate denunce

Come abbiamo visto, il 69% dei sanitari non denuncia l’aggressore. Un comportamento indicativo di “una diffusa sfiducia, per esempio che l’azione legale possa alla fine condurre a concreti risultati. Ma soprattutto, gli aggrediti si arrendono per il carico emotivo e di tempo di una denuncia, che li esporrebbe a spese legali, udienze in tribunale magari ulteriori minacce da parte dell’aggressore”, sottolineano dall’Anaao Assomed.

Quasi tutte le aggressioni denunciate, hanno richiesto l’intervento delle forze dell’Ordine, attivate nel 26% dei casi. Quindi solo nei casi più gravi, che poi evolvono in un esposto all’autorità giudiziaria. Il 73% dei sanitari gestisce da solo o con l’aiuto di colleghi, le violenze verbali o fisiche. Inoltre il 29% degli intervistati è a conoscenza di casi di aggressione da cui è scaturita l’invalidità permanente o il decesso della vittima.

All’origine delle aggressioni

Ma quali sono le cause di tutta questa violenza? Il 31,4% degli operatori intervistati individua il definanziamento del Ssn come motivazione principale, che espone il medico perché spesso ritenuto come diretto responsabile del razionamento delle prestazioni erogate. Il 16,7% punta il dito sulle carenze organizzative e il 6.7% sulla mancanza di comunicazione. Il 35,5% invece attribuisce le aggressioni a fattori socio-culturali, di deprivazione sociale o di svilimento del ruolo del medico.

“È inutile trovare scuse: bisogna finanziare il Ssn – commenta il segretario nazionale Anaao Assomed, Pierino Di Silverio – I tre miliardi in più sul Fsn dell’ultima legge di bilancio non bastano assolutamente. Non bastano a potenziare i servizi di psichiatria, ad aumentare i posti letto per acuti e cronici, a riorganizzare il territorio, ad assumere. Perché certamente è necessario aumentare gli organici. Infine, è necessario che i medici siano protetti, soprattutto nei Pronto Soccorso più a rischio, da personale addetto alla sicurezza. Ma è paradossale – conclude non senza amarezza – che i medici debbano difendersi da coloro di cui si prendono cura”.

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