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Giulio Terzi di Sant’Agata: Africa come opportunità, vi spiego il Piano Mattei

Lo scorso 19 aprile, nella cornice di Bergamo Next Level 2024, alla presenza di autorità italiane e straniere e di fronte a una platea numerosa, ho cercato di spiegare perché l’Africa è il continente del futuro e soprattutto perché l’Italia, con la sua posizione geografica privilegiata, con la sua storia, le sue imprese, la sua attitudine versatile, può realmente instaurare un dialogo con i Paesi africani e dare vita a una cooperazione guidata da princìpi come il rispetto, l’integrazione e l’umanità.

Quando si parla di Africa i toni sono spesso drammatici, si racconta una terra afflitta da fame, corruzione, guerre civili, migrazioni. Non solo, l’Occidente da troppo tempo è afflitto da pietas nei confronti del continente e divorato da sensi di colpa. Per decenni, ci siamo limitati a vedere l’Africa come una terra bisognosa e a promuovere un modello fondato su aiuti umanitari. Possibile essere stati così miopi?

Da queste premesse ho iniziato a illustrare cos’è il Piano Mattei, il piano del Governo Meloni per l’Africa. Innanzitutto, una scelta di coraggio e una risposta ambiziosa a quella narrazione pauperistica e catastrofista privilegiata da molti media. Servono pochi elementi per comprendere il potenziale africano. È il continente più diversificato del pianeta, un’esplosione di etnie e lingue diverse, e anche il più giovane, con più della metà della popolazione under 25.

In un’Europa dove la denatalità avanza, l’Africa cresce più di ogni altra parte del globo, nel 2050 conterà 2,3 miliardi di abitanti. È il nuovo baricentro demografico globale, un capitale umano immenso impossibile da ignorare. Per non parlare della ricchezza della sua terra: l’Africa detiene il 30% delle risorse minerarie del mondo, più della metà delle terre coltivabili, il 60% dell’energia solare potenziale.

La Cnn da anni dedica uno spazio settimanale al racconto dell’Africa, della sua economia di imprese e startup e della sua vitalità culturale e artistica. Velleità giornalistica o lungimiranza? Il mondo dell’informazione italiana ancora stenta a descrivere il continente tenendo conto delle sue molteplici e affascinanti diversità. Mi piace pensare che il Piano Mattei possa esser visto come un forte impulso a capire, conoscere, afferrare i tanti e diversi mondi dell’Africa di oggi e di domani.

Il Piano è un cambio di paradigma nel nome di una cooperazione tra uguali. L’Africa non ha bisogno di carità ma della nostra presenza, di investimenti trasparenti, di misure che mirino alla stabilità economica e politica. Il messaggio italiano è stato ben compreso, come ha affermato il presidente dell’Unione africana Assoumani, l’Africa è pronta a instaurare una “franca e sincera” collaborazione. L’ampia presenza al vertice ItaliAfrica – summit di lancio del Piano Mattei a cui hanno partecipato ben 46 delegazioni africane, con 23 capi di Stati e di Governo oltre ai principali responsabili delle istituzioni europee e multilaterali – ne è stata la dimostrazione.

Per decenni l’Italia e l’Europa hanno dato l’impressione di trascurare l’Africa senza mai aprire dialoghi costruttivi. Abbiamo lasciato che il nostro vicino fosse preda di mire espansionistiche di altri player, certo non interessati al rispetto dei diritti dei lavoratori, alla legalità e al non uso della forza, come Cina e Russia. Pechino e Mosca stanno portando avanti una strategia che in passato, attribuita ad altri, veniva definita “colonizzazione”, attuata con mezzi diversi: investimenti e finanziamenti la prima, infiltrazione e presenza militare la seconda. La Cina ha costruito un terzo della rete elettrica e delle infrastrutture africane. I suoi investimenti sono dei veri e propri fardelli per i Paesi beneficiari che, non essendo in grado di ripagare il debito, sono obbligati grazie a clausole contrattuali ad hoc a consegnare al controllo cinese le opere pubbliche. La Russia, poi, ufficialmente descrive la sua politica estera in Africa come un piano di assistenza al continente, si pone come mediatore nella risoluzione delle dispute ma la realtà è ben diversa: offre supporto militare e politico ai Governi africani, fornendo loro armi e addestrando milizie, e ottiene in cambio contratti lucrativi in energia o industrie estrattive.

