Super ricchi, perché detestiamo i miliardari

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E’ davvero curioso il rapporto che abbiamo con chi è super ricco. Siamo pronti ad ammirare chi ha beni miliardari quando ci troviamo a valutare le intuizioni e le opportunità che si è saputa creare una persona che è giunta ad accumulare molte ricchezze, ma quando invece consideriamo questi soggetti non come singoli, quanto piuttosto come gruppo, il nostro atteggiamento psicologico cambia radicalmente.

Diventiamo quindi astiosi, come se quella “categoria” di miliardari fosse in qualche modo lontana da noi, e quindi da osservare con invidia. A tracciare il percorso apparentemente discrepante nella scelta tra il rapporto con il singolo super ricco e nei confronti della categoria dei plutocrati è un’originale ricerca coordinata da Jesse Walker, dell’Università dell’Ohio insieme a Thomas Gilovich e Stephanie Pepper, dell’Università Cornell.

Lo studio, che rappresenta una sorta di pietra miliare nel rapporto delle persone comuni con chi ha davvero moltissimi soldi, è stato pubblicato addirittura sulla rivista Pnas, dell’Accademia Americana delle Scienze. Ed ha raccolto informazioni da diverse ricerche sul tema.

La discrepanza che si vive, stando a quanto riporta la ricerca, è tra il singolo miliardario e la percezione di un jet set irraggiungibile e verso cui si prova addirittura astio per l’immensa montagna di ricchezza disponibile. Infatti, sul fronte psicologico, analizzando la singola persona, nella psiche umana si accende un sentimento di comprensione e quasi di rispetto per la capacità che un individuo può aver avuto nel realizzare progetti e mettere in atto attività che hanno condotto ad accumulare molti soldi.

Il quadro cambia radicalmente se lo stesso individuo viene visto nell’ambito di un gruppo, rappresentando una percentuale minima della popolazione. In questo caso siamo portati a “pensare male”: non ci va che ci siano condizioni ritenute esterne e non legate a capacità individuali, come la buona sorte o le variazioni di quadri economici, che possano consentire ad alcuni soggetti visti come “categoria” di essere tanto ricchi.

Per capire la sottigliezza che non è solamente psicologica ma diventa una sorta di “traino” morale per il pensiero che sta dietro questa divisione tra singolo e gruppo si può verificare quanto osservato nell’indagine. In diversi gruppi sono state proposte domande sulle possibili differenze di stipendio “ammissibili” tra un amministratore delegato e i dipendenti della stessa azienda e poi anche quanto era giusto che ciò avvenisse. Ma se sul singolo i giudizi sono stati improntati soprattutto al valore delle sue capacità, quando il discorso si è trasferito sulla necessità di attribuire compensi significativi in termini generali a “capitani” di grandi industrie o gruppi, c’è stata una sorta di valutazione esattamente opposta. Come a dire che tendiamo a tollerare compensi più significativi quando si racconta una storia di successo, ma poi non siamo per nulla indulgenti anzi tendiamo ad essere “cattivi” se invece si parla di categoria di ricchi. La stessa prova si è avuta partendo da una copertina di una famosa rivista, in cui erano proposte immagini di diversi “paperoni” oppure la foto di uno solo di loro. Anche in questa valutazione, nel secondo caso, si è stati portati ad un giudizio meno duro. I commenti di chi ha scritto sull’individuo erano meno indisposti rispetto a chi ha parlato del gruppo e soprattutto nel secondo caso si parlava più specificamente della necessità di una tassa di successione (magari anche salta), rispetto a quando invece si valutava il singolo. Insomma: la psicologia guida anche la percezione delle disuguaglianze. E se ci viene difficile guardare con simpatia un gruppo di persone ricchissime, diventa più facile ammettere i loro valori quando invece ragioniamo sul singolo.

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