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Covid, come curare il paziente a casa?

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La recente disponibilità, anche in Italia, di combinazioni di anticorpi monoclonali contro Sars-CoV-2, genera nuove opportunità terapeutiche per i pazienti che si trovino nelle fasi iniziali di malattia per evitare l’evolversi verso condizioni di maggiore gravità. Lo sottolinea in una nota la Società Italiana di Terapia Antinfettiva (Sita), analizzando il tema delle terapie domiciliari.

“Nel recente passato sono state perseguite molte ipotesi terapeutiche da utilizzarsi a domicilio, poi non suffragate dalle evidenze degli studi prospettici, quali la somministrazione di idrossiclorochina, di antibiotici e di farmaci antiretrovirali. Altre opzioni farmacologiche devono ancora superare il vaglio degli studi comparativi prima di poter essere considerate nell’utilizzo routinario; si fa riferimento alla colchicina, le cui proprietà anti infiammatorie potrebbero essere di giovamento ai pazienti, ad ivermectina, farmaco antiparassitario molto attivo in vitro su Sars-CoV-2 ma ancora in fase 2 di sperimentazione clinica per tale indicazione, e ad eparina a basso peso molecolare, opzione di grande interesse e potenziale valore per la quale però mancano ancora dati comparativi in grado di definirne con precisione posologia, efficacia e sicurezza”.

Una citazione a parte merita l’utilizzo degli steroidi. “Tali farmaci – dicono gli esperti Sita – si sono dimostrati molto utili nelle fasi evolutive di malattia, quando la eccessiva risposta infiammatoria prevale sull’azione del virus e porta una quota di pazienti verso le condizioni di maggiore gravità. Di fatto desametasone alla dose di 6 mg/die rappresenta oggi l’unica terapia ad avere raggiunto un’evidenza di efficacia indiscutibile, in uno studio prospettico randomizzato di amplissime dimensioni”.

“Ma lo stesso studio dimostra inconfutabilmente che il farmaco è efficace solo nei pazienti che presentino insufficienza respiratoria e necessità di supporto di ossigeno, mediamente con una storia di malattia superiore a 7 giorni; di contro, nei soggetti senza necessità di supporto di ossigeno vi è evidenza di un trend negativo sulla sopravvivenza. Questo dato non è un paradosso ma ben si correla con la patogenesi della malattia da Covid-19, che consta di due fasi successive che si embricano tra loro. Una fase iniziale dominata dall’effetto della replicazione virale ed una successiva, che coinvolge fortunatamente solo una parte di pazienti, dominata da una risposta infiammatoria eccessiva e non controllata”.

L’infiammazione è utile per il controllo della replicazione virale, “per cui spegnerla troppo presto potrebbe facilitare la replicazione virale, inducendo un viral load elevato e di conseguenza innescare, in un tempo successivo e potenzialmente ritardato, la risposta infiammatoria sregolata”, ammoniscono gli esperti.

Per tale motivo, raccogliendo le opinioni di numerosi specialisti impegnati nella gestione dei pazienti con infezione da Sars-CoV-2 e rifacendosi alle linee guida di numerose società scientifiche nazionali ed internazionali, la Società Italiana di Terapia Antinfettiva sente il dovere di “ribadire i potenziali rischi correlati all’utilizzo di steroidi per via orale nelle fasi iniziali di malattia”.

In altri termini, la classe degli steroidi non sembra essere un presidio per la terapia domiciliare di tutti i pazienti affetti da malattia da Covid-19, “ma va riservata ad alcuni casi domiciliari selezionati e all’uso ospedaliero per soggetti che presentino de novo necessità di supporto di ossigeno”.

È evidente che, dimostrata l’inutilità della terapia antibiotica e della clorochina, tutte le cautele prima menzionate sugli steroidi e stante la attuale indisponibilità di antivirali somministrabili per bocca, ed essendo ancora in via di definizione il ruolo di eparina basso peso molecolare, “l’armamentario terapeutico per la gestione domiciliare dei pazienti è minimo. In questo contesto diventa fondamentale l’istituzione di collaborazioni clinico-gestionali tra centri ospedalieri e medicina territoriale per un approccio ragionato e coordinato al paziente con malattia da Covid-19″.

Con l’arrivo degli anticorpi monoclonali, inoltre, “la corretta selezione dei pazienti meritevoli di tale terapia rappresenta un momento gestionale centrale di collegamento tra ospedale e territorio per far sì che si arrivi più agevolmente a somministrare il giusto farmaco al giusto paziente”.
Sita ribadisce la disponibilità a supportare studi clinici prospettici in collaborazione con la medicina di comunità, per incrementare la conoscenza sul trattamento domiciliare di Covid-19: a partire dall’utilizzo dei monoclonali fino a proposte di studi spontanei su nuovi e vecchi farmaci.

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