L’acqua, da risorsa per tutti a lusso per pochi

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Tre miliardi di persone senz’acqua potabile entro il 2050: uno studio realizzato da un team di ricercatori tedeschi e olandesi, appena pubblicato su Nature Communications, ha evidenziato come, fra meno di trent’anni, aprire il rubinetto per lavarsi, bere e cucinare non sarà così scontato.

“La vita sulla Terra si è sviluppata grazie all’acqua, elemento che costituisce il 70% del corpo umano e la cui sicurezza rimane il fondamento per costruire quel mondo sostenibile al quale tutti aspiriamo”, dice Alessandro Miani, presidente Sima (Società italiana di medicina ambientale) ed EHRO (Environmental Health Research Organization). “Per questo già nel 2018 Sima aveva promosso il progetto triennale ‘Safe Water’ che, oltre alle attività di ricerca e sensibilizzazione sulle buone pratiche relative alla tutela del patrimonio idrico, ha valorizzato la mission del Water Day, la Giornata mondiale dell’acqua, che si celebra ogni anno il 22 marzo”.

C’è ancora molto da fare per preservare la principale risorsa del pianeta azzurro, soprattutto con l’avvento di estati sempre più siccitose e l’aumento dei consumi idrici, cresciuti di oltre il 600% in un secolo. Eppure, nonostante il 29% delle famiglie non si fidi dell’acqua fornita dagli acquedotti comunali (dato Istat), “quella italiana, che per quasi l’85% deriva da falde sotterranee, è un’acqua ottima ed è fra le più controllate in Europa”, assicura Luigi Falciola, professore ordinario di Chimica analitica presso il Dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi di Milano, vice presidente e responsabile del Dipartimento qualità dell’acqua di Sima.

“L’acqua potabile ha una sua naturale carica microbica ma, tramite analisi più sofisticate, nel tempo sono state individuate nuove categorie di contaminanti: come i PFAS, composti di sintesi utilizzati per rendere resistenti ai grassi e all’acqua carta, tessuti, contenitori per alimenti e per la produzione di detergenti per la casa, e i PFOA, presenti per esempio nei tegami antiaderenti, che possono causare danni a fegato e tiroide, obesità, problemi di fertilità e cancro, perché le micro e le nanoparticelle di plastica migrano nelle cellule e veicolano sostanze tossiche nell’organismo. Ci sono poi altri inquinanti costituiti da metaboliti, residui di farmaci e sostanze di abuso presenti nelle deiezioni umane, molecole contenute nei cosmetici, ma anche l’olio esausto usato in cucina: un litro versato nello scarico inquina un milione di litri d’acqua”, avverte Falciola.

In passato “l’acqua ha aiutato l’uomo a prevenire le malattie”, ricorda Marcella Trombetta, preside della Facoltà Dipartimentale di Scienze e Tecnologie per lo Sviluppo sostenibile e One Health dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. “Nel 1846 il medico ungherese Ignác Fülöp Semmelweis intuì che il semplice lavaggio delle mani da parte degli operatori sanitari avrebbe evitato la contaminazione batterica e salvato le donne dalla sepsi puerperale, che nelle cliniche ostetriche aveva allora un’incidenza vicina al 50%”.

Non a caso l’igiene delle mani è uno dei principali metodi di prevenzione raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità – sciacquarle almeno dieci volte al giorno con l’aggiunta di un detergente neutralizza oltre il 55% delle infezioni – ma non si può dimenticare che l’acqua presente nell’ambiente in cui si vive non è esente da rischi: la nuova sfida per la salute pubblica è rappresentata dall’antimicrobico resistenza, il fenomeno biologico di adattamento di alcuni microrganismi che diventano capaci di sopravvivere in presenza di una concentrazione di un agente antibatterico – per esempio un antibiotico – di cui l’acqua è uno dei principali vettori”.  

“I CDC, Centers for Disease Control and Prevention (Usa) nel 2019 hanno stimato come ogni anno negli Stati Uniti si verifichino oltre 2,8 milioni d’infezioni da resistenza antimicrobica, che provocano circa 35.000 decessi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha previsto che la resistenza antimicrobica causerà 10 milioni di vittime all’anno entro il 2050, mettendo a repentaglio l’efficienza del tesoro che gli antibiotici rappresentano per la salute umana, oltre a un secolo di progresso medico”, illustra Marcella Trombetta, che è anche componente del Comitato tecnico – scientifico dell’Intergruppo Parlamentare One Health della Camera dei Deputati.