In questo scenario l’Italia con il Piano Mattei presenta un’alternativa seria e, soprattutto, promuove un modello imperniato sulla democrazia e sul rispetto della legalità e dello Stato di diritto. Sviluppare il potenziale locale dei Paesi africani e non, invece, renderli schiavi di multinazionali o depredarli delle risorse; sviluppare piani di investimenti a lungo termine e non istigare la corruzione; diffondere conoscenza e tecnologie e non semplicemente sfruttare la manodopera custodendo il know-how. Queste le linee guida italiane.

Come ha sottolineato il presidente Mattarella durante la recente visita di Stato in Ghana, il Piano Mattei è “una collaborazione secondo le indicazioni e le esigenze definite dai Paesi del continente”. Dall’Algeria al Mozambico, nove i Paesi ‘pilota’ africani prioritariamente coinvolti nei progetti del Piano. Progetti che vanno dallo sviluppo di energie rinnovabili a quello delle filiere agroalimentari, dall’istruzione e formazione professionale alla costruzione di impianti e infrastrutture.

 

 

La strategicità del Piano Mattei è oggi sempre più riconosciuta dai vertici internazionali. La Commissione europea lo ha inserito tra i progetti strategici per l’Ue da finanziare ma non solo, nei colloqui formali e non con ambasciatori o rappresentanti politici – dal Vietnam al Brasile – e ancora, al Raisina Dialogue 2024, conferenza internazionale di New Delhi, in molte occasioni ho potuto constatare personalmente l’apprezzamento per l’iniziativa italiana. Qui, in particolare, è emerso in modo netto l’interesse dell’intero Indo-Pacifico per il Piano Mattei, inteso come punto di partenza per estendere il focus e sviluppare concretamente quel concetto di Mediterraneo allargato. L’Italia può ambire a diventare un ponte tra l’Africa e l’Europa e anche un cardine per l’Oriente, un nodo connettivo tra l’Europa e l’Indo-Pacifico. Il Mar Mediterraneo, oltre ad esser la chiave per affrontare le sfide, da quella migratoria a quella economica, è anche una chiave di volta per la proiezione non soltanto regionale bensì globale della nostra Nazione.

Non stupisce la pronta risposta del territorio e delle realtà locali al Piano Mattei. C’è un legame tra l’Italia e l’Africa che va oltre la ragione prettamente economica o storica. Non ho potuto fare a meno di citare, nel mio intervento, qualche esempio di speciale connessione tra la realtà bergamasca e Paesi come Etiopia, Eritrea e Somalia. Sono molte le aziende da decenni presenti nel Corno d’Africa così come è viva la collaborazione culturale con la regione, penso all’intesa tra l’Università di Bergamo e la Wolaita Sodo University. È un legame tangibile, passeggiando per le vie di Asmara, città riconosciuta Patrimonio Unesco, e osservando la Cattedrale col tipico impiego di mattoni a vista non si può non notare l’incredibile richiamo allo stile lombardo. I palazzi della capitale poi, dallo stile razionalista, riportano alla mente gli scorci architettonici degli edifici di Marcello Piacentini, le cui opere si ritrovano nell’intera penisola italiana, anche a Bergamo.

Con l’auspicio che possa sempre più diffondersi la prospettiva che l’Africa è una terra di opportunità e crescita anziché un continente insidioso, ho salutato la platea. Lascio qui un appello: la nostra Nazione può e deve tornare ad essere al centro dello scacchiere internazionale. Lo sguardo al Mediterraneo, e quindi all’Africa, è vitale. Togliamoci di dosso, come esortava proprio Enrico Mattei, quel complesso di inferiorità che ci hanno insegnato, “che gli italiani sono bravi letterati, bravi poeti, bravi cantanti, bravi suonatori di chitarra, brava gente, ma non hanno le capacità della grande organizzazione industriale”. Non perdiamo questa partita.

*Giulio Terzi di Sant’Agata è un diplomatico e politico italiano, ministro degli esteri nel governo Monti.

 

 

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