Long-Covid negli adolescenti, ecco chi è a rischio

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Anche gli adolescenti fanno i conti con quella sequela di sintomi, talvolta pesanti, che si trascinano anche per mesi dopo essere guariti da Covid-19. Astenia, affaticamento, respirazione difficile, perdita di memoria, difficoltà di concentrazione, ansia e depressione minacciano, dunque, anche i giovanissimi. Ora un recente studio pilota, coordinato da Marco Fiore e Carla Petrella dell’Istituto di biochimica e biologia cellulare del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (Cnr-Ibbc), ha messo in luce i biomarcatori precoci del Long-Covid-19 negli adolescenti. Con una interessante curiosità, che evidenza come la medicina di genere sia ormai una priorità: se alcuni questi biomarcatori sono presenti in tutti i teen, altri sono ‘rivelatori’ solo per le ragazze.

La ricerca è stata condotta presso il Policlinico Umberto I dell’Università Sapienza di Roma, in collaborazione con Raffaella Nenna, Fabio Midulla, Luigi Tarani del Dipartimento materno infantile e scienze urologiche e Antonio Minni, Dipartimento organi di senso. I risultati, pubblicati su Diagnostics, puntano a semplificare l’individuazione dei soggetti più a rischio di incorrere in queste problematiche.

Ma come si è arrivati al risultato? “Abbiamo misurato i livelli di alcuni biomarcatori infiammatori e di due neurotrofine (Ngf e Bdnf), fattori proteici che regolano la crescita, la sopravvivenza e la morfologia dei neuroni, nel siero di una piccola coorte di ragazzi e ragazze che avevano contratto l’infezione durante la seconda ondata della pandemia, tra settembre e ottobre 2020, ma negativi al momento del prelievo – spiega Fiore – Sono stati suddivisi in 3 gruppi: asintomatici, sintomatici acuti, sintomatici acuti che nel tempo hanno sviluppato sintomi long-Covid-19. Questi dati sono stati poi confrontati con i valori emersi da un gruppo campione che non aveva contratto la malattia”.

Così “abbiamo riscontrato che i livelli sierici di Ngf erano inferiori in tutti gli adolescenti che avevano contratto l’infezione da Sars-Cov-2, rispetto ai controlli sani. La relazione inversa fra livelli di Ngf e sindromi da stress è ampiamente riportata dalla letteratura scientifica”.

La ricerca ipotizza che la diminuzione di Ngf rifletta un’attivazione persistente dell’asse dello stress, dovuta a un effetto diretto del virus oppure agli effetti psico-sociali conseguenti all’isolamento e alle modifiche della routine quotidiana riscontrate durante i periodi di quarantena.

“I livelli di Bdnf, analogamente al biomarcatore infiammatorio Tgf-β, erano invece più elevati negli individui che si erano ammalati rispetto a quelli sani, ma solo nelle ragazze sintomatiche che poi avrebbero sviluppato sintomi long-Covid-19”, aggiunge Petrella. “In particolare, il persistente aumento dei livelli sierici di Bdnf e Tgf-β era presente nelle adolescenti che presentavano sintomi respiratori durante la fase acuta dell’infezione”.

Gli studi andranno approfonditi, allargando la ricerca a una coorte di adolescenti più ampia. “I dati dello studio – conclude Fiore – supportano però già l’ipotesi che le variazioni sieriche di Ngf e Bdnf rappresentino un campanello d’allarme per l’effetto a lungo termine di Covid-19, aprendo nuovi campi di indagine sia nell’ambito degli effetti fisici sia in quelli psicologici potenzialmente associabili al NeuroCovid”.

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