E proprio in un’ottica di filiera, che inserisce la risorsa idrica in una visione più ampia in cui tutti i nostri ecosistemi sono strettamente interconnessi fra di loro, nel 2021 l’Oms, avallata dalla Banca Mondiale, ha definito le Linee guida del One Health Approach, che riguarda la salute umana, animale e ambientale: “Per questo è essenziale un controllo globale delle acque, a cominciare da quelle marine, che contengono circa il 28% dei geni di resistenza antimicrobica portati dal deflusso costiero. Ci sono attività antropiche, come la zootecnia o l’itticoltura, che contribuiscono a riversare in mare gli antibiotici somministrati agli animali anche tramite il cibo. È caso del pangasio vietnamita o dei salmonidi marini cileni: si calcola che nel 2016 l’allevamento di questi pesci abbia scaricato nell’oceano 363,5 tonnellate di antibiotici”.

Vanno inoltre considerati “gli antibiotici massicciamente utilizzati dall’uomo, in particolare tetracicline e macrolidi, che finiscono nell’acqua attraverso gli scarichi, le sostanze mutagene, teratogene e radioattive provenienti dagli ambienti clinici, umani e veterinari, oltre agli inquinamenti dispersi nell’acqua e nell’aria dall’industria farmaceutica”, fa notare Trombetta. Uno studio pubblicato su Lancet nel 2022 ha stimato che nel 2019 a livello globale si sono verificati 13,7 milioni di decessi per infezioni, dei quali 7,7 milioni associati a 33 specie batteriche sensibili e/o resistenti agli antibiotici: più della metà di queste morti sono state causate da cinque batteri patogeni – Staphylococcus aureus, Escherichia coli, Streptococcus pneumoniae, Klebsiella pneumoniae e Pseudomonas aeruginosa – e, in particolare, lo Staphylococcus aureus è stato ritenuto responsabile di più di un milione di decessi. Nessuna regione del pianeta è fuori pericolo, anche se “ci sono aree più colpite di altre dai fenomeni di cross contaminazione delle acqua, che riguardano soprattutto i Paesi del Terzo Mondo e in particolare l’Africa, dove è ancora molto difficile diffondere la cultura della disinfezione idrica tramite clorazione”, fa notare l’esperta.

I moderni sistemi di depurazione degli impianti civili, in realtà, eliminano il residuo organico, ma non tutto il resto. Per questo serve un surplus di controllo, da parte di tutti: “Il decreto legislativo n. 18/2023 obbliga gli amministratori di condominio oppure i responsabili del sistema idro-potabile a richiedere periodicamente l’analisi della potabilità e salubrità delle acque che, dal point of entry collegato all’acquedotto municipale, arrivano nei singoli appartamenti”, spiega Luigi Falciola, che è anche fondatore del gruppo di ricerca Elan (Chimica ELettroANalitica). Gli apparecchi per la depurazione domestica, da posizionare in corrispondenza del lavello (il cosiddetto “point of use”) possono essere d’aiuto, “ma solo a patto che sia eseguita la regolare manutenzione. Sono utili anche le caraffe filtranti, che tolgono il calcare e migliorano il sapore, ma anche in questo caso la sostituzione dei filtri è fondamentale”.

Sul fronte degli sprechi, dove l’Italia continua a detenere il primato della peggiore performance Ue, l’ultimo rapporto Istat, relativo al periodo 2020-2022, attesta che il consumo medio di acqua pro-capite è sceso a 215 litri al giorno (contro i 220 del triennio 2017-2019), sempre troppi rispetto ai 165 della media europea.

È poi lievemente migliorato il problema delle perdite sulla rete idrica, ora pari al 42,2% (era il 47,9% nell’ultimo triennio di riferimento), ma si sale sopra il 70% nelle regioni del Centro-Sud, dove peraltro il climate change produce più danni durante la stagione calda: andando avanti di questo passo, secondo una ricerca del World Resources Institute, nel 2040 l’Italia dovrà quasi sicuramente affrontare una situazione di serio stress idrico. Una buona notizia è invece che 7 italiani su 10 dichiarano di fare attenzione a non sprecare acqua, mettendo in atto le regole descritte nel decalogo Family Water redatto da SIMA. Si può cominciare subito.

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