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Tumore del seno, 2.800 diagnosi in meno

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Servono nuove regole per gli screening dopo l’impatto di Covid-19 che, di fatto, li ha cancellati per mesi. Occorre da un lato cercare nuovi spazi sul territorio per recuperare gli esami diagnostici arretrati o non fatti durante la pandemia: oltre 1 milione di screening mammografici in meno eseguiti nei primi 9 mesi del 2020 rispetto all’anno precedente e oltre 600mila donne in meno esaminate. Si stima, infatti, che in nove mesi siano state fatte 2800 diagnosi in meno di tumore al seno.

Esiti che si tradurranno in ulteriori nuove diagnosi ‘in ritardo’ tra il 2021 e il 2022, con un impatto importante sulle scelte terapeutiche, sulla sopravvivenza, sulla mortalità e sulla qualità di vita della donna. Inoltre è necessario ripensare lo screening, “personalizzandolo” e rimodulandolo nel prossimo futuro in base ai fattori di rischio più importanti per la donna, ovvero tenendo in considerazione sia gli indicatori di rischio generali come età, familiarità con la malattia, mutazione genetica, sia fattori di rischio individuali tra cui la diversa densità della mammella della donna.

Un obiettivo che richiede l’investimento in nuove tecnologie che consentono di eseguire indagini mammografiche più precise, particolarmente importanti in donne giovani in cui il seno più denso richiede esami più particolareggiati. Gli aspetti e le opportunità per favorire diagnosi e terapie per il tumore del seno iniziale sono approfondite nel nuovo Quaderno di Ropi (Rete Oncologica Pazienti Italia). Dal sito www.reteoncologicaropi.it il quaderno è scaricabile gratuitamente.

“La sintomatologia del tumore della mammella – spiega la presidente di Ropi, Stefania Gori – spesso è assente o molto scarsa. La sfida della medicina è di riuscire a intercettare la malattia in una fase pre-clinica anche attraverso campagne di screening. Un tumore del seno diagnosticato al primo stadio di malattia ha, oggi, una chance di sopravvivenza a 5 anni che sfiora il 90% e per fare corretta prevenzione occorre conoscere i fattori che ne predispongono lo sviluppo (età e i maggiori picchi di incidenza in peri-menopausa e dopo i 65 anni, famigliarità, stato ormonale, stile di vita, obesità)”.

“Ma occorre anche saper ‘osservare’ i campanelli di allarme: la comparsa di un nodulo, l’alterazione del profilo della mammella, una ulcerazione, la secrezione o retrazione del capezzolo, una tumefazione sotto il cavo ascellare. Tutti eventi, come spiega il Quaderno di Ropi, che devono invitare la donna a sottoporsi a una visita senologica e ad aderire alle campagne di screening per diagnosi precoci”.

“Il Sistema sanitario italiano – precisa Alessia Levaggi, senologa presso la S.C. Clinica di Oncologia Medica, Aou Policlinico San Martino di Genova – offre alle donne tra 50 e 69 anni la possibilità di eseguire una mammografia ogni 2 anni, estesa in alcune Regioni a donne dai 45 ai 74 anni, con l’obiettivo di effettuare diagnosi di tumore del seno più precoci, dunque trattabili con terapia meno aggressive, più efficaci e un impatto significativo sulla riduzione di mortalità. Tuttavia, particolare attenzione va posta alle donne più giovani, sotto i 50 anni, o senior, sopra dei 70 anni, in cui esiste la possibilità di incorrere in falsi positivi, ovvero di diagnosticare e trattare tumori che non si sarebbero manifestati nel corso della vita al di fuori dello screening”.

“Oltre al corretto approccio diagnostico-terapeutico, è fondamentale offrire alla donna che lo desidera anche un supporto psicologico – aggiunge Patrizia Frittelli, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Senologica e Centro Integrato di Senologia dell’Ospedale San Giovanni Calabita, Fatebenefratelli Isola Tiberina, Roma – divenuto oggi un “cardine” nel percorso di cura all’interno delle Breast Unit. Affrontare il dolore, anche psicologico, associato alla diagnosi di un tumore del seno aiuta la donna a “superare” l’impatto che genera sulla sfera intima e relazionale (sessualità, vita di coppia), favorendo anche la migliore aderenza alle terapie. Maggiore è l’accoglienza e l’ascolto delle richieste della donna, maggiore sarà la sua capacità di resilienza nell’affrontare e completare un percorso di cura spesso complicato”.

“Anche in epoca di pandemia – conclude Federica Miglietta dell’Oncologia Medica 2, Istituto Oncologico Veneto, Padova – possiamo offrire alle donne una assistenza di qualità e continuità grazie alla telemedicina, che si è dimostrata particolarmente utile in pazienti con malattia stabile e/o senza nuove evidenze di malattia, in sorveglianza o in corso di terapia ormonale per visite di follow-up. L’auspicio è che questa eredità, anche dopo la pandemia, non vada persa ma che la telemedicina venga implementata, quale possibile valore aggiunto, alla visita in presenza”.

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