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Long Covid dei bambini, cosa sappiamo

long Covid bambini
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Si è sentito dire per molto tempo che ‘i bambini non si ammalano di Covid-19’, quindi per loro il virus non rappresenta un pericolo. Una fake news polverizzata dai dati relativi ai contagi della quarta ondata. Complice la variante Omicron, e la mancata protezione vaccinale, di recente l’Istituto superiore della sanità ha segnalato infatti il forte aumento dei contagi in età scolare.

Secondo l’integrazione dell’ultimo monitoraggio settimanale Covid, “il 26% dei casi totali” nell’ultima settimana è stato diagnosticato “nella popolazione di età scolare (under 20 anni). Il 48% dei casi in età scolare è stato diagnosticato nella fascia d’età 6-11 anni, il 36% nella fascia 12-19 anni, l’11% e il 5% sono stati diagnosticati, rispettivamente tra i 3 e i 5 anni e sotto i 3 anni”. Dunque il record riguarda bambini delle elementari medie, per i quali le vaccinazioni sono iniziate da poco.

Da tempo i pediatri, che di Covid-19 in bimbi e adolescenti ne vedono tutti i giorni, consigliano di fare il vaccino. Anche perché c’è una preoccupazione ulteriore che inquieta, e non poco, gli addetti ai lavori. La minaccia del long Covid e delle sue conseguenze a lungo termine, al momento imperscrutabili, tra i giovanissimi di oggi e futuri adulti di domani; insomma il rischio di un effetto ‘legacy’ di ben altra portata per gli anni a venire.

I dati sul carico imposto dal Sars-CoV-2 alla popolazione pediatrica sono ancora limitati, visto l’alto tasso di casi paucisintomatici o asintomatici in questa popolazione; e sono ancora pochissimi inoltre gli studi sul long Covid in età pediatrica. Per quanto riguarda la prevalenza di Covid-19 nella popolazione pediatrica, una ricerca, pubblicata qualche mese fa dall’Università di Trieste in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità indicava una siero-prevalenza (cioè la presenza di anticorpi IgG nel sangue) del 9,5% in una coorte pediatrica del Friuli Venezia Giulia, studiata nel gennaio 2021, quindi nella seconda ondata; un dato in netta crescita rispetto alla prevalenza dell’1% registrata alla fine della prima ondata dall’Istat (luglio 2020). A dedicare un focus al Long Covid nei bambini sono stati gli esperti del Policlinico Agostino Gemelli Irccs.

“Dal marzo 2020 – ricorda Antonio Chiaretti, responsabile del Pronto soccorso pediatrico della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs, associato di Pediatria all’Università Cattolica, campus di Roma – abbiamo valutato oltre 160 bambini con Covid pediatrica e per 32 di questi è stato necessario il ricovero”.

“Finora – aggiunge Danilo Buonsenso, Uoc di Pediatria del Policlinico Gemelli e docente di Pediatria all’Università Cattolica, campus di Roma – abbiamo trattato più di una trentina di bambini con forme moderato-gravi di Covid-19 (8 con sindrome multi-infiammatoria sistemica). In collaborazione con i colleghi neonatologi e ostetrici che curano le donne con Covid-19 in gravidanza, stiamo seguendo circa 200 neonati da mamme con Covid-19, contratto in gravidanza o in atto al momento del parto, una decina dei quali si sono contagiati in età neonatale o perinatale. Presso l’Ambulatorio di post-Covid pediatrico stiamo inoltre seguendo 150 bambini, 55 dei quali con sintomi da long Covid, arrivati anche da fuori Regione (1 dalla Basilicata, 1 dalla Liguria, 2 dalla Lombardia)”.

