Covid, il grande business dei vaccini

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Un business miliardario, quello dei vaccini contro Covid-19. Con numerose aziende e scienziati in campo. Sono poco meno di 300, infatti, i candidati allo studio contro il virus pandemico. Un piccolo esercito che segue il drappello dei vaccini di prima generazione già approvati e usati nel mondo.

 

All’arcinoto siero Pfizer-BioNTech, si affiancano quello della cinese Sinopharm, quello dell’americana Moderna e lo Sputnik V del Gamaleya Institute russo. C’è poi il vaccino di AstraZeneca (che doveva far parte del gruppo di testa in Europa, ma che verrà valutato solo nei prossimi giorni dall’Ema), utilizzato in diversi Paesi fra cui Gran Bretagna, Messico e Argentina; quello di Bharat Biotech approvato in India e un secondo siero Sinovac usato in Indonesia e Brasile. A fare il punto è un focus dell’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma.

 

Se in Italia facciamo i conti con il ritardo delle dosi dei primi produttori autorizzati, vale la pena ricordare che i governi di molte nazioni, come Cina, Usa, Russia e Unione Europea, hanno investito sul vaccino ingenti risorse. Finanziando a fondo perduto le società biotech che avevano i candidati più promettenti. E impegnandosi ad acquistare miliardi di dosi prima ancora di sapere se le sperimentazioni sarebbero andate a buon fine e se quei vaccini sarebbero mai esistiti.

 

Mentre si discute di brevetti e licenze, la sola Unione Europea ha firmato contratti di opzione per 1,965 miliardi di dosi di vaccino. Mentre il governo americano, con la sua “Operation Warp Speed”, a fine ottobre aveva già distribuito 10,75 miliardi di dollari a sei società farmaceutiche (più 1,6 miliardi a fornitori di fiale, siringhe ed altri prodotti strategici per la produzione dei vaccini).

 

Al momento, ‘censisce’ lo Spallanzani, i candidati vaccini contro Covid sono in totale 295: 26 basati su Dna, 37 su Rna, 59 su vettore virale, 24 su virus attenuato o inattivato, 89 su proteine, 19 su particelle simil-virus, e 41 che utilizzano altre piattaforme o per i quali non si hanno dettagli. Dalle informazioni pubbliche disponibili risultano attualmente in fase clinica 77 candidati.

 

E l’Italia? Lo Spallanzani collabora con le società italiane ReiThera e Takis, impegnate su due diverse piattaforme per altrettanti vaccini (per il Grad-Cov2 di Reithera si è conclusa positivamente la fase 1).

 

Mentre la ricerca sui vaccini va avanti nei laboratori, a preoccupare scienziati e aziende sono ora le varianti del coronavirus. Uno studio su ‘BioRxiv’ evidenzia la capacità della mutazione sudafricana di eludere in tutto o in parte l’attacco degli anticorpi neutralizzanti contenuti nel plasma convalescente, nonché di tre classi di anticorpi monoclonali terapeuticamente rilevanti.

 

Un altro lavoro su ‘BioRxiv’ dimostra che il vaccino Pfizer/BioNTech è attivo anche contro la variante inglese. Infine, è di oggi la notizia di un altro lavoro in pre-print secondo il quale il vaccino Moderna resta efficace contro la variante inglese e (almeno in parte) contro quella Sudafricana.

 

L’obiettivo – ricordano gli scienziati – è chiaro: immunizzare più persone possibile per ostacolare la corsa di un virus che, mutando, potrebbe rendere i vaccini disponibili meno efficaci. Ma quando avremo dosi di sufficienti ad arrivare all’immunità di gregge?

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