Covid e scelte, occhio a scorciatoie e inganni della mente

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Ci siamo abituati. Ogni giorno, quando ci rechiamo al lavoro, tendiamo a scegliere la via più breve per arrivare. Si tratta di una scelta che a volte può apparire quasi naturale, perché ci fa risparmiare tempo e fatica. Quello che diventa più difficile da comprendere è che anche il cervello tende a scegliere le soluzioni più semplici, quando si trova davanti ad un bivio.

Questo accade anche quando si tratta di infezione da virus Sars-CoV-2, con una valutazione dei quadri clinici di Covid-19. Tendiamo a fare nostri e a trasformare in pensieri e convinzioni esperienze che ci possono sembrare più semplici e protettive per il nostro sistema nervoso, magari anche in base a compatibilità che nascono sui social e ci mantengono in una bolla che rinforza il nostro bisogno di tranquillità.

Tutto normale, si dirà: abbiamo bisogno di proteggerci e il nostro cervello si adegua a questa necessità. Ma bisogna fare attenzione, visto che siamo ancora in una pandemia che ci ha letteralmente modificato il modo di vivere da due anni.

In questo senso, le scorciatoie possono rivelarsi ingannevoli e portarci a fare scelte non proprio ottimali. Ad analizzare questi percorsi mentali e i loro effetti, con i potenziali errori di valutazione che si correlano quando imbocchiamo queste strade più brevi del pensiero, è una ricerca coordinata da Theodore Beauchaine dell’Università di Notre Dame, pubblicata su Brain, Behaviour and Immunity.

La parola chiave, secondo l’analisi delle tante vie che abbreviano e rendono più semplice il percorso cognitivo, si chiama euristica, ovviamente applicata in ambito psicologico, quindi un insieme di semplici regole che ci aiutano a risolvere problematiche che ci affliggono ma che a volte possono anche portarci fuori strada.

Sul fronte psicologico, questa situazione ci porta in qualche modo a eliminare i concetti di complessità e di oggettiva carenza di risposte definitive che fin dall’inizio accompagna la pandemia da Covid-19. Pensate solo, in questo senso, alla percezione di malattia: quando nel proprio ambito sociale le persone che ci stanno vicine narrano di un’infezione da Sars-CoV-2 che si è sviluppata clinicamente in forma lieve, ovviamente il nostro pensiero ci porta a riprodurre anche per noi un eventuale contagio, con possibile abbassamento delle misure d’attenzione.

Allo stesso modo, se qualcuno ci racconta di effetti indesiderati particolarmente fastidiosi dopo la vaccinazione, saremo portati a prevedere anche per noi qualche disturbo dopo che ci siamo vaccinati. Altro modello di possibile scorciatoia, secondo gli esperti, è quello di mantenere “lontano” da noi il possibile rischio, sempre attraverso una nuova scorciatoia. Come? Secondo la via breve dell’euristica della “rappresentatività”, il nostro pensiero ci porta a considerare ad esempio che il rischio di avere forme gravi sia limitato ai grandi anziani o comunque a chi presenta molteplici malattie. E’ vero che statisticamente queste persone hanno maggiori possibilità di sviluppare una forma grave di Covid, ma è innegabile che anche in altre fasce d’età e in assenza di specifiche condizioni di rischio si può essere ricoverati o comunque avere sintomi molto seri.

Insomma: possono esistere veri e propri “cluster” di pensiero che in qualche modo si traducono in atteggiamenti e scelte che impattano sulla salute. Ricordiamo che le scorciatoie sono un aiuto per il cervello, a patto però di usarle nel modo adeguato. Sfruttarle per non pensare e non informarsi può essere davvero controproducente.

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