Gli effetti di Covid-19 nei bambini non si limitano alla fase acuta dell’infezione; i casi sintomatici potrebbero essere solo la punta dell’iceberg di quello che il Sars-CoV-2 ha in serbo per i mesi e forse per gli anni dopo il contagio. Uno studio condotto dai pediatri della Fondazione Policlinico Gemelli e pubblicato lo scorso aprile su Acta Paediatrica ha coinvolto 129 ragazzi e bambini (età media 11 anni) con diagnosi di Covid-19, effettuata tra marzo e novembre 2020. I pediatri hanno intervistato (al telefono o in ambulatorio) i loro caregiver mediante un questionario, per valutare l’eventuale persistenza dei sintomi.

Ebbene, durante la fase acuta dell’infezione, il 25,6% dei bambini arruolati in questo studio era asintomatico, il 74,4% aveva presentato sintomi; 6 bambini avevano avuto bisogno di un ricovero e 3 di un ricovero in terapia intensiva. Tre piccoli hanno sviluppato la sindrome infiammatoria multisistemica (caratterizzata da febbre, segni di infiammazione sistemica fino alla tempesta citochinica, grave compromissione respiratoria e cardiaca, fino allo shock, vasculiti, aneurismi delle arterie coronariche; può colpire in modo grave anche reni, cervello, occhi, intestino) e due la miocardite.

Il 41,8% dei positivi si è ripreso completamente dal Covid-19, ma il 35,7% mostrava persistenza di uno-due sintomi e il 22,5% di 3 o più sintomi. Tra i sintomi di long Covid più frequenti, l’insonnia (18,6%), la persistenza di sintomi respiratori (compresi dolore e senso di costrizione toracica) nel 14,7%, la congestione nasale (12,4%), la fatigue (10,8%), dolori muscolari (10,1%) e alle articolazioni (6,9%) e difficoltà di concentrazione (10,1%).

Questi sintomi sono risultati particolarmente frequenti tra i piccoli valutati a distanza di due mesi dalla diagnosi iniziale di Covid-19. In conclusione, oltre metà dei bambini studiati in questa survey presentava almeno un sintomo di long Covid a distanza di due mesi dall’infezione; e si tratta di sintomi e di durata coerenti con quanto osservato nel long Covid degli adulti. Un dato importante e inaspettato è che anche i bambini che avevano avuto una forma asintomatica di Covid-19 possono sviluppare sintomi cronici persistenti.

“Questo studio – commenta il professor Piero Valentini, responsabile Uosd Malattie infettive pediatriche del Policlinico Gemelli e ricercatore di Pediatria all’Università Cattolica, campus di Roma – accende i riflettori su una popolazione discretamente sottovalutata durante la pandemia e che dovrebbe indurre a una profonda riflessione, anche in merito alla decisione di vaccinare i bambini piccoli e piccolissimi”.

Finora l’unico carico imposto dalla pandemia sui giovanissimi era stato quello sulla salute mentale. “L’infanzia è un periodo fondamentale e delicato nella vita di una persona – commenta ancora Buonsenso – critico per lo sviluppo e l’acquisizione di competenze sociali, comportamentali ed educative. E le misure restrittive messe in atto per contrastare la pandemia hanno avuto un impatto negativo significato sulla salute mentale dei più piccoli. La prova che il long Covid possa avere un impatto a lungo termine anche sulla salute dei bambini inoltre, compresi quelli che hanno avuto infezioni pauci o asintomatiche, deve rappresentare una call to action per tutti i pediatri, gli esperti di salute mentale e i decisori politici perché pongano in essere tutte le misure volte a ridurre l’impatto della pandemia sulla salute dei bambini”.

L’unico modo per proteggere i più piccoli da Covid-19 è dunque la vaccinazione, sia quella in gravidanza, che quella in età pediatrica, appena estesa alla fascia (5-11 anni). Ed è un controsenso rifiutare questo strumento salvavita in un momento in cui nel mondo si assiste anzi a una levata di scudi contro l’apartheid vaccinale, in cui tutti si battono cioè per l’equità vaccinale, per offrire questo prezioso strumento anche ai Paesi in via di sviluppo.

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