La patente di immunità per il Covid-19 non esiste (ancora)

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Giorgio Palù, virologo e professore emerito di Microbiologia dell’Università di Padova, coordina la sperimentazione per trovare gli anticorpi per il Covid-19. La versione completa di questo articolo, a firma di Salvo Ingargiola, è disponibile sul numero di Fortune Italia di maggio.

 

L’obiettivo è individuare gli anticorpi che neutralizzano il virus Covid-19: la sfida è appena cominciata. Siamo nell’ospedale di Padova, dove è in corso la sperimentazione promossa dalle Università di Padova e di Verona. A coordinarla è il professore Giorgio Palù, virologo e professore emerito di microbiologia dell’ateneo patavino. “Il protocollo prevede l’indagine sierologica condotta inizialmente su una platea di 360 persone: personale sanitario (medici, infermieri, assistenti sanitari), operatori delle case di riposo e forze ordine in primis, e poi successivamente su un campione di 70mila persone che sia rappresentativo (suddiviso per genere, età e anche per fattore di rischio)”, ci spiega Palù.

Cos’è un tampone?

 

Il tampone naso-faringeo è un prelievo di materiale mucoso con tecnica di biologia molecolare. È un approccio di diagnosi diretta che indica se c’è un’infezione in atto. È un test disegnato ed allestito, per primo, da Christian Drosten dell’Università Charitè di Berlino, pubblicato lo scorso 23 gennaio sulla rivista Eurosorveillance. “Drosten – spiega Palù – ha messo a punto un sistema per rilevare l’espressione di tre geni virali in un distretto corporeo (mucosa nasofaringea)”. Si accerta dunque lo stato di infezione in atto in un soggetto, in un preciso momento temporale “ma il test è positivo a due condizioni – precisa Palù – che ci sia il virus e che ci sia in quantità rilevabili”. Quindi il tampone lo si può fare un giorno senza evidenziare il virus e lo si può ripetere, ad esempio, il giorno successivo con un esito positivo, o viceversa. “Il tampone altro non è che una fotografia istantanea di ciò che avviene in un distretto del nostro organismo. Si tratta di un test che è molto utile”, come ci spiega Palù, “soprattutto in una prima fase dell’infezione, quando i focolai sono circoscritti ed ha senso ricostruire la rete di contatti delle persone già riscontrate positive (contact tracing) per poi sottoporle a tampone”.

L’indagine sierologica sul Covid-19

 

Si tratta di una diagnosi indiretta che non rileva il virus ma mostra, a seguito di un prelievo di sangue, gli anticorpi circolanti che si sono formati nell’organismo e sono diretti contro il virus. Come ci spiega il professor Palù, si tratta di un esame che ci fornisce informazioni, in primo luogo, sulla diffusione o prevalenza dell’infezione nella popolazione e, in secondo luogo, sulla fase dell’infezione e lo stato di immunità acquisita. “Il test sierologico ci può dire se siamo in una fase precoce dell’infezione (4-5 giorni dopo la fase acuta) quando vengono rilevati gli IgM (immunoglobine M) o se in una fase secondaria, ovvero quando vengono rilevati gli IgG (immunoglobine G)”.

 

La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di maggio. Si può comprare in edicola e in versione digitale, oppure ci si può abbonare:

 

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