Dal latte ai cibi solidi, quando passare alle pappe

latte neonato
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Il piccolo è curioso e un po’ stufo del latte, e la sua mamma vorrebbe iniziare a fargli assaggiare le prime pappe. Ma quando arriva il momento giusto per lo svezzamento? Ed è possibile far provare qualsiasi alimento ai bambini che iniziano l’alimentazione complementare? E cosa cambia se il bebè prende il latte artificiale?

Proprio per rispondere a queste e molte altre domande arriva il Documento intersocietario sull’Alimentazione complementare promosso dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (Sipps) in collaborazione con la Federazione italiana medici pediatri (Fimp), la Società italiana di nutrizione pediatrica (Sinupe), la Società Italiana Developmental Origins of Health and Disease (Sidohad).

Un documento presentato e discusso al 33 esimo Congresso nazionale della Sipps, in corso fino al 26 settembre a Caserta e in streaming. La pubblicazione, spiega Maria Carmen Verga, segretario della Sipps, “è stata promossa da Margherita Caroli e Andrea Vania, entrambi pediatri esperti in tema di nutrizione, e vi hanno collaborato 52 autori, oltre al gruppo Sipps di metodologia che ha condotto la ricerca e la valutazione delle evidenze scientifiche disponibili sull’argomento. Abbiamo risposto a una serie di quesiti elaborando delle raccomandazioni rivolte non solo ai pediatri ma anche ai genitori e a tutti gli operatori che si occupano di nutrizione infantile”.

Una delle raccomandazioni principali, sottolinea la pediatra, è relativa proprio all’età in cui introdurre l’alimentazione complementare. Ormai è noto che “non deve iniziare prima dei quattro e dopo i sette mesi, perché dopo quell’età il solo latte diventa insufficiente per il bambino e perché andando oltre diventa più difficile abituarlo a un’alimentazione diversa”.

“L’incertezza è se sia il caso di cominciare l’alimentazione complementare tra quattro e sei mesi oppure a sei mesi compiuti. Dalla revisione della letteratura che abbiamo effettuato, abbiamo rilevato che anticipare questa alimentazione prima di sei mesi compiuti non porta alcun vantaggio al bambino e gli toglie una quota di latte materno che – tiene a ricordare la pediatra Sipps – non serve solo ad alimentarlo ma a fornirgli elementi noti e ignoti utili anche allo sviluppo cerebrale, all’immunità e a tante altre funzioni”.

“Quella di mantenere l’allattamento esclusivo fino ai sei mesi e dare quanto più latte materno possibile è dunque una raccomandazione forte. Nel caso dell’allattamento con formula, la raccomandazione è meno categorica perché la formula non ha tutti i vantaggi del latte materno. Anche in questo caso, tuttavia, è bene mantenere solo il latte fino ai sei mesi, perché sostituirne una parte con la pappa significa dare calorie in più che non sono necessarie se il bambino sta crescendo bene”.

In tema di allattamento, il documento raccomanda “la differenziazione dell’alimentazione complementare a seconda che il bambino prenda latte materno o formula. Quest’ultimo infatti – spiega Maria Carmen Verga- è molto ricco di proteine, quindi nel momento in cui si introduce l’alimentazione complementare si può evitare di dare la carne, perché sappiamo che un eccesso di proteine può essere dannoso. Nel caso del latte materno, invece, un ulteriore apporto proteico può essere utile”.

Dopo aver fatto chiarezza nei significati di terminologie come ‘autosvezzamento’ e ‘alimentazione responsiva’, la pubblicazione approfondisce proprio quest’ultimo argomento. “L’alimentazione responsiva – chiarisce il segretario della Sipps – recepisce i segnali di fame e di sazietà del bambino e non lo obbliga a una nutrizione standardizzata, decisa dai genitori o dal pediatra. Si rispetta quindi la sua esigenza fisiologica, come dovrebbe avvenire anche durante l’allattamento. È un tipo di alimentazione sicuramente consigliabile, avendo anche ben chiare le quantità adeguate all’età e alla fisiologia del bambino”.

Questo però “è difficile da percepire per i genitori che – constata la pediatra – tendono ad adeguare le porzioni dei bambini alle proprie. L’alimentazione responsiva non deve però introdurre abitudini alimentari sbagliate – ammonisce Verga- ad esempio consentendo al bambino di mangiare di continuo. Bisogna comunque definire delle fasce orarie a cui corrispondono i pasti: colazione, pranzo, merenda, cena”.

“È necessario, inoltre, valutare con molta attenzione le abitudini alimentari della famiglia prima di consigliare un generico ‘dategli quello che mangiate voi’. Il pediatra, infatti, deve realisticamente tener conto del fatto che in molte famiglie si segue un’alimentazione non corretta: l’alimentazione complementare del bambino può essere quindi una preziosa occasione per favorire un’alimentazione più sana, e, non ultimo, anche per cercare di ridurre le disuguaglianze, di cui la salute è uno dei fattori più importanti”.

Nel documento sono raccolte anche raccomandazioni, fondate su solide evidenze scientifiche, su cosa far mangiare ai bambini che non sono più allattati esclusivamente. Su questo punto, Maria Carmen Verga sgombra il campo da equivoci e falsi miti: “Non ci sono alimenti da evitare nei primi due anni e il documento raccomanda di variare l’alimentazione quanto più possibile, introducendo dai sei mesi in poi anche gli alimenti potenzialmente allergizzanti (uovo, arachidi, pesce, pesche), perché ritardarne l’introduzione si è visto che aumenta il rischio di allergie”.

Eventuali eccezioni sono specificate nel documento. Riguardo al pesce, è bene evitare quelli di grandi dimensioni, “perché sono animali che tendono ad accumulare inquinanti, mentre ad esempio le alici potrebbero essere mangiate anche tutti i giorni. Quello che conta sono la qualità e la quantità di cibo, la frequenza con cui viene offerto e la modalità di cottura, senza sale e con olio extra vergine di oliva a crudo. È importante anche rispettare la stagionalità e privilegiare prodotti del proprio territorio”.

Abituare i bambini a nuovi sapori e consistenze non è, però, un’impresa sempre facile. Anche su questo problema, il documento viene in soccorso dei genitori. “Per abituarsi ed apprezzare un sapore possono essere necessari anche 20 o 30 assaggi. Bisogna inoltre considerare che dai 18 mesi e fino ai due-tre anni, circa, i bambini entrano in una fase di opposizione che è indicativa della maturazione del carattere, diventano persone e quindi esprimono la loro volontà. Ma siccome quest’ultima non sempre corrisponde a ciò che è bene per loro, i genitori non devono farsi scoraggiare dall’ostinazione e dalle forti opposizioni dei figli”, consiglia la pediatra.

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