Gli investitori non sono stati molto contenti dei risultati economici diffusi dalla farmaceutica Pfizer. Il titolo quotato al Nasdaq ieri ha chiuso in ribasso del 2,84%, e in queste anche in queste ore è caratterizzato dal segno meno (perde lo 0,5%). A ben vedere, però, i numeri diffusi dall’azienda ieri erano tutt’altro che negativi.
Sull’orizzonte temporale del 2021 – escludendo i 44,4 miliardi di dollari generati dai prodotti per Covid-19, cioè il vaccino Comirnaty e la pillola dei cinque giorni Paxlovid – i ricavi annui sono praticamente raddoppiati, attestandosi a 81,3 miliardi di dollari, pari a una crescita del 95% rispetto al 2020.
Ma allora cosa non ha convinto? Forse i “soli” 23,8 miliardi di incassi dell’ultimo quarter dello scorso anno che, se non ci fosse stato l’apporto positivo dei prodotti anti-Covid, non avrebbero segnato +106% ma un 2% in campo negativo? Tant’è che a poco sono servite le stime 2022 che parlano di ricavi compresi tra 98 e 102 miliardi di dollari, di cui ben 54 derivanti dai prodotti anti-Covid, più specificamente 32 miliardi dalle vendite di Comirnaty e 22 miliardi da quelle di Paxlovid.
In altri termini, ci si attendeva di più dalle performance del portafoglio prodotti extra-Covid del colosso farmaceutico americano. A fianco di buoni risultati portati a casa, tra gli altri, dal farmaco per la fibrillazione atriale Eliquis, dal comparto dei biosimilari oncologici che nel 2021 hanno visto il lancio di Ruxiende, Zirabev e Trazimera, dal trattamento per l’amiloidosi Vyndagel e dai prodotti ospedalieri, a deludere le aspettative sono stati i ridotti ricavi delle vendite del vaccino anti-pneumococcico Prevnar, quelli della pillola per la disassuefazione dal fumo Chantix, dell’antinfiammatorio Enbrel e l’antitumorale Sutent.
Taglia corto, però, il presidente e amministratore delegato Albert Bourla, senza dare conto alle polemiche e anzi elogiando lo sforzo di tutta l’azienda nella lotta al virus: “Nei primi giorni della pandemia di ci siamo impegnati a utilizzare tutte le risorse e le competenze che avevamo a nostra disposizione per aiutare a proteggere le popolazioni a livello globale contro questo virus mortale, oltre a offrire trattamenti per aiutare a evitare i peggiori esiti quando si verificano infezioni. Abbiamo messo a disposizione miliardi di dollari di capitale per raggiungere quegli obiettivi, senza sapere se gli investimenti avrebbero mai ripagato”.
“Ora, a meno di due anni da quando abbiamo preso quell’impegno, siamo orgogliosi di affermare di essere riusciti a produrre (con il nostro partner BioNTech) il primo vaccino anti-Covid e il primo trattamento orale autorizzato contro Covid-19 autorizzati da Fda”.
In ogni caso, il business collegato alla pandemia non pare destinato a chiudersi insieme alla quarta ondata, che almeno in Italia e in altri Paesi d’Europa sembra iniziare a chinare il capo. Se gran parte degli adulti nel nostro Paese ha già ricevuto la terza dose, che i dati indicano essere fondamentale per proteggere dalle conseguenze più gravi dell’infezione da Sars-CoV-2, così non è per i ragazzi. Stando ai dati della presidenza del Consiglio dei ministri, oggi solo il 31,78% dei 12-17enni italiani ha ricevuto il booster.
Intanto, ha reso noto l’Agenzia europea dei medicinali, è iniziata la valutazione dei dati presentati da Pfizer proprio sulla terza dose ai 12-15enni. Mentre dovrebbe essere in fase più avanzata nel processo di analisi dei dati relativi all’altro dossier relativo al booster per i ragazzi di 16-17 anni.
Nonostante le rosee previsioni per l’anno appena iniziato, l’azienda americana però non scommette sull’Italia. E annuncia tagli all’organico della sede catanese, non coinvolta dalla produzione di vaccino o di pillola anti-Covid: sono oltre 130 gli esuberi annunciati, rispetto a una popolazione aziendale di 700 dipendenti.